Il bordello

16° episodio: Anarchia

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    CONTENUTO EROTICO E SESSUALE
    QUESTO RACCONTO NON E' ADATTO AD UN PUBBLICO MINORE DI 18 ANNI
    SE SEI MINORENNE TI INVITIAMO A LASCIARE IMMEDIATAMENTE QUESTA PAGINA



    ========================================================

    Capitolo sedici: Anarchia


    La ritorsione di Alfredo su Nicolò non sarebbe più terminata.
    Ne ero certo. Quell’esperienza aveva rinsaldato e consolidato una volta per tutte un rapporto che pareva si stesse sciogliendo come neve al sole.
    Da quel momento in poi, mi promisi che l’avrei pretetto da ogni pericolo. Non lo sentì così importante come ora. Ero convinto che anche Nicolò riuscisse a percepire che il suo sacrificio avesse prodotto un cambiamento in me.
    Tornammo finalmente a dormire insieme a casa sua. Lo sentì tremare tra le mie braccia. Quello che aveva fatto era stoico, ma anche lui era un essere umano come gli altri. Forte ma fragile. Lo strinsi a me tra le coperte, come volessi trasmettergli il mio rinnovato furore. E Nicolò parve superare il momento, ancora una volta.
    In un battito di ciglia, era già il momento di tornare, neppure ventiquattro ore dopo.
    Passammo un pomeriggio pacioso e rilassante, recuperando più energia possibile. Solo un paio di ore prima del secondo nostro inizio, ci lasciammo. Ormai ero io il taxi di Daniel, Leonardo e gli altri.
    Affrontavo con un senso d’impotenza il mio nuovo ritorno. L’idea di ricominciare, non mi stuzzicava neanche un po’. Lo shock proseguì a lungo e conversai controvoglia con gli altri ragazzi in macchina. Ero comunque curioso di capire quali fossero le sensazioni generali dopo di quella prima volta. Distratto dalla sciagura di Nicolò, avevo quasi preso per scontato la presenza al “secondo timbro” dei quattro ragazzini. Ma nessuno diede apparentemente problemi. Se per Daniel e Gavin ero abbastanza convinto non ci sarebbero state esitazioni, non potevo mettere la mano sul fuoco per Leonardo e Nicolò. Eppure erano lì, seduti silenziosi assorti in chissà quali pensieri. Il più affranto pareva Nicolò, ingannato dalla sua espressione sempre un po’ malinconica, in contrasto con la personalità ardente del ragazzo.
    Jury, Davide e gli altri gli accolsero calorosamente, seppur inizialmente non nascosero malcelato stupore dalla tenera età di alcuni di essi. Thomas fu intimato a tenersi a distanza, evitando patetici tentativi di adescamento. Potei tirare un sospiro di sollievo quando intravedemmo Francesco pronto e preparato con la sua veste di seta rossa. E con me anche Nicolò. Non c’era rancore nei suoi confronti; non attribuimmo mai la sua assenza imprevista al castigo per essa. Francesco era vittima quanto noi. Solo di recente, aveva subito un’umiliazione forse peggiore della nostra.
    Alle ventitré, la nuova squadra era pronta, tra conferme, ritorni e nuovi innesti. Una delle poche cose che mi era mancata di quel posto erano proprio loro. Vederli insieme ai vari Gavin e compagnia, tutti perfetti e vestiti di quell’incantevole vestaglia, che ne risaltava i lineamenti del viso come del corpo, mi era mancato. Quei pochi minuti in mezzo a loro mi provocavano un’esaltazione difficilmente spiegabile. Quando ero li, in quel breve lasso di tempo, mi sentivo in un’oasi perfetta, quasi in un sogno. Tutti gli sforzi, tutte le fatiche, erano ripagati da quei momenti. Non solo tra noi si creava un immediato rapporto idilliaco favorito dal contrasto con ciò che ci aspettava dopo, ma esisteva al contempo un rapporto umano sincero, tra quasi tutti noi. Subito si creò un’ottima confidenza con i nuovi, mentre con gli altri il breve periodo di assenza pareva non esserci stato. Alcuni di loro, come Jury e Luca, mi chiesero perché avessi salutato prematuramente tutti per poi tornare. Risposi semplicemente che c’era stata una piccola diatriba con un cliente nei giorni precedenti, che aveva coinvolto me e un altro paio di colleghi, ma che ora tutto era sistemato grazie ad Alfredo.
    Nicolò e Leonardo sembravano ringalluzziti; Daniel era felice come fosse nel paradiso terrestre. Jury e Davide gli vedevo più affiatati, mentre Vincenzo orbitava attorno a Francesco, un po’ consumato, ma sempre incantevole. Per non dimenticare Lorenzo, sempre sornione e spavaldo, e Luca, cortese e posato.
    Mancavano quattro ragazzi all’appello: Kevin, Rigo, Flavio e Marco. Il primo era una presenza indifferente, ma anche Rigo, il ragazzo per cui rimasi infatuato tanto a lungo senza ammetterlo, in primo luogo a me stesso, non mi mancava poi particolarmente. A conferma che la scelta fatta era quella giusta.
    Più pesante era quella di Flavio, con cui avevo particolarmente legato. All’interno del gruppo non era una persona carismatica ma dotata di una personalità unica e indispensabile. Dopo quel dietrofront dal sapore amaro, non c’eravamo più sentiti. C’ero rimasto molto male, mentre Nicolò era di opinione più morbida. Quello che pensavo, era che, nel momento del bisogno, non fosse a nostro fianco, ma chissà dove. Avrebbe potuto prepararci all’imboscata, ma non lo fece. E non l’avrei mai perdonato per questo.
    Quando arrivarono i clienti, ci sentimmo come uccelli in gabbia dalle incantevoli piume. Fu una sensazione che non avevo provato nelle sere precedenti; dopo tutti quei travagli per portare alla corte di Alfredo dei nuovi ragazzi, ora mi sentivo fortemente legato a loro, così come agli altri.
    Ben presto, credetti che Alfredo avesse consumato la sua vendetta, perché in meno di venti minuti, Nicolò ed io avevamo già il nostro da fare. Ma non era tutto: il nostro cliente era lo stesso ed eravamo stati scelti proprio noi due.
    Fu Alfredo stesso a comunicarcelo con nonchalance.
    “Ho scelto voi per questo cliente importante e voglio che lavoriate insieme, potete trovarlo nella stanza uno. Mi raccomando fate del vostro meglio”.
    Possibile che dovesse sceglierci proprio insieme? Era così necessario? Dopotutto, non ci aveva neppure visto.
    E così avremmo dovuto subire anche quello.

    -

    “Non ci pensare. Superiamo anche questa” mi rincuorò Nicolò stesso mentre salivamo le scale. Fui sollevato dal sapere che fosse combattivo, ma comunque il mio entusiasmo era sotto i tacchi.
    Bussammo alla porta, ma era già aperta. Nessuno ci accolse; la stanza, diversamente dal giorno prima, era vuota e pulita. La luce del bagno era però accesa.
    “Siete voi?!” chiamò una voce fuori dal campo visivo.
    “Sì!” urlammo in coro.
    “Chiudete la porta, prendete un bicchiere e venite!”.
    Sul comodino avanti a noi era appoggiata una bottiglia di champagne e due calici già colmi. Chiusi la porta, mentre Nicolò, che pareva più divertito della situazione di me, prese i due bicchieri.
    “Andiamo” m’intimò sorridente precedendomi. Entrati nel bagno, trovammo un uomo sulla cinquantina intento a rilassarsi nell’idromassaggio con un bicchiere in mano e occhi stanchi.
    “Andiamo, fatemi compagnia” ci invitò gentilmente.
    Guardai Nicolò un istante; lui sollevò le spalle e disse: “Aiutami a togliere il vestito”.
    Alzò le braccia, lasciando che gli snodassi la veste che cadde sul pavimento piastrellato. Quindi si accinse a entrare. Ed io, facendo lo stesso, dopo di lui. Infine, quando lui fu sistemato alla sinistra dell’uomo ed io alla sua, mi passò un bicchiere.
    “Cin cin” fa l’uomo alzando il calice; brindiamo, per poi sorseggiare.
    Non sembrava un uomo dalle molte parole ma credetti potesse trattarsi di una serata tranquilla, di quelle di pura compagnia. L’uomo non era bello: presentava una cerica pesante in mezzo ai radi e fini capelli castani. Il viso era gonfio e paffuto, con un pizzetto grossolano sulla barba. Il corpo era robusto e sovrappeso. Dopo una parvenza cordiale, non si presentò neppure e ci invitò senza tanti complimenti a trastullarlo.
    Cominciammo a baciarli il collo, tenendo sempre in mano il nostro bicchiere. Lui parve piuttosto soddisfatto e assorto, quindi prendemmo ad accarezzarne il corpo dolcemente. Non provavo alcun vezzo verso di lui, ma l’ambiente profumato, caldo e schiumoso rendeva tutto più facile. Nicolò prese l’iniziativa e cominciò a massaggiarli il membro sott’acqua con la mano. Rispetto a me, era più intraprendente e coinvolto. Era un lato che non mi sarei aspettato. Sempre così disinvolto e altezzoso, si lasciava andare quando sapeva che era la cosa migliore per sopportare meglio la situazione, ma anche quando era convinto di potersi togliere la maschera senza che nessuno sarebbe venuto a conoscere quel lato di lui. Io invece mi chiedevo come sarei riuscito a stringere i denti a lungo in un posto che non desideravo più.
    Il tipo si divertiva a farsi leccare il corpo, tanto che ci obbligò a sommergerci con la testa per raggiungere le parti più nascoste e improbabili, tra ombelico e fondoschiena.
    In un noioso silenzio rotto solo dal rumore dell’idromassaggio e dallo schioccare dei nostri baci, il tipo si alzò in piedi, recuperando i tre bicchieri e appoggiandoli fuori dalla vasca. Senza che chiedesse nulla, con imbarazzante professionalità, ci inginocchiammo a fianco del suo membro, cominciando a leccarne l’asta dal proprio lato. Il pene barzotto si eresse in tutti i suoi centimetri: era un membro ordinario, leggermente scuro e rovinato da qualche venatura. La cosa più eccitante era il respiro di Nicolò e la sua ruvida lingua a pochi millimetri dalla mia. Avrei voluto raggiungerlo, ma dovevo trattenermi. Il tipo silenzioso non si mosse per un bel po’, gradendo la nostra operazione. Quando lo fece, sempre in rigoroso silenzio, prese l’accappatoio e si asciugò completamente, mentre noi rimanemmo in ubbidiente silenzio a guardarlo.
    Quando ci invitò a uscire, non ebbe per noi la stessa gentilezza, ma dovemmo seguirlo grondanti e infreddoliti nell’altra stanza.
    Mi decisi a chiederlo.
    “Posso farle una domanda?”. Il tipo si girò a guardarmi.
    “Posso chiederle come mai ha scelto proprio noi?”.
    “In che senso?” rispose seccato.
    “A chi dovrei chiedere?”.
    “Mi scusi, intendevo perché ha scelto noi due tra tutti”.
    “Perché mi è stato detto che eravate fidanzati”.
    “E quindi? Perché voleva due fidanzati?”.
    “Ma che ne so! Perché c’è più feeling? Ne volevo due bravi e il titolare mi ha consigliato voi due, contento? Devo motivare alla merce i miei acquisti?”.
    Annuì. Che non era in vena di parlare era poco ma sicuro. Due domande ed era già scocciato. Quello che appresi però mi bastò: in primo luogo, non era in grandi rapporti con Alfredo, dato che neppure conosceva il suo nome. Quindi, era probabile non ci aspettassero sorprese. Inoltre, in qualche modo era Alfredo ad averci indirizzato subito insieme, dunque era vero che non era un caso.
    Ben presto, fui piegato a novanta sul letto e penetrato. Esternamente, mi vedevo sbattuto con vigore, assuefacendo l’ambiente con il tambureggiare dei testicoli sulle natiche e con i miei gemiti più dovuti alla fatica che al piacere. L’uomo mi teneva i fianchi e godeva nel suo solito silenzio. A un certo momento afferrò i miei capelli tirandomeli e obbligandomi a venire incontro con la testa all’insù per non sentirmeli strappare. Poi, copiosamente sentì bagnarsi il mio retto. Mi sentivo esattamente come un animale da monta, ma usato solo per fini ricreativi. Chi se ne importava no di cosa pensassi, l’importante era venirmi dentro.
    Quante volte ero stato usato come un oggetto? Quante eiaculazioni avevo preso o ingoiato? Quante persone mi avevano posseduto? E quanto sarebbe andato avanti tutto questo? Possibile che una persona come me, avrebbe dovuto trascorrere tutta la sua giovinezza in quel modo?
    Appena finì con me, ancora con il membro sporco, prese Nicolò, che dovette sedersi sopra di lui abbracciato. Tanti erano i gemiti concitati di Nicolò, nella sua solita recita ben riuscita, pochi i baci. Il sesso era soddisfacente per lui, ma dal mio punto di vista non c’era godimento. Eravamo abituati a ben altro.
    Mi stupì il fatto che avesse chiesto due ragazzi esperti per poi offrire una prestazione così normale, per certi versi mediocre. Alla fine, anche Nicolò fu inseminato e tutto ebbe fine.
    Fui sollevato dal fatto che non avremmo dovuto umiliarci ancora una volta, viste le premesse. Dopo la prestazione delle ventitré e trenta, non fummo più chiamati in causa. Daniel, Leonardo, Gavin e Nicolò andarono invece a ruba, così come c’era da aspettarselo. Nuovi, giovanissimi, belli.
    E la sera passò veloce.
    O così sembrava.
    Poco prima delle cinque del mattino, quanto ci sembrò che la giornata fosse terminata e che potessimo tornarcene a casa, il secondo atto della vendetta di Alfredo prese corpo. E il colpo inferto fu più doloroso del primo, molto di più.
    Appena si accorse che eravamo pronti ad abbandonare l’edificio, ci viene incontro spudoratamente.
    “Allora, com’è stato il rientro dalle vacanze?” ci fa sogghignando, come se avesse detto una cosa spassosissima.
    “Come scusa?” risposi garbatamente. Avevo capito benissimo, ma ci tenevo a farlo passare per una persona priva di senso dell’umorismo. Cui, infatti, mancava.
    “Dico, avete apprezzato il vostro ritorno? Vi ho pure fatto lavorare insieme, meglio di così?” chiarì inutilmente e rise.
    “Senti… Ce ne torniamo a casa” dissi snobbandolo, poco avvezzo a starlo ad ascoltare.
    “Oh se vuoi te puoi andare. Con Nicolò invece abbiamo da fare”.
    Lo scrutai per capire dove volesse arrivare, ma non mi lasciò con il dubbio.
    “Ho voglia, andiamo in una stanza libera” disse senza arte né parte.
    Ci colse di sorpresa, ma la mia rabbia non ci mise molto a montare.
    “Ho detto che sei mio. Ti avevo avvisato che era meglio stare con me, invece hai preferito lui” e m’indicò con un gesto.
    “Non avevi capito? Ora sei mio. Completamente. E posso fare le stesse cose che avrei fatto se avessi accettato. Per questo sei stato un vero stupido”.
    Non finse neppure di divertirsi; nella voce si percepivano solo la cattiveria e la soddisfazione di un megalomane.
    “va Nicolò, non aspettarmi” mi disse Nicolò tristemente sommesso.
    “Perché lo fai? Cosa vuoi dimostrare?” chiesi ad Alfredo trattenendo a stento la mia ira.
    “Cosa voglio dimostrare? Ma nulla… Sennonché questa è la strada che avete scelto con le vostre azioni”.
    “La p…”;
    “Andiamo!” m’interruppe Nicolò, stringendo la mano di Alfredo, per evitare guai maggiori. E s’incamminarono lentamente verso le scale. Non prima che Alfredo mi lanciasse un ultimo sorriso di vittoria. Nicolò era suo quanto mio.
    Cosa potevo fare? Rimanere lì e ascoltare mentre Alfredo faceva i suoi comodi lo avrebbe fatto solo soffrire di più. Ero impotente. Ora mi era chiaro perché Nicolò aveva lavorato due anni lì e mi era chiaro perché Alfredo insistesse tanto per lui. E anche se non era certo, ero convinto che Nicolò sapesse che quest’infatuazione non fosse un lampo a ciel sereno. Aveva accettato troppo presto la cosa; e questo perché, a mio avviso, aveva già immaginato questa evenienza.
    Ma c’era una cosa che mi permetteva di non sprofondare: era vero, Alfredo avrebbe potuto averlo sempre, ma non sarebbe mai stato suo. Quel rifiuto ne era la prova. E ne ero certo: non poteva sopportarlo.

    -

    Accompagnai Daniel e compagnia a casa. I poveretti, stanchi e provati, si addormentarono in auto, nessuno escluso. Non mi avevano dato segni di insofferenza: si erano ritrovati ciò che si aspettavano?
    Non passai molto tempo a chiedermelo; il mio morale era a pezzi. Che senso aveva continuare così? Dopo tutti gli sforzi per superare l’ultima settimana, ora, per un incidente fortuito, mi trovavo a dover condividere il mio ragazzo con un mostro. Un mostro che però aveva il pieno controllo delle nostre vite e non si vergognava più di dimostrarlo. Quanto sarebbe potuto andare avanti così? Ora che si era esposto così, dichiarando la sua infatuazione per Nicolò, quanto lo avrebbe torturato? Ero convinto fosse solo l’inizio. E questo dolore era altrettanto lacerante per me.

    Quando tornò a casa, Nicolò mi trovò quasi sopito sotto le lenzuola bianche, tanto che non ero sicuro fosse veramente lì o lo stessi semplicemente sognando; si spogliò e s’infilò a mio fianco, venendo accolto con tutta l’affetto che ero in grado di dimostrare. Proprio ora che le cose parevano piano piano sistemarsi e il fardello sembrava un po’ più leggero, ecco che andava di male in peggio. Eravamo in balia di un folle. Un despota innamorato pazzo del mio ragazzo.
    Lo strinsi fra le mie braccia.
    “Come stai?” domandai preoccupato.
    “Bene…” mentì lui e non disse altro.
    Non insistetti e lo lasciai in pace; se per me il dolore era lancinante, per lui che cos’era? Non bastava il fatto di essere sotto costante minaccia? Non era sufficiente essere un oggetto nelle mani di un altro? Ora avrebbe dovuto anche accettare di essere abusato tutte le volte che avesse voluto. E questo solo per difendere ciò che rimaneva della propria dignità. Come poteva sopportarlo?
    Non riuscivo a dimenticare che, appena un giorno prima, mi ero promesso di proteggerlo per sempre; invece, ecco che mi facevo da parte. Per un assurda idea di “quieto vivere”; per dipiù, lasciandolo completamente solo. E questa ingenuità non riuscivo a perdonarmela.
    Fu solo in un momento qualsiasi, steso sul letto ad aspettare un sonno che non arrivava, che me ne resi finalmente conto: non ci sarebbe mai stata pace per noi. Certo, finora non è che pensassi qualcosa di diverso, ma solo ora ne comprendevo tutta l’amarezza fino al midollo. Comportarsi bene, significava semplicemente limitarsi a sopravvivere, prolungando la sofferenza. Come potevamo davvero pensare di sopportare tutta quella paura e tutto quel dolore?
    Ed eco che allora, poco prima di addormentarmi, mi decisi: era il momento di modificare le clausole del contratto che avevo stretto con me stesso. Forse per la prima volta nella mia vita, decisi di agire veramente.
    Solo in quel modo, avrei potuto dare un senso alla paura, sopportando l’odio che covavo per me stesso e la mia inettitudine. Né io, né Nicolo, avremmo dovuto accettare per sempre tutto questo. Ne ero sempre più convinto. Se pur ero sicuro che Nicolò fosse ancora dell’idea di assecondare Alfredo, io mi sarei mosso comunque per conto mio: avrei evitato di coinvolgerlo e, in un modo o nell’altro, l’avrei protetto. Il vederci nei miei pensieri sempre lì, costretti a una vita infame, era una follia che non potevo tollerare ancora a lungo.
    Sì, avrei fatto finire tutto; non sapevo ancora come, ma l’avrei fatto. E se non riuscì a immaginare un piano, ciò bastò a farmi assopire.

    -

    La mattina seguente ci svegliammo senza troppa fretta, almeno apparentemente; io avrei dovuto trovarmi con Denise, Daniel e Federica e non avevo poi troppo tempo da perdere. Ancora una volta, decisi di non parlarne a Nicolò, preferendo non dargli altre sofferenze e mi limitai a dire che volevo tornare a Padova senza se e senza ma, deciso a impegnarmi nello studio. Ormai era anche da un po’ che mi assentavo con scuse varie dall’ufficio di Massimo, spiegandoli che ero indietro con gli esami anche a causa sua. Mi divertiva l’idea che quel posto fosse nel caos più totale, poiché non ero certo neppure che Max sapesse come si usasse un moccio.
    Mi divertì e mi stupì ancor di più nell’aprire il cellulare a metà mattinata, quando, nel momento che ormai sia Nicolò che io eravamo vestiti e stavamo facendo colazione, lo trovai carico di notifiche di what’s app. Scoprì di essere stato aggiungo a un nuovo gruppo e con me anche Nicolò. Il suo nome era “Quarantena”. Ecco i primi messaggi:

    Daniel ti ha aggiunto.
    Nico è stato aggiunto.
    Davide: ?
    Daniel: sono Daniel di ieri sera
    Davide: Come hai il mio numero? :P
    Daniel: Eheh… Presi tutti dalla rubrica di Jury :D:D;
    Davide: Perché Quarantena? :D
    Daniel: Ieri io e un paio del gruppo abbiamo avuto questa idea… Se ci trovassimo tutti insieme un giorno e ci divertiamo veramente? Non so se mi spiego :P
    Davide: Sporcaccione :D:D
    Daniel: :P
    Davide: E di chi è l’idea?
    Daniel: Mia ;)
    Davide: E poi? Provo a indovinare?
    Daniel: Dai
    Davide: Lorenzo!
    Daniel: Si :D:D. Come lo sai?
    Davide: Ahah Intuito… No è che l’avevo già sentita…
    Daniel: Beh realizziamola :P
    Jury: Perché no? :P
    Lorenzo: Yes
    Davide: Siete pazzi! :D:D
    Jury: Dai non fare la suora!
    Thomas ha abbandonato il gruppo
    Daniel: ?
    Davide: Thomas :D
    Jury: Direi che non avete legato :D
    Daniel: Pff… Voglio voi :P
    Jury: ;)
    Daniel: Dai Davide, per ora siamo già in 3
    Jury: Offro io la casa a Jesolo!
    Daniel: Ti amo!!!!!
    Jury: ;);)
    Daniel: Dobbiamo trovarci tutti! Ci teniamo liberi uno di questi giorni. Fanculo scuola e altro!

    “Stai leggendo?” chiese Nicolò mentre stavo mangiando la mia fetta biscottata. Lui era in piedi dietro di me.
    “Sì, qualcosa” risposi vago.
    “Cosa facciamo?” gli domandai incapace di nascondere una flessione divertita nella voce. Ero intimamente stuzzicato. Stava succedendo per davvero?
    Nicolò mi lanciò un occhiata.
    “Non ti basto io?”;
    “Scemo cosa c’entra?” risposi scherzosamente.
    “Dai deciditi tu…” affermai.
    “Lo so che vuoi andare” disse lui.
    Gli feci una linguaccia: “Che ne sai? Tanto decidi tu” e diedi un morso. Non avevo il coraggio di espormi; ero conscio della mia natura, che accettavo solo intimamente e con imbarazzo. Ma ero soprattutto curioso di capire meglio quella del mio partner. Infine, in un modo alquanto bizzarro, la prossima mossa che affidavo a Nicolò mi avrebbe dato un indizio su quel quesito che mi ero posto frequentando Denise, o meglio ancora, Daniel: per due come noi, era giusto avere rapporti di quel tipo con altri? E se sì, in quale circostanze?
    “Va bene… Allora…” e prese il telefono dalla tasca.
    “Gli rispondo di no” e cominciò a premere sul touch screen.
    “Come vuoi…” dissi mangiucchiando con nonchalance. Lo ammetto, un po’ mi dispiaceva. L’idea di una cosa così perversa e condivisa, una fantasia affascinante quanto sporca, la quale spingeva per divenire una realtà pressoché irripetibile, ritenni non poteva essere scartata proprio su due piedi. Seppure, non l’avrei mai confessato.
    “Scritto” confermò lui.
    “Ok…”;
    “Non leggi?”;
    “Perché dovrei?”;
    “Daniel ha scritto una cosa riferita a te. Dai guarda!”.
    Presi distrattamente il telefono e ripresi a scorrere la chat.

    Davide: Uhm… Va bene, ci sono
    Daniel: Yeah!
    Jury: Grande Dade!
    Daniel: Nico, Leo, Gavin? Scontato che ci siete. Vi bastono se dite di no!
    Leonardo: Vediamo
    Daniel: Vediamo un cazzo!
    Vincenzo: Ovvio ;)
    Daniel: ;)
    Nico: Nick ed io ci siamo
    Jury: :P

    Lo guardai in un sorriso stupefatto. E adesso era lui a rispondere con una linguaccia.

    Daniel: E siamo già sette sì e un solo no. Avanti così.

    Dopodiché, la chat si riempì nei minuti seguenti di altri commenti, tra consensi, dinieghi e dubbi.
    Lo ammetto, avrei voluto che venissero tutti. Quelli che più m’incuriosivano erano Nicolò, Leonardo e Gavin. La loro scelta era la più difficile: un sì era una chiara ammissione di intenti, fino al momento celati.
    Durante il viaggio verso Mogliano, la chat mi aiutò a distrarmi da quella che era per certo una giornata complicata. La situazione con Denise era delicatissima. Avrei dovuto chiudere e riallacciare allo stesso tempo, come fare? Non poteva bastare un solo giorno, per quanto lungo fosse.

    Luca: Ragazzi vi stupirà, ma a furia di lavorare con il mio cazzo, sarei anche stufo di usarlo! Mi dispiace, io passo!
    Daniel: :(

    Non si stacca mai da quel telefono, pensai.

    Io: Daniel cinque minuti e arrivo.
    Daniel: Ok
    Davide: Vi portate avanti?
    Io: Sì, esatto ;)
    Jury: Ragazzi ma se facessimo venerdì prossimo? So che ho la casa a Jesolo libera
    Lorenzo: Ho allenamento
    Jury: Lo salti, mi pare ovvio.
    Lorenzo: Ok :D
    Daniel: Così mi piacete
    Lorenzo: Ti riempio in tutti i pertugi venerdì Daniel, lo sai?
    Daniel: :P:P
    Io: Ok. Ora staccati dal telefono e muoviti!
    Daniel: Ok capo .I.
    Luca ha abbandonato il gruppo
    Nawfal: No grazie
    Nawfal ha abbandonato il gruppo
    Jury: Che stronzo
    Vincenzo: Che tipo!
    Lorenzo: E’ più chiuso di quello che pensate
    Francesco: Wow
    Vincenzo: Ci devi essere!
    Leonardo: Penso di sì, almeno per stare in compagnia…
    Francesco: ;)
    Nicolò: Idem

    E quindi la farsa proseguiva? Ma non stetti troppo tempo a pensarci su.

    Daniel: Undici allora! Bella raga! Jury scrivici dov’è il posto … Gnam!
    Io: Ancora li sei? Scendi giù!
    Daniel: Sono Denise e la Fede che perdono tempo! -.-

    Sarebbe davvero successo; così su due piedi, non potevo crederci. Quante volte davvero avevo mentalmente messo nella stessa stanza tutte le persone che avrei voluto. Undici… Era assurdo.

    -

    “Non è esattamente quello che mi aspettavo” commentò annoiato Daniel. Si teneva appoggiato la testa sulle braccia, mentre i vapori lo circondavano.
    “Uhm rilassati… Ci voleva proprio” commentai a occhi chiusi.
    “Sì per te che sei un nonno…”.
    “Sei un affanno. Il più pesante che conosca” dissi.
    “Di tutte le persone che conosci, proprio io? Ho seri dubbi!”
    Daniel ed io ci trovavamo isolati in un ampia vasca termale. Insieme a Denise e Federica, eravamo partiti per Abano Montegrotto. Alla fine, accettarono di partire tutti insieme nella mia macchina. In questo modo, Denise non avrebbe potuto evadere la mia presenza. All’inizio, non mi faceva impazzire l’idea delle terme; invece, ora pensavo fosse la cosa migliore possibile, vista tutta la stanchezza e lo stress accumulato. In quel modo però non avrei ottenuto nulla.
    “E se ci divertiamo un po’ cosa dici?” sussurra Daniel avvicinandosi.
    “Vade retro” risposi senza scompormi, ma Daniel insisteva ed era pericolosamente a pochi passi.
    “Dai, ci sono solo un paio di vecchi, non ci vede nessuno…” sibilò.
    “Guarda sopra e sorridi” dissi tranquillo. Finalmente Daniel notò una telecamera. Avevo sviluppato un sensibilità da pipistrello per i sistemi di sorveglianza. Ahimè, pagato a duro prezzo.
    “Cazzo!” sbraitò.
    “Tanto non volevo comunque” commentò, ma io lo ignorai. Si rimise ciondolante al suo posto.
    “Dovresti trattarmi meglio” piagnucolò.
    Aprì l’occhio sinistro.
    “Uff… Mi lasci un po’ in santa pace? Cos’hai adesso?”.
    “Lo so che sei fidanzato con quel Nicolò”.
    Ora aveva la mia attenzione.
    Si girò appoggiando la schiena alla parete.
    “Ci stai prendendo in giro”.
    “Ma…” risposi sbigottito: “Perché lo dici solo ora?”.
    “Perché non me l’hai detto tu?”.
    Come ribattere?
    “A me non frega nulla di quello che fai con me, ma è mia sorella” disse indignato.
    “Non mi fare la predica. Non te lo puoi permettere” risposi stizzito.
    “Dimmi come stanno le cose”. Il clima si stava raffreddando, anche se la temperatura della stanza era altissima.
    “D’accordo. Tua sorella mi piace, ma io sto con Nicolò”.
    Daniel mi guardò malissimo.
    “Complimenti. Questo lo sapevo. Poi che altro?”.
    E decisi per una volta di essere sincero.
    “Ho bisogno che tenga per te quello che sto per dirti”.
    “Non te lo prometto” rispose.
    “E’ una cosa momentanea. Ti giuro che glielo dirò presto”;
    “Non presto, subito!”.
    “Ascolta… Ascolta cosa ho da dire e poi capirai che non posso dirlo subito”.
    Daniel rimase in silenzio.
    “Avevi ragione. Quando ti chiesi di venire con me, mi servivano dei ragazzi. Ho incontrato Denise un giorno per caso, l’avevo conosciuta… Sai dove? Al bordello, con Carlos. Bene… Mi ha mostrato una tua foto e… Ho fatto tombola…. Capisci no?”.
    Daniel mi fissava interessato, ma lo sguardo era corrucciato.
    “Ti ho visto nella foto Daniel e ci ho provato… Ho provato a incontrarti”.
    “Quindi stai con mia sorella solo per me?” domandò meravigliato.
    “No, non era mia intenzione mettermi con Denise. E pensavo che lei non volesse; è successo e basta. Io piaccio a lei e lei piace a me”.
    “Ma figurati…”;
    “Credimi!” esclamai.
    “Comunque, non credo che stiamo più insieme oramai… La situazione è completamente sfuggita di mano quella sera”.
    Daniel mi guardò poco convinto.
    “C’è altro?” chiese.
    Riflettei. “Sì… Vi voglio molto bene a entrambi”. Daniel sussultò, sorpreso dalla sdolcineria.
    “Sei nella merda Nicolò” commentò a ragione.
    “Già… Puoi tacere per qualche tempo?”.
    “Uhm… Ok… Ma non tirarla per le lunghe…” rispose vago.
    “Grazie” dissi.
    “E poi non voglio rischiare di rovinare la giornata di venerdì. Devi esserci anche tu”.
    Lo ignorai nuovamente.
    “Senti ne ho abbastanza di stare qui. Le raggiungiamo?” domandò Daniel. Ci eravamo divisi da Denise e Federica più di un ora prima, dirette ai fanghi.
    Diedi il mio assenso. Eravamo rimasti che ci saremmo rincontrati più o meno a quell’ora e il tempo era già trascorso velocemente.
    Così come ci aspettavamo, trovammo nella calca della piscina esterna anche Denise e Federica, nelle vicinanze della fontana. Denise si era piazzata sotto la piccola cascata d’acqua calda e parlava divertita all’amica. Sembravano due incantevoli sirene. Quando si accorsero della mia presenza, l’espressione di Denise mutò tristemente, così com’era stato per tutto il viaggio d’andata. Federica invece rimase di buon umore.
    Ormai raggiunte, mi rivolsi istintivamente a Denise.
    “Denise, mi di…”.
    “Per piacere basta!” esclamò Federica nello stupore generale, anche di qualche estraneo vicino.
    “Non vorrai andare avanti per sempre?”.
    “Ma che…” sbottai confuso.
    “Lo sappiamo… Mi dispiace per quello che ti ho fatto, non so cosa mi è preso” scimmiottò piagnucolando.
    Il sangue mi salì alla testa e guardai funereo verso Denise.
    “Sì, lo so… come vedi!” confermò Federica senza perdere il sorriso.
    “Fede…” la rimproverò Denise.
    “Cosa sai?” domandai preoccupato.
    “Tutto” si limitò a dire.
    Non potevo crederci; mi misi le mani tra i capelli, arrabbiato e imbarazzato. E alla fine scoppiai.
    “E’ possibile… Che non… Denise! Perché? Da quando?” mille pensieri balenavano nella mia mente stanca e provata. Non sapevo da dove cominciare.
    “Da subito” rispose ancora una volta Federica, anticipando qualsiasi ipotesi di intervento. Aspettai comunque un commento di Denise.
    “Sì… Ma non avrebbe dovuto dirlo…” confermò lei.
    “Ma che importa a questo punto!” sbraitai.
    “Farci questo… A me e a Dani…” ma mi sorse un dubbio. Perché il fratello non aveva detto ancora niente?
    Lo scrutai velocemente e la sua espressione parlò per lui.
    “Tu lo sapevi… Tu lo sapevi!”.
    Daniel fece una smorfia da chi è stato incastrato.
    “E non me l’hai detto!”.
    “Non ci provare! Sei l’ultimo da cui aspetto la morale!” rispose stizzito.
    “Ti vuoi dare una calmata? Perché devi fare tutte queste storie?” s’intromise ancora una volta Federica.
    Ma io al momento avevo perso la testa e risposi d’istinto.
    “Non puoi farti i cazzi tuoi ogni tanto?”.
    E ottenni un occhiataccia da lei, così come da Denise.
    “Dovresti ringraziarmi invece!” rispose senza remore.
    “Ringraziarti? Ringraziarti di che?”.
    “Se oggi non devi cercarti un avvocato!” rispose.
    E quest’affermazione mi spense completamente. Per la prima volta, era reale.
    “Ma… Daniel era con me… Era consenziente…” balbettai con l’ultimo barlume di reattività.
    “Denise no, se non sbaglio” rispose con piglio deciso.
    Non dissi più nulla, visibilmente affranto.
    “Non ti devi preoccupare di questo…” continuò lei addolcendo il tono. Aveva notato il mio cambio di stato; seppur mi aveva sconfitto, non era intenzionata a banchettare il cadavere.
    “In realtà Denise non ha mai pensato di farlo, vero Denise?” fece rivolgendosi all’amica.
    Denise non disse nulla, ma sembrava acconsentire. Tirai un sospiro di sollievo e mi tranquillizzai un po’. Era brutto essere arrivati a parlarne esplicitamente, ma almeno avevo la certezza di non rischiare più.
    Volli però giustificarmi ancora una volta; allora camminai nell’acqua verso di lei, alla ricerca di un contatto. Intanto, Federica parlava ancora.
    “Quindi puoi smettere di essere così noioso e continuare a tartassarla di scuse” infierì lei scherzosamente.
    “Ma anche tu Denise dovresti smetterla con questa farsa” proseguì.
    Di che parlava? Denise spalancò la bocca sbalordita.
    “Ma che dici?” esclamò.
    “Dai… Dovresti dire come stanno le cose…” rispose Federica vaga.
    “Taci” la zittì Denise.
    Ma quello che mi stupì maggiormente, accoltellando il mio orgoglio, fu quello che successe un secondo dopo.
    “Non toccarmi!” urlò sonoramente Denise quando finalmente la raggiunsi sfiorandole la spalla. Con un gesto istintivo mi aveva allontanato la mano ed era balzata lontano, mentre mi guardava con gli occhi fuori dalle orbite.
    Quella reazione, così genuina ed esagerata, aveva allarmato una buona fetta della folla circostante. Mi sentì la persona più infima. Percepì molto chiaramente tutto l’astio e la paura nei miei confronti, la sofferenza di ciò che aveva subito. Ed ero causa e oggetto di tutto questo; proprio io che vivevo una situazione similee a causa delle vicissitudini del bordello. Io, un tempo un ragazzo affascinante e ricercato, dai modi gentili e affabili, ora ero uno sporco e sudicio molestatore. Almeno agli occhi di Denise. Quel gesto uccise ogni mio desiderio.
    Rinunciai a ogni chiarimento e, mestamente, uscì dalla piscina, allontanandomi senza guardare indietro. Al di là di pochi occhi indiscreti, la folla era tornata a vociare, ma al centro della piscina sapevo ci fosse un silenzioso trio che mi fissava dirigermi in spogliatoio.

    -
    Mi accasciai sulla panchina dello spogliatoio degli uomini, privo di energie. Cosa c’era ancora da dire? Questa volta non ero in grado di sbrogliare tutti i miei problemi in un colpo solo. Fosse stato per me, con le residue forze, mi sarei vestito e sarei tornato a casa, ma non potevo. Maledicevo il momento in cui decisi di offrirmi a fare da autista per tutti.
    “Ti sembra il modo di andartene via?”. Una voce femminile proveniente dalla porta della stanza sorprese me e le altre persone in spogliatoio. Era la voce di Federica.
    Senza alcuna vergogna, mi venne incontro al centro della stanza, dove ero seduto sulla panchina. Ignorò completamente le persone che la guardavano con stupore e interesse.
    Sconfitto e affranto, abbassai lo sguardo al pavimento.
    “Cosa ci fai qui? Non puoi entrare…” dissi a bassa voce.
    “Perché sei fuggito via?” domandò lei ignorandomi.
    “Me lo chiedi anche…” risposi mestamente.
    “Ma dai… Te la sei presa?” chiese ridacchiando.
    La fissai, infastidito da tanta irriverenza, ma mi limitai a dire: “Hai visto cosa ha fatto?”.
    Federica distolse lo sguardo per un momento, dando involontariamente segno di non negare.
    “Sì, ha esagerato” affermò.
    “No, non è vero… E’… E’ normale” commentai tristemente.
    “Uffa come sei noioso” commentò lei snobbandomi.
    “Fede… Ti prego…” dissi stancamente.
    Finalmente, parve capire e smise di canzonarmi. Infine, si sedette silenziosamente alla mia destra.
    “Ha sbagliato a reagire così, poteva risparmiarselo” insistette lei.
    “Ma che dici?” risposi stupito da tanta ingenuità.
    “Tu non la conosci bene” continuò lei, infastidendomi ancora di più.
    “Te le donne non le capisci proprio”.
    Volente o meno, aveva risvegliato parte del mio orgoglio. Con un sussulto di dignità risposi:
    “Con tutte quelle che ho avuto, non capisco le donne?”.
    Federica sorrise smaliziata.
    “Il fatto che tu sei stato con tante ragazze non significa che capisci le donne” e pronunciò il suo sorriso, poi proseguì.
    “Sei un bel ragazzo e quindi per chi ha gusti scontati e banali è normale che piaci. Questo non significa che ci capisci”.
    “Quindi Denise avrebbe gusti scontati?”.
    “Esatto” rispose.
    “Hai molta stima di me” commentai sarcastico.
    Federica fece una smorfia divertita: “Comunque… Denise è molto più forte di quanto credi”.
    “Come te?” domandai malizioso, con l’intento di sminuirla.
    “Quasi” rispose con nonchalance.
    “E questo cosa vorrebbe dire?” domandai.
    Federica si alza in piedi e dice: “Che il punto non è quello che pensi tu”.
    Faticavo a intenderla. Presi qualche secondo, ma non riuscì a schiarirmi le idee.
    “Fammi capire” dissi.
    “Ci devi arrivare da solo” rispose vagamente, guardandosi in giro. Il numero di occhi indiscreti attorno a noi era aumentato. Forse in poco tempo si era sparsa la voce della presenza di una bella ragazza nello spogliatoio degli uomini e la presenza maschile si era moltiplicata come funghi. Ora era lei che voleva andare via, mentre io desideravo che rimanesse.
    Gli presi la mano e insistetti: “Per favore, dimmi cosa sai”.
    “Non posso parlarne”.
    “Perché?”.
    “Non vorrebbe”.
    “Ti prego”.
    “No”.
    “Ti prego…” perseverai trattenendola per il braccio.
    “Nicolò…”
    “Ti prego!” e mi alzarmi istintivamente, arrivando senza accorgermene a pochi centimetri dal suo viso. La fissai meravigliato, prima perso nei suoi occhi cerbiatti, poi abbagliato dallo splendore della sua pelle levigata da gocce d’acqua. Lei sorrideva divertita per la situazione creatasi.
    “Scusa…” dissi sottovoce mentre mi sedevo nuovamente.
    “E’ che ne ho bisogno, davvero…” commentai.
    Federica sbuffò e alla fine disse: “E va bene, ti darò un indizio”.
    La guardai dal basso verso l’alto, come se mi aspettassi qualche cosa di inutile.
    “Lei ti ha perdonato” affermò.
    Sgranai gli occhi.
    “Ma…”.
    Come poteva essere vero?
    “Non può essere… Allora perché prima…”.
    “Non lo so… Sai che è così… Ha voluto colpirti probabilmente…. E c’è riuscita” rispose lei.
    Rimasi basito. Ma in fondo ci sperai subito, recuperando un po’ di smalto e colore.
    “Quindi… Secondo te, il problema è un altro?” chiesi, volendo conferma.
    “E’ un altro” rispose sicura di sé.
    Non ne ero sicuro; non avevo troppa fiducia nel Federica pensiero, ma quella ragazza trasmetteva un carisma e una sicurezza che non conobbi prima d’ora nel gentil sesso. Sembrava, a suo modo, inscalfibile. E gli credetti.
    “Devi capirlo da solo però. Io non ti dirò più niente… Anzi, non te ne ho proprio parlato”.
    “D’accordo” dissi cercando di sorridere.
    “Andiamo” m’invitò con un cenno della testa.
    “Dove?” chiesi un po’ spaesato,
    “Denise e Daniel sono andati al centro massaggi. Ho detto che gli avremmo raggiunti”.
    “Guarda, non è che abbia poi tutta sta voglia…” risposi gentilmente. Ma non ebbi che il tempo di finire la frase che mi trascinò fuori prendendomi per la mano destra.
    “Non fare il cretino. Vieni e basta” si limitò a dire.
    Non replicai. E mi accorsi di quanto mi piacesse quel suo carattere, ora più di prima.
    “E poi voglio che mi racconti un po’ i particolari dell’altra sera” mi sussurrò all’orecchio.
    “Dai…” risposi estremamente imbarazzato.

    -

    L’ombra che s’interponeva tra me e Denise non scomparve per il resto della giornata, anche se i nostri compagni, inconsapevolmente o meno, provarono a coprirla con le loro presenze.
    Prima di tornare a casa, decidemmo di fare tappa in un caotico e popolato pub in strada prima di Mogliano. Principalmente, fu Federica a insistere, con il timido assenso di Denise e l’ancor più timido di Daniel, che probabilmente aveva altri programmi per la testa che trascorrere le ultime ore della serata in compagnia delle frequentazioni della sorella. Dalla mia parte, ebbero un incondizionato assenso, dato che non avevo né di meglio da fare, né ero soddisfatto di chiudere la giornata con Denise in quel modo.
    Inizialmente, pensavo potesse essere l’occasione di scambiare qualche battuta con lei per alleggerire il clima; presto però dovetti ricredermi perché il locale era davvero stracolmo di gente e il parlare era reso una fatica ingiustificata dalla musica ad alto volume. Finì dunque per limitarmi a qualche battuta di circostanza, facendomi presentare tante facce di amici di Federica e Denise di cui non ricordai già nulla qualche minuto dopo. Inoltre, essendo io alla guida, non potei neanche sfogarmi nell’alcool, finendo tristemente a osservare da un punto di vista sociologico l’approccio della fauna del posto, con in primis i miei tre compagni.
    Dall’alto di tutta la mia ignoranza, riuscì a dare conferma su quelle che era alcune mie idee su di loro e il loro modo di rapportarsi alle persone. Notai che, se per Federica ogni interazione era vissuta con spontaneità , nel bene e nel male, comandando il tenore e il successo del dialogo e del rapporto, per Denise tutto ciò fosse più effimero. Denise chiacchierava, era cercata, sia da ragazzi sia da ragazze, ma sembrava sempre esserci un solco tra lei e gli altri, una sorta di barriera scalfita dagli altri e respinta involontariamente tra parole e sorrisi di circostanza. Federica era naturale, non s’interessava nel provocare reazioni positive o negative e di risultare simpatica o meno. Denise invece sì; non perché le importasse degli altri, ma perché gli importava di se stessa e dell’immagine che da essa ne derivava. Con il risultato che, per quante persone gli girassero attorno, non percepivo un rapporto davvero sincero con nessuno. Addirittura io, con il mio pigro interesse, mi sentivo già più vicino e intimo a tutte quelle persone rispetto a lei. Anche Daniel, per cui tutti quelle amicizie erano inutili e non cercate, dava la sensazione di essere molto più a suo agio. Infine, arrivai a pensare che tutto ciò poteva spiegare l’amicizia tra Denise e Federica; ora più di prima, ritenevo che il loro fosse un più o meno conscio rapporto in cui la prima era subordinata alla seconda. Non perché Denise fosse timida, o non avesse un suo modo di vedere il mondo; di tutto ciò, Denise non ne era sprovvista, ma l’approccio alle cose di Federica era decisamente più forte e coinvolgente. Vederla in azione, ti faceva venire voglia di seguirla.
    Quella serata non fece dunque che rendermi tutto ciò più evidente: detto grossolanamente, Federica era il leader, Denise una degna seguace. Con il risultato di farmi accrescere la stima per la prima, sottovalutando la seconda senza volerlo.

    -

    Tutto ciò che io non bevvi, fu recuperato senza dispiaceri da Federica, che, oltre alle sigarette, con spesso qualche aggiunta speziale, aveva il vizio dell’alcool. Come se non bastasse, tutto ciò aveva l’effetto di caricarla come una molla, rendendola ancora più chiacchierona e smaniosa di mettersi in mostra.
    Giunti a casa di Denise, fui sfidato a recuperare l’alcool perso.
    “Non mi pare il caso” commentò Denise.
    “Stai zitta, solita guastafeste” l’ammonì una Federica già abbastanza su di giri.
    “Allora campione? Accetti il gioco?” ridomandò stravaccata sul divano.
    “Credo che Denise abbia ragione. Non mi pare che sei in condi…”;
    “Ma andiamo!” esclamò interdetta, interrompendomi come al suo solito.
    “Sei un uomo? Davvero?” chiese irriverente con tanto di smorfie.
    Non ci cascai e mi limitai a dire:
    “Ti piace bere, fumare e giocare ai videogiochi di guerra… Direi che sei più uomo tu di me”.
    “Ma veramente…” commentò alzandosi per dirigersi verso la cucina. Quindi superò Denise a braccia conserte sul corridoio, dirigendosi in cucina.
    “E adesso dove vai?” domandò quest’ultima divertita.
    “Mi sbronzo”.
    “Fai come se fossi a casa tua!” esclamò Daniel che ora aveva preso possesso del divano.
    Denise ignorò i due e si rivolse a me, una delle rare volte in quella serata.
    “Puoi venire un attimo di sopra?”.
    “Certo” risposi su due piedi, molto sorpreso. Ci incamminammo per le scale, chiudendoci nella sua stanza, come ai bei “vecchi” tempi.
    “Ti prego, dimmi che non vuoi farmi cacciare la Fede da casa. Ho paura” esordì quando chiuse la porta alle nostre spalle.
    Denise sorrise dolcemente, accomodandosi sopra al comò a braccia conserte.
    “Ormai si è attaccata alla bottiglia, se faccio un movimento azzardato è capace di strapparmi la pelle dalla carne” continuai.
    “Ha un leggero vizio” commentò lei partecipando al sarcasmo.
    “Sì, appena appena…” risposi.
    “Ti ringrazio per la giornata….” Irruppe lei.
    “Che dici? Me la sono passata… Grazie a te… Per avermi permesso di partecipare…”. Ora più di un velo di imbarazzo s’interpose nuovamente.
    “Vorrei che ti fermassi a dormire qui” disse per mia sorpresa.
    “Sei sicura?” domandai cercando di nascondere il mio entusiasmo. Per un attimo, credetti che si stesse impegnando a riallacciare i rapporti. Presto avrei dovuto ricredermi.
    “Sì… Anche la Fede si ferma qui. Eravamo d’accordo sin da quando abbiamo organizzato la giornata. Anche se abita vicino, in quelle condizioni… E anche per te, fare tutta quella strada… E poi… Direi che sarebbe meno sospetto…” disse digredendo a testa bassa.
    “Sospetto?” domandai perplesso.
    “Sì, insomma… Hai capito?”.
    “No…” risposi sincero.
    “Abbiamo passato una bella giornata… Non voglio mandarti via… Così penserebbero che abbiamo rotto…”.
    Denise rimaneva sul vago, ma il suo tono era piuttosto deciso.
    “Comunque… Scusami per quello che è successo alla fontana”.
    Un po’ confuso, finalmente apprezzai le sue parole: “Non devi scusarti, hai i tuoi motivi…”.
    Denise non aggiunse altro. Stette qualche secondo in silenzio, infine disse:
    “Penso che d’ora in avanti dovremmo limitarci a vederci al minimo…”.
    Rimasi immobile. Quelle parole, evidentemente pensate da un pezzo, erano venute alla luce.
    I secondi passavano, mai io non dissi niente. Anche Denise non pareva intendesse aggiungere altro. Il suo linguaggio del corpo a braccia serrate, era impenetrabile. Non si permise di allontanarsi; era un momento duro e sentito, per me quanto per lei.
    Ero convinto che, al di sotto di quell’atteggiamento freddo e distaccato, covasse un dispiacere non indifferente, ma fu brava a eluderlo. Pur con questa consapevolezza, fui infastidito dal non percepirlo esteriormente. Avrei dovuto essere sollevato, perché era quello a cui avrei dovuto razionalmente mirare. Ma, forse per il dispiacere di essere scaricato, forse per come fosse avvenuto o forse per chi l’aveva fatto, fu la parte più stupida e piagnucolante a sopprimere la mia ragione. Presto ne fui soggiogato.
    “Ok…” dissi in un primo momento. Ma, nolente, ero pronto a esplodere al primo appiglio. Che arrivò.
    “C’è qualcosa che vuoi dirmi?” domandò lei sollevando lo sguardo. La domanda mi fece salire il sangue al cervello. Quel tenore, quello sguardo, quel timbro vocale; tutto ciò mi faceva sembrare uno stupido e non lo sopportavo.
    “No, Denise… E’ giusto così… E’ giusto che paghi per il mio errore, che non abbia un'altra occasione. Mentre con Daniel continuerai come nulla fosse” dissi con pacatezza, colpendo nel segno.
    Denise mi fulminò: “Che vuoi dire?”.
    “Che cosa voglio dire? Che cosa voglio dire? Che con Daniel farai come se nulla fosse. Con me invece no… Eh beh… E’ giusto, allontaniamo l’orco cattivo…”.
    Ero consapevole di essermi spiegato in maniera piuttosto stupida, ma non lo lasciai a vedere.
    “Daniel è mio fratello, ci devo vivere con lui. Ma con te no…” rispose duramente, corrucciando il viso.
    “Infatti sono l’unico colpevole!” sbottai muovendomi per la stanza. Ormai non nascondevo più l’agitazione, ora che mi aveva davvero risposto crudamente.
    “Ma te come ti permetti di parlare di Daniel?” disse rimanendo sempre seduta a braccia conserte sulla scrivania.
    “Guarda cosa hai fatto… Hai anche il coraggio di fare ste scene” proseguì.
    “Quali scene? Di cosa mi vuoi accusare?”.
    “Come hai potuto portarlo con te? Come hai…”.
    “Io non l’ho costretto!”.
    “No… Si è invitato da solo!”.
    “Io ho solo…”;
    “Ha quindici anni Nicolò, quindici… Lo capisci? Come hai potuto?”.
    “Tu ne hai diciassette, eppure sei venuta”.
    “Era diverso… Era diverso…” disse scuotendo il capo come se parlasse a un idiota.
    “Ora lui lavora…”.
    “Anch’io, allora? Mi hai conosciuto lì e ti sei messa insieme a me”.
    “Tu non sei mio fratello e sei maggiorenne, perché fingi di non capire?” disse sospirando. Infine, finalmente si alzò, pronunciando le parole che cambiarono definitivamente il mio stato d’animo.
    “Capisco che tu sia arrabbiato per essere stato lasciato…”.
    “Smettila!” sbottai digrignando i denti. Non potevo più sentire altro; dopo avermi scaricato, elargendo ogni sorta di colpa senza più complimenti, ora mi alienava anche ogni emozione dal nostro trascorso.
    Lei si zittì preoccupata per la mia reazione. Arrivai a pochi centimetri dal suo volto, calmandomi un po’.
    “Smettila di negare i fatti. A chi menti? A me o a te?”.
    “Cos…”.
    “Te non provi niente per me. Dispiace solo a me? Ok… Ma non negare quello che è successo con Daniel. Era inevitabile e non dipende da me”.
    “L’hai detto tu che merito di meglio” rispose altezzosa, ignorando la seconda parte della frase.
    “Neanche Carlos mi avrebbe fatto questo”.
    E risi sinistramente, deluso e affranto per la sua indisponenza.
    “Ma certo. Va bene Denise, è tutta colpa mia. Ti senti meglio adesso?”. E senza aspettare una risposta, lasciai la stanza, allontanandomi da una situazione tanto sorprendente quanto prevedibile.
    Non so cosa avessero sentito di sotto; pensavo che eravamo stati abbastanza bravi da controllare la nostra ira, tanto da non alzare troppo il tono. Quanto scesi le scale, ne ebbi conferma: Daniel e Federica erano seduti sul tappeto davanti alla tv, presi a giocare a Call of Duty. Inoltre, sul tavolino era messo in luce un bottino niente male di liquori e drink vari.
    Mi afflosciai sul divano, scosso dagli avvenimenti improvvisi. Perché ero così adirato? Perché non accettare quella lettura della realtà se alla fine non facevo che trarne vantaggio? Con Denise era finita e non rimaneva che una tenue amicizia dovuta al rapporto particolare tra me e Daniel. Tutto ciò mi consentiva di non dover più portare avanti un estenuante quanto ingiusta relazione a tre, ma bensì di proseguire in tutta sincerità il rapporto con Nicolò, la mia vera scelta. Capivo che fossi amareggiato dai ragionamenti di Denise, così come dal fatto che il mio orgoglio venisse messo alla prova a causa del fatto che ero stato respinto, cosa per me abbastanza inedita. In passato era avvenuto, ma solo perché io avevo indotto indirettamente qualcuna a farlo. Questa volta ci tenevo, ci tenevo di più di quanto avessi creduto.
    E misi mano al bicchiere. Poi a un'altro ancora.

    -

    “Perché non giochiamo al gioco del vero o falso?” propose Daniel.
    “Non mi interessa. Voglio solo bere. Così rischio di rimanere astemio. Facciamo come dice Federica” risposi senza pensarci su.
    “Così mi piaci, te Denise giochi?” commentò sogghignate Federica, seduta nuovamente sul divano. Alla sua sinistra era accucciata Denise, scesa poco dopo di me, con il piglio di chi fosse lì per caso.
    Da galantuomo, mi ero seduto sul tappeto dietro al tavolino e davanti a loro, con Daniel alla mia sinistra, lasciando posto a Federica. Più onestamente, non avevo piacere a sedere accanto di Denise.
    “No Fede…”.
    “Giochiamo tutti” m’intromisi. Denise mi guardò torva ed io le risposi altrettanto.
    “Siamo in compagnia, tutti insieme. Perché te ne devi stare per gli affari tuoi?”.
    “Beh, ha ragione” commentò Federica se pur in tono molto più gioviale: “Non fare problemi”.
    “Uff... D’accordo”.
    “Daniel?” domandò Federica.
    “Ovvio” rispose lui.
    “Non rompere” disse rispondendo allo sguardo ammonitore della sorella.
    E fu così che cominciammo a giocare, a suon di rum e pera.
    Partito carico a mille e sobrio, una ventina di minuti dopo mi ritrovai sudato e allampanato. Oltre che sconfitto.
    Al quinto shot, Denise era già k.o., o così affermava. Daniel lo fu sicuramente al decimo, abbandonando addirittura la postazione per una capatina al bagno quando la sfida divenne un duello a suon di limone, sale e vodka. Al quattordicesimo bicchiere dovetti alzare bandiera bianca, sconfitto da una ragazza, già ampiamente brilla.
    “Non ci posso credere…” sbraitai con la testa sul tavolo.
    “Sei un novellino” commentò una fiera Federica.
    “Sei te che sei un alcolizzata” risposi con voce strascicata.
    “No, te sei un novellino. Non eri preparato per resistere. Si mangia prima sai?”
    “Ma taci… Perché non ti alzi in piedi?”.
    L’unico movimento che fece, fu quello per accendersi una sigaretta. Intanto, Daniel tornava nel mondo dei vivi, trattenendosi le interiora.
    “Ecco il nostro campione!” urlai, ridendo stupidamente ed esageratamente.
    “Chi ha vinto?” domandò sommesso, avvicinandosi a piccoli passi.
    “Io, ovviamente” disse tronfia Federica.
    “Ma certo che sì, ti ho detto che non potevi batterla” commentò lui, sedendosi nuovamente alla mia sinistra.
    “Tu invece? Deludente” dissi per stuzzicarlo. Daniel non era però troppo in vena di ribattere.
    “Non parliamo di Denise” aggiunse Federica.
    E fu lì che decisi di rilasciare tutto il mio rancore.
    “Eh sì, sono più bravi a succhiare cazzi… Sia lui che lei” esclamai recitando una risata gustosa.
    Federica fece una smorfia di sorpresa, ma non parve preoccuparsi della durezza del colpo assestato. Daniel mi guardò incredulo, così come Denise, decisamente funerea. Ma la reazione rabbiosa che mi aspettavo non arrivò. In fondo al cuore, però, la desideravo.
    “Che tipi” commentò Federica aspirando la sigaretta.
    “Certo che come voi, non ne ho mai conosciuti”. Stava affrontando l’argomento, tra lo stupore generale, fuorché il mio. Sentivo che era l’occasione di sfogarsi, pur sapendo che stessi già sbagliando abbastanza.
    “Fede smettila di dargli corda” disse Denise a bassa voce: “Ma cosa ti passa per la testa?”.
    “Ma dai Denise…” commentò l’amica come nulla fosse: “Non fare la suora dai…”.
    Negli occhi freddi di Federica, assistevo a un teatrino inaspettato, quanto inebriante. Così come me, anche in lei sentivo quella mal sopportazione nell’ipocrisia di Denise. Stavo rinvigorendo.
    “Tranquilla, era un complimento” dissi rivolto a Denise, ma non mi fermai; la fissai e dissi:
    “Apprezzo davvero come lo fate. Tutti e due” e poi sospirai, lasciandomi cadere di schiena sul pavimento e fissando il soffitto. L’alcool scorreva nelle vene e nella testa. Mi ero lasciato andare e non intendevo fermarmi. Ne avevo per tutti e mi sentivo libero.
    “Oh si!” urlai cercando di farmi sentire a tutti i costi. Mi risollevai, tornando seduto, in attesa di essere offeso se non addirittura cacciato a suon di calci. Ma ormai ero in uno stato catatonico, in attesa di insultare tutto e tutti.
    Mi rivolsi a Daniel e dissi: “Non devi offenderti, anzi. E’ un complimento. Io e te siamo due professionisti” e trangugiai da una bottiglia a caso sul tavolo che scoprì fosse birra solo dopo averne ingurgitata un bel po’ e infischiandomi dei brontolii del mio stomaco.
    Nessuno però pareva voler fare la prima mossa, ognuno nelle sue postazioni. Anche Federica, sorpresa dalla mia follia, si era come calmata, lasciandomi prendere la scena.
    Percepivo qualcosa di strano. Non ero andato a segno? Possibile?
    Non percepivo odio. Sembrava quasi che, dalle mie parole, fosse uscito un tema di discussione. Insolito quanto interessante.
    Daniel mi guardava ammirato, Denise era una sfinge, Federica fumava imperterrita e sorridente. Incrociò le gambe sotto di lei e disse:
    “Devo chiedertelo… A te piace fare quello che fai?”.
    Era chiaro cosa intendesse.
    “Strano che non mi chiedi perché lo faccio”.
    “Perché lo fai è ovvio. Voglio sapere se ti piace?”.
    “Se mi piace fare sesso con chiunque? No. Ma mi piace fare sesso” e colsi la palla al balzo, perseverando in tutta la mia follia, e, senza distogliere lo sguardo smorto che avevo, dissi:
    “Per esempio, io ora vorrei strapparti i pantaloni e trangugiare tra le tue gambe” e come se non fosse abbastanza simulai un triste imitazione con la lingua e tanto di suoni.
    Non mi sembrava di essere me stesso.
    “Cosa ne dici?”.
    Silenzio di tomba. Avevo finalmente esagerato?
    Federica non sembrò scomporsi, o così parve. Si limitò silente a finire la sigaretta. Poi disse freddamente:
    “Non mi piaci”.
    “Cosa?” risposi sghignazzando.
    “Non intendere male. Sei bello, no bellissimo. Ma sei solo un porco…” sempre con lo stesso tono.
    “Cosa fai la pudica? Te sei Suor Teresa” interruppi io.
    Non rispose.
    “Sì, lavoro in un bordello. E con questo?”.
    “Capisci male… E non mi fai finire” rispose.
    “Oh perché lei vuole il ragazzo alternativo… Io sono troppo banale” dissi rivolto a non so chi e arruffando ogni imput nel mio cervello di dialoghi passati.
    “Ti sfido a fare la vita che faccio io” conclusi.
    “E cosa faresti tu? Dovrei ammirarti?” chiese sorridendo. Poi aggiunse:
    “Te non fai che scopare. Tutto qui. Per questo ti ho chiesto. Ti piace?” e sorrise compiaciuta.
    “Sei più ipocrita di Denise” commentai.
    “Ma perché devi mettermi in mezzo? Cosa centra?” sbraitò quest’ultima chiamata in causa. Era come se spuntasse dal nulla. Preso dal discorso con Federica, mi ero dimenticato quasi della presenza degli altri.
    “Su questo ha ragione, Denise” rispose Federica.
    “Ma da che parte stai?!” chiese lei esasperata.
    “Dalla parte di nessuno” e prese il bicchiere per l’ennesima volta. Poi torno a rivolgersi a me.
    “Non sono ipocrita. Dico solo questo. Sei un porco. Punto. Non c’è niente di male, ma ammettilo”.
    “Scusa?” domandai, cercando di capire dove andasse a parare.
    “Sei un porco. Ammettilo” insistette per mio grande fastidio. Anzi, rincarò la dose: “Sei un maniaco, sei un erotomane, sei un ninfomane”.
    Rimasi finalmente basito.
    “Ti da fastidio?” domandò.
    Avrei voluto urlare contro ogni epiteto, ma alla fine dissi soltanto questo: “Non penso di essere una persona disturbata. Quindi, darmi del erotomane e ninfomane mi pare un po’ eccessivo. E non credo tu abbia le conoscenze scientifiche per darmi del malato”.
    “Beh, allora diciamo che sei semplicemente un porco” rispose forse capendo di essere andata troppo oltre.
    Daniel rideva silenziosamente.
    “E tu sei uguale” disse Federica rivolto a lui.
    “Cosa?” commentò sorpreso di essere chiamato in causa. Ora che si divideva l’accusa, mi sentì un po’ più sollevato e rinforzato, ma non volli prendere le sue difese.
    “Perché insisti?” domandai.
    “A dire che sei un porco?”.
    “Sì”.
    “Perché voglio che tu lo ammetta”.
    “E perché?”.
    “Perché lo sei”.
    “E perché vuoi che lo ammetta?”.
    “Perché non lo vuoi ammettere. Ti da fastidio”.
    Non capivo dove volesse arrivare. Ero veramente un porco? Sì, lo ero. Era vero, non volevo ammetterlo e mi dava fastidio. Federica però voleva arrivare a qualcosa, me lo sentivo. Ed io ero ubriaco, terribilmente ubriaco. E allora decisi di riprendere il piglio sospeso.
    “Sono un porco”.
    “Oh!” esultò sobbalzando dal divano. “Finalmente. Ci voleva tanto?” aggiunse, risistemandosi seduta a gambe incrociate.
    Sorrisi.
    “Ti piace scopare?” mi chiese, sempre più coinvolta.
    “Sì”.
    “E adesso?”;
    “Sì”.
    “Con chi?”;
    “Con te”.
    Federica rise trionfante, padrona del gioco.
    “Cosa ridi? E’ tutta la sera che te lo ripeto”.
    Federica mi fece un cenno con il capo, indicando Denise. Guardai quest’ultima con sguardo spento e disinteressato. Mi fissava inorridito.
    “Che c’è? Hai detto che abbiamo chiuso, no? Solo amici, al massimo… E quindi te lo dico: vorrei scoparmi la Federica. Capito?”.
    E sempre più fuori controllo dissi:
    “E anche te”.
    Denise sgranò gli occhi per poi girare il viso, più imbarazzata che furiosa. E se io ero fuori di me, Federica godeva come un riccio.
    “Vuoi scoparmi?”.
    “Sì”.
    “Ma io non voglio”.
    “Perché?” domandai piagnucolante.
    Non rispose.
    “Cosa posso fare… Per convincerti?”
    “Oh… Che caro” disse sarcastica, ma sempre più lusingata.
    “Fede basta, non vedi che è ubriaco marcio?” sussurrò Denise.
    “Dovresti bere anche tu. Vedi…” e versò della vodka nel suo bicchiere.
    “Su… Meno parole e ingurgita” ordinò lei. Federica la braccava e Denise bevve.
    Cosa stava succedendo?
    La mia vista si stava annebbiando. Sentivo il mio corpo sempre più intorpidito e la testa girava vorticosamente. Cosa stava succedendo?
    “Dai, ti prego…” piagnucolai ansimante e saltellando sul posto. Mi sentivo sempre peggio, ma, allo stesso tempo, volevo sentire dove quella ragazza volesse andare a parare. Ma soprattutto, ero estremamente eccitato dall’idea di farla mia.
    “Non sono interessata Nicolò” insistette lei.
    “Ma io voglio!”.
    “Nooo” cantilenò lei.
    “Dai!”.
    Scoppiò a ridere.
    Denise continuava ad ammonirla inutilmente, ma Federica alla fine badava solo a me.
    “Piuttosto che farlo con te…” e avvolse Denise nel suo braccio destro. Denise, proprio quando si stava tranquillamente limitando a sorseggiare il suo drink, fu sorpresa dall’amica, volgendo il volto verso di lei. E questa le scoccò un bacio, poi un altro.
    “Fede…” sussurrò sbalordita e questa le entrò rudemente nella bocca, sensuale come una donna e selvaggia come un uomo.
    Osservavo la scena meravigliato ed eccitato. Più cercavo di focalizzare la scena e più la mia vista dondolava incerta. Cosa invece non aveva rimostranze, era il mio membro, ormai di marmo e desideroso di venir chiamato in causa.
    Il rumore delle labbra e delle lingue intrecciate in quelle bocche ambite era inebriante. Denise e Federica. Due bellezze mediterranee, formose e accattivanti. La prima, il mio fiore angelico ormai perso, così sensuale in tutte le sue incoerenze. Al dispetto di Federica, era però la rappresentazione della sensualità angelica, a dispetto delle trasgressioni più becere che mi provocava quest’ultima.
    “Anch’io… Vi prego” supplicai.
    Denise si ridestò come da un sogno, mentre Federica era perfettamente vigile, ma sempre più scomposta.
    “Ci vuoi?”.
    “Sì sì”.
    “Ma come? Vuoi tutte e due? Non ti basto io?”. Federica mi prendeva in giro.
    “No no, solo te”.
    “Ma bravo, offendi Denise no”.
    “No scusa, hai ragione, ma…” e mi alzai, incapace di trattenermi. Mi sedetti tra loro.
    Denise era pronta a sgattaiolare, Federica invece ora mi osservava e sorrideva da vicino.
    “No, non andare Denise” dissi cercando di essere più gentile possibile, ma senza riuscire a non biascicare.
    Comunque, questa si arrestò, incredula e in attesa di una mossa dalla sua amica. La guardammo: pareva così tranquilla e padrona di se stessa.
    Non avevo mai fissato i suoi occhi smeraldo per così tanto tempo. In genere, mi destavano imbarazzo, ma ora mi sentivo forte. Immerso nel suo profumo, così potente ma femminile, squadrando le formosità del suo corpo, ora mi rendevo conto di quanto alla fine fosse così piccola rispetto a me. Perché avere paura?
    Solo ora mi resi conto che lei lo aveva sempre percepito. Di fronte alle mie stupidaggini, non si era mai scomposta, teneva il suo viso appoggiato sul pugno e si limitava a guardarmi sorridente. Doveva percepire in me solo tanta fragilità, almeno rispetto alla sua sicurezza. Quelli sguardi sostenuti, stavano finalmente cambiando i connotati del rapporto di amicizia tra di noi.
    “Farai tutto quello che ti dico?” sussurrò.
    “Sì”.
    “Su, spogliati” sospirò senza distogliere lo sguardo dal mio corpo.
    Fremevo. Dalla gioia, dall’eccitazione e dall’ansia. Dopo tutto quel tempo che inseguivo, ormai ero arrivato a pensare che non poteva succedere.
    Mi alzai in piedi, visibilmente tremante e, barcollando, presi a levarmi il maglione con più fretta possibile. Tutti erano fermi, anche se la stanza girava attorno a se stessa. Ignoravo le vertigini, perché volevo troppo mostrarmi. Solo una cosa mi chiedevo. Perché Denise non se ne andava?
    A grande fatica, riuscì a levarmi tutti i vestiti, pantaloni e calzini compresi, che si impigliavano di continuo a causa della mia ubriachezza ed emozione.
    Completamente nudo, con il membro in tiro al massimo. Mi sedetti nuovamente in mezzo, pronto ad afferrarle. Avevo la pelle d’oca.
    “Ah fermo!” sbottò Federica quando cercai in un primo momento di abbracciarle entrambe. Inizialmente, provai a ignorarla, poi al secondo monito mi arresi.
    “Ehi cosa ho detto? Fermo. Cosa abbiamo detto? Eh, allora?” insistette lei ammonendomi con l’indice.
    “Che devo fare quello che mi dici”.
    “Appunto. E invece stavi prendendo iniziativa. Mai più… La prossima volta, ci alziamo e ce ne andiamo”.
    “No! Prometto!” urlai disperatamente. E comicamente.
    “Libera il tavolino e siediti sopra” . Arrivò il primo ordine.
    Fuori di senno, balzai in piedi, scaraventando con il braccio destro tutte le bottiglie e i bicchieri per terra, che fracassarono facendo un rumore infernale. Erano ormai passate abbondantemente le due di notte.
    “Ma quanto sei deficiente!” sbraito Denise, mentre Federica era scoppiata dalle risate.
    Non badai né all’una, né all’altra e mi sistemai sul tavolino basso di legno. Questo, unto e bagnato qua e la dall’alcol, mi risultò appiccicaticcio al contatto, visto che anch’io contribuivo sudando copiosamente.
    Senza ritegno, mi posizionai semisdraiato a gambe flesse, sorreggendomi sui gomiti e mettendo in orgogliosa mostra tutta la mercanzia alle due ragazze di fronte. Continuavo a dare le spalle a Daniel, seduto paralizzato dietro di me. Cosa provava? Conoscendolo, stupore misto a eccitazione.
    Presi a palparmi senza che mi fosse richiesto, gemendo in preda ai sensi. Ero un porco, l’avevo ammesso no?
    Per un po’, resistetti alla tentazione di masturbarmi, limitandomi ad accarezzarmi il petto con la mano sinistra e l’addome e i testicoli con la destra, leccandomi lo scaggio e la spalla sinistra, ma ben presto ogni resistenza venne meno e cominciai a menarmelo sempre con più foga. Se non sarei stato attento, avrei rischiato di venire subito e non volevo proprio.
    Guardavo specialmente Federica, il frutto che non avevo mai colto, limitando gli sguardi a Denise. Avrei voluto che si eccitasse, o meglio, che si lasciasse andare. Ma lei mi fissava inebetita. Quando la guardavo, non dicevo nulla e mi limitavo a masturbarmi; con Federica, rispondevo ai suoi sorrisi leccandomi le labbra.
    Anche Federica, non apprezzava l’atteggiamento comprensibilmente spaventato di Denise. Quindi, o almeno penso per questo, aveva ormai preso ad abbracciarla a se, come per infondergli carattere e interesse.
    E non poteva essere altrimenti; più il tempo passava, più ero convinto che le parole di Federica del pomeriggio fossero la verità. Denise mi aveva perdonato. Quello che muoveva il suo animo, doveva essere il pudore. Un pudore sacrosanto, da cui volevo liberarla.
    Fuori di testa per il mio ruolo di protagonista assoluto, presi l’iniziativa, cambiando posizione e alzandomi sul tavolino per poi piegarmi sulle ginocchia e sostenendomi sulle punte dei piedi. Con la mano destra, ripresi a menarmelo, mentre con la sinistra mi accarezzavo prima il petto, poi le ginocchia e infine le scapole, mostrando tutta l’ampiezza del mio petto.
    Federica mi incitava e si complimentava, recitando il ruolo di ospite pagante di un cabarè, mentre Denise si limitò a dire:
    “Così romperai il tavolo”.
    “No, no… Non si rompe…” risposi e cambiai posizione, inginocchiandomi, con i polpacci sotto il coccige.
    Mi posizionai più vicino possibile alle due spettatrici; se non potevo toccarle, almeno volevo inebriarmi del loro odore e sentire i loro respiri.
    Ero convinto che la stretta di Federica fosse sempre più serrata su Denise.
    “Sì guardate, mi vedete? Sì… Guardatemi come sono bello. Sì…” inveivo in preda alle convulsioni. Mi girai a centoottanta gradi, dandoli il mio sedere e arcuandolo per mostrare tutte le sue fattezze.
    “Oh…” si limitò a commentare Federica, ma anche Denise era sull’attenti.
    Guardai davanti a me: Daniel era a pochi centimetri. Abbozzai un sorriso, che più che altro era una smorfia e gli accarezzai il naso, svegliandolo dall’incantesimo. Infine, appoggiai la testa sul tavolino, cominciano a strusciarmi la mano sinistra tra le natiche, che erano pienamente sudate.
    “Guardate…” commentai emozionato ed eccitato e sprofondai la mano dentro alla mia bocca, troppo ansioso di penetrarmi per poter fare un dito alla volta. Tornai sul mio ano e presi a fraccare per sprofondare con il medio al suo interno. Dovetti succhiare ancora un paio di volte, assaporando il gusto del mio retto, prima di farlo scivolare dentro.
    E così presi a guaire, facendo ondeggiare il tavolino per l’intensità con cui mi impegnavo a possedermi. Mi sentivo libero e felice di mostrare a quel pubblico così eterogeno tutti i miei estremi e sudici desideri.
    “Denise, ti invidio, davvero…” irruppe finalmente Federica.
    “Hai colpito nel segno” continuò.
    La guardai interessato, senza fermarmi.
    “Lo ammetto… Vorrei entrare con la bocca la dentro e non uscire più” disse senza vergogna, eccitandomi all’ennesima potenza.
    “Fallo…” sibilai elettrizzato. Federica però, si era già ricomposta.
    “No! Nella vita bisogna sapersi contenere” rispose.
    Mi fermai, un po’ perché deluso, un po’ per riprendere fiato e dare respiro al mio membro pulsante. Mi sedetti sul tavolino, dando il profilo alla platea.
    “Ma cosa dici…” borbottai ansimante: “Non è…”.
    “Vuoi avermi?” chiese per l’ennesima volta.
    Aspettai qualche secondo, ora un po’ davvero stufo di tutta quella tiritera infinita, ma alla fine feci di sì con il capo.
    “Anche io!” s’intromise una voce assente da un pezzo.
    Ci girammo verso di lui.
    “Anch’io voglio sbatterti” confermò Daniel bevendo d’un fiato il rum dall’unico bicchiere integro della sala.
    Denise rimase attonita, ma anche Federica parve sorpresa, pur senza mai perdere quel sorriso stampato in faccia.
    “Tu?”;
    “Esatto”.
    “E’ un po’ troppo comodo” ridacchio lei.
    “Perché?” commento stupito.
    “Non meriti una chance come Nicolò. Te non hai ammesso niente”.
    “Ammetto tutto quello che ha messo lui. Dai!” sbraitò impaziente. Sembrava me in versione micro.
    “Ripeto: troppo comodo. Sei arrivato tardi” sentenziò.
    “Daniel che ti salta in mente?” s’intromise la sorella. Daniel abbassò lo sguardo.
    “Torniamo a me” dissi impetuosamente.
    “Però…”. Federica non aveva finito. Fece un ghigno e guardò la sorella.
    “C’è un modo per rimediare”.
    “Quale?” chiese Daniel sporgendosi per sentire.
    “Dipende quanto saprai spingerti… Davanti a tua sorella”.
    Rimanemmo sull’attenti, Denise in prima linea. Se io e Daniel eravamo dei sessuomani incalliti, il sadismo di Federica almeno ci pareggiava.
    “Quanto sei disposto a spingerti?”.
    Daniel non rispose.
    “Fede, basta…” pregò Denise.
    “Hai detto che ti piace, non puoi negarlo” la ignorò lei.
    “Se accetti incondizionatamente di fare quello che ti dico, allora si può fare”.
    Daniel deglutì sonoramente. Per un po’ io, o meglio, il mio membro, ebbero tutta la loro attenzione.
    “Federica basta, io non ci sto!” esclamò Denise.
    Federica le accarezzò la spalla e disse con poco impegno: “Non ti preoccupare, non ti farò toccare”. E incredibilmente, parve bastare per un po’.
    “Nessuna domanda” disse Federica tutta d’un fiato, anticipando Daniel.
    Questi, apparentemente più tranquillizzato dall’affermazione precedente sulla sorella, infine accettò.
    “Perfetto… Vieni qui” disse Federica accompagnando l’ordine con un gesto della mano.
    Ma come? Daniel avrebbe potuto averla subito?
    Rimasi a guardare: Daniel si piazzò in piedi davanti a lei, sempre seduta impassibile sul divano e separata qualche centimetro da Denise, nel poco spazio tra il tavolino e il divano.
    “Ok. Ora… Mettiti davanti a tua sorella”.
    Cosa sarebbe successo? Daniel eseguì titubante.
    I due fratelli si guardavano con gli occhioni spalancati, impauriti l’uno dell’altro.
    “Ora spogliati”.
    “No no… No!” Denise scattò subito per scappare via, ma Federica, con un balzo felino, la imprigionò di peso.
    “Denise! Denise! Cosa abbiamo detto? Cosa abbiamo detto?”.
    “Non posso! Non riesco!” rispose cercando di divincolarsi.
    “Ci puoi riuscire!”.
    Per un attimo, pensai parlassero del monito per cui Daniel non avrebbe toccato Denise, ma presto mi accorsi che si doveva trattare di altro.
    “Ci puoi riuscire!” insistette Federica, trattenendola di forza. Denise non pareva però desistere.
    “Daniel comincia!” ordinò Federica ansimante, lottando con l’amica tra urla e schiamazzi.
    Daniel fissava la scena impietrito. Quale parte avrebbe prevalso? Quella della paura e del pudore? O quella bramosa e invaghita?
    Daniel così come me, le desiderava entrambe. Ma, diversamente da me, una era la sorella che tanto amava. In tutti i sensi.
    Successe.
    Daniel cominciò lentamente a spogliarsi, mentre la sorella guardava tutt’altro, smaniosa di scomparire senza successo.
    Solo quando il fratello fu completamente spoglio di ogni indumento, ritto e incantevole nella sua delicata bellezza, Denise si arrese e lo guardò per la prima volta.
    Era sconvolta, in una smorfia di dolore. Suo fratello, a pochi centimetri da lei, lo fissava tristemente.
    “Scusa…” sussurrò appena appena.
    “Non sei riuscito a trattenerti eh?” commentai ridendo dalla profondità delle viscere, senza alcun rispetto.
    Federica, che respirava profondamente per la lotta protrattasi, fissò per qualche tempo in silenzio il corpo del fratello dell’amica, recuperando il suo sorriso malizioso.
    “Come sei minuscolo…Bene… Ora…” e non aggiunse altro, ma con un segno eloquente, indicò l’azione successiva.
    Il problema era però fisiologico: Daniel aveva messo il cuore oltre l’ostacolo, ma il suo corpo rimaneva paralizzato dal terrore.
    “Non mi sale…” si giustificò.
    “Se non lo fai, puoi dirmi addio” rispose Federica rudemente.
    Daniel lentamente lo prese e cominciò a sbatacchiarlo. Denise distolse lo sguardo.
    “Denise…” chiamò l’amica. E lei, inaspettatamente, riprese a guardare il fratello, tra lo stupore mio e di questo.
    E piano piano, Daniel riprese coraggio e vigore; non so per quale motivo, ma Denise guardava. E Daniel si eccitò. Il suo piccolo membro si mostrò in tutti i suoi centimetri. Pur senza tutte le esagerazioni mie, Daniel ormai si menava pesantemente davanti alla sorella. Per un po’, il silenzio fu rotto solo dal rumore del suo membro.
    “Molto bene… Anche te Denise” commentò finalmente Federica. Per la prima volta, Denise abbozzò un sorriso. L’amica la baciò sulla guancia.
    “Allora… Sono a posto?” chiese stupito Daniel.
    “No, ora sei al livello di Nicolò” rispose Federica.
    Questa mi guardò profondamente, infine disse: “Ora potete scopare tra di voi” e un sorriso a tutto spiano solcò il suo volto.
    Ci prendeva in giro? Era questa alla fine la verità? Aveva solo voluto umiliarci?
    Sentì bruciare il mio petto. Ed ero pronto a scagliare tutta la mia collera. Ma, senza che mi accorgessi, Daniel si era accucciato sopra di me, con il sedere sopra il mio membro e cercando di appoggiare la sua piccola schiena sul petto. E tutta la rabbia svanì in un istante.
    Perché avevo pensato male? Aveva ragione Daniel. Era solo una tappa. Inoltre, Daniel mi piaceva un sacco e, nel peggiore dei casi, avrei fatto l’amore con lui, davanti alla sorella e Federica.
    Lo strinsi tra le mie braccia e cercai la sua bocca che presto trovai. Bruciava quanto me dal desiderio. Ci baciammo ardentemente per lunghi istanti, con tanto di lingua, attorniati dal silenzio generale della platea. Se assistere a due lesbiche, era un avvenimento eccezionale, lo era altrettanto a ruoli invertiti?
    “Ora il tavolino è davvero a rischio” commentai. Daniel non fece tempo a sorridere e, senza dargli il tempo di rendersene conto, fu sistemato a pecorina e penetrato. Ero così smanioso di entrare, che anche per me Denise e Federica svanirono per qualche istante. Mi ero messo in ginocchio e in punta di piedi dietro al suo coccige rialzato, posizionando le mie cosche ai suoi fianchi e ancorandomi con le mani sugli stessi. Infine, da quella posizione, avevo subito preso a penetrarlo. Tutto ciò proseguiva con passione e trasporto, ma anche con lentezza vista la posizione non particolarmente ideale all’atto.
    Ma l’idea che Federica e soprattutto Denise ci guardassero mi faceva impazzire e continuava a balenarmi nella testa. Se per me poi stava succedendo qualcosa di incredibile, non potevo immaginare cosa ne pensasse Daniel.
    Padrone al comando, non uscì mai da lui, ma lo sollevai e me lo rimisi in grembo. Poi, smanioso di mettermi in mostra, ci girammo per far vedere i nostri genitali in azione alle due ragazze. Al di sopra del duro legno, gemevo di piacere, al pari del piccolo Daniel, bello quanto leggero. I nostri muscoli tutti tesi dallo sforzo; i miei genitali tambureggianti sulle sue natiche, mentre il suo membro sbatteva sulla pancia. Fissavo estasiato lo sguardo sperso di Denise, mentre Federica, per la prima volta, non poté fare a meno di toccarsi.
    Sentivo di esserci quasi, che presto l’avrei avuta. Per farla ulteriormente ingolosire, aumentai l’intensità e la frequenza delle battute, tanto che il tavolo cominciò a ballare pericolosamente sotto i salti di Daniel che gemeva sordo. Sentì di possedere una forza sovrumana, tanto da staccare le braccia dai fianchi di Daniel e stringermelo completamente.
    “Daniel!” urlai gemendo senza ritegno e continuando a sbattermelo impetuosamente. Fu la goccia che fece traboccare il vaso.
    “Denise prendi l’aggeggio che abbiamo comprato. Vai!” la intimò senza preamboli. E Denise scomparve dalla scena. Feci finta di nulla e continuai come prima. Una mezza idea, però l’avevo.
    Ci presi appieno.
    Denise portava l’imponente doppio dildo nero, che già ben conoscevo. Daniel lo guardò con sconcerto, mentre io non mi scomposi. Sapevo quanto complicato fosse utilizzarlo, ma ero estremamente desideroso di provarlo ora con Daniel. Volevo mostrarmi in tutta la mia porcaggine. Per la prima volta, uscì da Daniel. Senza comunicargli niente, lo girai, arrabattandomelo sopra di me e sbaciucchiandomelo, pazzo di lui. Daniel stesso era così piccolo da sembrare un giocattolo.
    “Ora dobbiamo collaborare capito?” gli dissi con un’inconsueta dolcezza pari all’eccitazione. Denise ci fissava sognante a distanza, mentre Federica ci istruì sul da farsi.
    “Sì” rispose ubbidiente Daniel, preso quanto me. Distesi sul tavolino, io sotto e lui sopra, aspettammo di essere penetrati contemporaneamente. Viste le dimensioni del tavolo, ma anche per allargare lo spazio sotto di me, divaricai le gambe fino alle estremità della larghezza dello stesso. Daniel invece, stava per intero per lungo sul tavolo; conficcò i piedi sotto le mie ginocchia, allargando altresì la ricezione.
    Le nostre terga erano ora pronte a essere riempite; cominciai a baciare Daniel in bocca in febbricitante attesa, accarezzandone i suoi ricciolini. Intanto, Federica si diresse verso di noi, sedendosi all’estremità posteriore del tavolo, nello spazio centrale tra le nostre gambe con il lungo arnese in mano. Per la prima volta, cominciava a prendere parte al suo stesso gioco. Con la coda dell’occhio seguivamo i suoi movimenti, e, senza preamboli e complimenti, cominciò a direzionare le due cappelle nere nei nostri buchi.
    La plastica gelatinosa della cappella del giocattolo furono dentro in men che non si dica. Federica, con poco tatto, affossava.
    “Ah! Oddio…”;
    Daniel ed io gemevamo sorpresi ed eccitati. Non chiedemmo a Federica di rallentare, ma sfogammo le nostre emozioni l’uno nella bocca dell’altro, esplorandoci con la lingua. Più l’aggeggio ci penetrava, più stringevo Daniel su di me e lui lo stesso.
    “Uhm… Oddio! Oddio!” Daniel gemeva molto più di me. Entrambi però, volevamo la stessa cosa.
    A un certo punto, il dildo era così conficcato in profondità da impedirci ogni sorta di flessione per controllare lo stato delle cose; occhio e croce, almeno metà di esso doveva essere dentro al nostro corpo. Stanchi, sudati, ma ancora estremamente eccitati, sentivamo ancora avanzare. Ora, raggiunti i nostri limiti fisiologici, accompagnavamo il processo con gemiti sempre più sonori e smorfie di fatica. Ma di fermare tutto, non mi passava minimamente per la testa. Sentire il membro di Daniel, ritto sopra il mio, così come ogni altro muscolo, era un’iniezione continua di adrenalina.
    A un certo punto, le fitte erano così potenti che Daniel scoppiò quasi a ridere e io di riflesso.
    Appoggiai la fronte sulla sua e l’eccitazione parlo per me:
    “Sì, sì, hai visto? Lo stiamo facendo, lo stiamo facendo…” dissi con voce rotta dall’euforia del momento.
    Daniel mi fissò con occhi spalancati, ma non disse nulla. La sua espressione parlava da sé e spingeva la sua fronte sulla mia.
    “Ci siamo!” disse Federica quando ebbe finito. Non sentì più penetrare da dietro e capì che era stato raggiunto l’obiettivo. Senza altre pressioni, c’eravamo abituati e non facemmo altro che baciarci dolcemente, come per complimentarci l’uno dell’altro. Incrociai le mie gambe dietro al suo coccige, ancorandomi stretto. Sentivo il suo cuore pulsare fortemente sul mio metto, mentre il suo membro era spiaccicato sul mio.
    Poi, Federica prese il punto d’intersezione dei due membri di plastica e li tenne saldi in mano, ordinandoci di inginocchiarci in punta di piedi.
    Per un movimento abbastanza semplice, impiegammo almeno un paio di minuti; Federica, tenendo fermo il dildo, impediva che questo fuoriuscisse, ma, in ogni caso, coordinarci per issarci, con quel coso dentro al deretano, era ardua impresa. Alla fine ci riuscimmo e Federica poté lasciare che i soffici testicoli pieni di sabbia del giocattolo si posassero sul pavimento.
    Prendemmo a saltellare da quella posizione, tenendoci in equilibrio con le mani appoggiate alle spalle dell’altro. Il doppio dildo ballonzolava al nostro interno e noi ridevamo imbarazzati con Federica seduta a qualche centimetro da noi fissarci beata. Il tavolino, messo a dura prova, cigolava pesantemente.
    “Va bene, potete uscire” disse Federica dopo qualche istante così. E allora ci alzammo lentamente in piedi sul tavolino, lasciando sfilare il giocattolo. Alla fine, Federica parve darci una mano, tenendolo fermo mentre ci alzavamo. In realtà, non era questa la sua intenzione.
    “Seduti!” ordinò. Come al solito, da bravi alunni, ci sedemmo, questa volta comodamente, incrociando le gambe sul tavolino, sempre l’uno davanti all’altro. Federica girò le due aste:
    “Prendete!”.
    Così facemmo; avevo già capito. Io tenevo la parte che aveva penetrato Daniel e viceversa. Senza ulteriori spiegazioni, chiusi gli occhi e mi fiondai sulla cappella del giocattolo, assaporando quel disgustoso sapore. Ma non mi fermai e presi a leccare tutte le zone dell’asta unta del dildo. Ad eccitarmi non era certo il sapore, ma la semplice idea di fare quella cosa. Ogni tanto aprivo gli occhi per vedere cosa stava succedendo; dopo qualche perplessità, anche Daniel prese a ingurgitare il membro con i miei sapori. La cosa mi fece impazzire e allungai la mano sinistra stringendoli il braccio, come per ringraziarlo. Daniel parve percepire tutto ciò e prese a leccare orizzontalmente con più convinzione, inebriandomi con i rumori gutturali emessi dalla sua bocca.
    “D’accordo, può bastare…” disse Federica soddisfatta. Finalmente, dopo tanto tempo, riprendemmo fiato. Rimanemmo seduti ansimanti; non avevamo fatto nulla di faticoso, ma le emozioni ci avevano consumato. Quasi non ci accorgemmo della presenza di Denise, sempre ferma immobile e appoggiata alle inferriate della scala con occhi sognanti di chi non crede ai propri occhi.
    “Siete… Incredibili” commentò Federica. Ed era così. Ci eravamo spinti a livelli allucinanti. Ma pensai, nel profondo, che fosse come inevitabile. Se stava accadendo, era perché era possibile. Tutti noi, in quella stanza, provavamo molto di più che semplice amicizia.
    “E quindi, sei stata te a comprare quell’aggeggio…” dissi sogghignate, come per togliermi qualche sassolino dalla scarpa.
    “L’abbiamo preso insieme” confermò Federica: “Avevamo intenzione di usarlo insieme”. Rimasi sorpreso dalla rivelazione; non era da lei assecondarmi.
    Guardai in direzione di Denise che non diede né conferma, né smentita, ma parve immersa nei suoi pensieri.
    “E invece l’ha usato solo Denise, con me…” risposi ridacchiando stupidamente.
    Federica sorrise e prese una sigaretta. Per più di qualche istante nessuno parlò. Daniel ed io riprendevamo fiato, Denise era assente, Federica prese a tirare qualche boccata di fumo. Ma, come al solito, fu lei a rompere il silenzio. Questa volta, sembrava avesse riflettuto di più.
    “Io non l’ho mai preso… Lì…” disse in tono calmo.
    “Dici… Dietro?” domandai rabbrividendo. Lo percepivo; sentivo che stava per succedere.
    “Sì” rispose sottovoce, guardando la sigaretta.
    “Vorresti provare?” domandai cercando di mantenere un falso tono disinteressato.
    Federica non rispose, ma annuì accompagnando un flebile movimento del capo e corrucciando la fronte, sempre senza guardarmi.
    “Siediti sulla poltrona” ordinai freddo. Federica mi fissò negli occhi. Avevo preso le redini del gioco; ed era quello che Federica voleva. Per qualche istante continuò a sfidarmi, mantenendo i suoi occhi cerbiatti su di me, come per scoprire se ero degno di prendere lo scettro. Ora che però mi aveva dato quei segnali di desiderio, io mi sentì forte e sostenni lo sguardo. Alla fine, fu lei a cedere e, silente, spense la sigaretta in un bicchiere e si spostò sul divano. Io, Daniel e Denise la guardammo sognati; Federica, quella ragazza così irraggiungibile, sottostava alle mie regole.
    “Come pensi possa fare se ti siedi?” domandai bruscamente. Federica mi guardò torva.
    “Ho fatto solo quello che mi hai detto”.
    “Girati e togliti i pantaloni” ordinai, fingendo di ignorarla. Federica sbuffò, ma fece esattamente quello che le dissi. Ero convinto che quel tono autoritario le piacesse. Si alzò, dandomi un occhiataccia e sbottonandosi i jeans e facendoli calare; non solo, si liberò anche della maglietta. Si liberò, si girò sul divano, dandomi la visuale delle sue forme, e rimanendo solo con reggiseno, mutandine e calzini corti rosa shocking.
    Con l’acquolina in bocca, mi alzai e le fui dietro. Come fosse un gesto automatico, le abbassai le mutandine, ammirando un sedere sodo e lindo. Senza pensarci, stavo quasi per infilarlo dentro, ma Federica sbottò anticipando la mia mossa.
    “Ma che fai?”.
    “Che c’è?” domandai sbiascicando.
    “Non ho detto che voglio che mi entri tu” commentò.
    Guardai funereo verso Daniel. Questi, sentito chiamato in causa, si alzò di scatto sul tavolo e ci venne incontro.
    Anche Federica lo guardò.
    “No, ti sbagli. Neanche tu, figurati. Siediti lì Daniel… Nicolò, prendi il dildo”.
    Il mio entusiasmo scemò un po’. Non era come credevo, almeno non totalmente; era sempre Federica a decidere. Mi aveva solo concesso un po’ di momentanea autorità.
    Mi diressi a prendere il giocattolo da terra, mentre Daniel si sedette sul divano all’estremità opposta di Federica. Mi accorgevo solo ora di quanto avessi travisato le sue parole. Lei voleva essere penetrata come Denise, ma dal giocattolo.
    Quando tornai davanti al suo invitante sedere, ebbi un illuminazione che subito manifestai.
    “Ok, adesso comincio a entrarti… Però… Prima devo lubrificarti, quindi lascia che entri un po’ con la lingua…”.
    “No, non serve” rispose su due piedi.
    “Guarda” aggiunse e si leccò indice e medio della mano destra, per poi fare passare le dita affusolate sotto il ventre e dentro di sé. Ciò basto a riaccendere il mio furore, mentre Federica, sorpresa da se stessa, stava già gemendo di sorpresa.
    “Uh…Ok… Ora puoi cominciare” disse con voce rotta dall’emozione.
    Cominciai a far entrare lentamente la punta della cappella del giocattolo. Scelsi, senza che lo sapesse, l’asta dove prima ero entrato io. Sapere che in quella creatura entravano i miei rimasugli mi faceva sentire sudicio quanto eccitato come un ragazzino in calore. In fondo, avrei voluto spingere di cattiveria, dandoli la carne che credevo meritasse. Ma, il gioco di potere, mi vedeva sempre intimorito nei suoi confronti. Preferì comportarmi bene e procedere con cautela. Senza fretta, dunque, la assecondai. Ma già dopo appena cinque- sei centimetri, cominciò a lamentarsi.
    “Ahia! Nicolò!” urlò senza ritegno.
    “Che c’è?”;
    “Mi stai facendo male, vacci piano!” piagnucolò.
    “Più piano di così…” risposi infastidito.
    “Nicolò!” chiamò cambiando tono di voce.
    “Se mi fai male giuro che le prendi” minacciò.
    Rabbrividì davvero.
    “Va bene, va bene…” e rallentai ulteriormente. Con enorme pazienza, riuscì ad entrare con quasi tre quarti di dildo. Per tutta la durata dell’atto, Federica non smise mai di agitarsi e urlare. Era la sua prima volta e comprensibilmente soffriva parecchio, ma da lei non mi sarei aspettato tanto baccano. Alla fine, rinunciammo addirittura a entrare completamente e mi limitai a penetrare con quella parte. Federica finalmente cominciò a lasciarsi trasportare e potei rilassarmi un po’. La guardavo sbavante; ero li, a pochi centimetri, il suo odore bruciante all’olfatto, le forme morbide a portata, ma potevo solo assisterla. Daniel intanto la guardava e si masturbava senza complimenti.
    Immerso nei miei pensieri, aspettavo il momento giusto per provare a farmi coraggio. Mi sentivo come quando ero un ragazzino alle prime armi, innamorato della mia compagna di scuola di cui non avevo neppure il coraggio di salutarla. Fu allora, che un ombra fluente mi passò da dietro.
    Tra il silenzio attonito di tutti, Denise si ergeva davanti a Daniel, che la fissava comicamente con il membro in mano e un espressione inebetita. Anche Federica smise di gemere sommessamente e si concentrò a guardare l’amica; solo io continuai imperterrito a penetrare Federica con il dildo, dato che non avevo ricevuto comunicazione di smettere. Comunque, anch’io ero interessato alla situazione. Denise rimaneva impiantata davanti; sul suo viso, notavo la pelle caramellata stranamente arrossata.
    Ero dell’idea che avesse raggiunto l’apice della sopportazione; infatti, al primo segno di movimento, sia io sia Daniel, sobbalzammo spaventati, per poi rimanere impietriti. Denise si accucciò alle sue ginocchia e prese il membro già duro di Daniel, che fino a pochi secondi prima si stava masturbando guardando Federica. Timidamente accadde quello che non mi sarei aspettato. Tra lo sbigottimento del fratello, presto arrivò anche quel momento che tanto aveva desiderato. Denise, dopo averlo palpato un po’, lo baciò e lo mise tra le labbra leccandolo con la punta della lingua.
    Basito, osservai le espressioni degli altri; Daniel sembrava affetto da una paresi facciale, con occhi dilatati e la bocca spalancata. Si teneva ancorato con le mani sulle federe del divano. Federica, invece, sorrideva compiaciuta.
    Sentì i suoni schiumosi della saliva di Denise bagnare il membro. La fissai, come se non potesse essere vero: no, stava davvero ingoiando! Teneva con la mano sinistra il cazzo del fratello, mentre con la destra si toccava nervosamente i fluenti capelli castani, sistemandoli di tanto in tanto dietro all’orecchio. Tutto questo, rimanendo ad occhi chiusi; ma l’emozione si leggeva sul suo volto terribilmente arrossato.
    Anche l’ultima persona della sala che conservava ancora un briciolo di razionalità, era stata sommersa dalla lucida follia della folla. In men che non si dica, l’imbarazzo volò via, così come i vestiti di Denise. Daniel la accolse tra le sue braccia e le sue gambe, in un espressione di completo trasporto. Non si toglievano gli occhi di dosso; come ipnotizzati, studiavano le mosse dell’altro. Il furore, lascio ampio spazio alla dolcezza. Daniel fece calare la maglietta dalla spalla sinistra della sorella, baciandola delicatamente, prima che quest’ultima se ne liberasse. Questo gesto, fu il segnale per Daniel di liberare la sorella da ogni indumento, senza che tra loro avvenisse alcuno scambio verbale. In breve tempo, avrebbe liberato Denise, non lasciandole niente addosso. Ma io, non aspettai di vedere tutto. Abituatomi presto alla situazione, mi lasciai coinvolgere e, nel momento più inaspettato, tolsi il dildo da dentro Federica.
    “Cosa fai?” domandò indispettita. Non si era accorta della mia iniziativa in tempo, proprio perché persa a guardare i fratelli.
    “Anche noi…” mi limitai a sussurrare, in preda a un’eccitazione viscerale.
    “Chi ti ha detto che puoi…” ma s’interruppe, perché io le stavo sfilando dalla schiena con estrema naturalezza il reggiseno, liberando una quarta formosa e provocante, più abbondante di quello di Denise.
    “Ehi…” si limitò a dire sorpresa da tanta nonchalance, ma io mi accinsi già a levarli pure i calzini.
    Evidentemente stupita e divertita da tanta intraprendenza, non si oppose più. Anzi, allungo prima la gamba sinistra e poi la destra per aiutarmi e togliere le mutandine. Senza ulteriori indugi, decisi di approfittare subito del lavoro precedente e di penetrarle l’ano. Lo stavo aspettando da tempo.
    Finalmente, potei appoggiarmi sulla sua schiena, accasciandomi quasi, vista tutta la fatica impiegata. Ero quasi commosso e terribilmente emozionato. Ma senza complimenti entrai in Federica.
    Fui subito completamene dentro; quasi rischiai di venire subito e dovetti stare fermo per quasi un minuto per calmarmi. Appoggiai la guancia destra sulla sua schiena, respirandole affannosamente addosso. Federica rimase immobile in silenziosa attesa. Mi sarei aspettato di essere redarguito e intimato a cominciare o preso in giro per la mia goffaggine, invece non disse nulla. Intravedevo con la coda dell’occhio il suo solito, ora rassicurante, sorriso. Sentivo come se lei fosse conscia di quanto avevo penato e, ora che ci eravamo arrivati, mi avrebbe fatto godere e ricompensare di tutto ciò. E sarebbe stato così.
    Quando ripresi fiato, inclinai la schiena e cominciai a penetrarla gradualmente. Cercai di ampliare più possibile la mia mole, in modo da coprirla nella sua interezza. Mi issai con i piedi sopra il divano, accavallando le gambe ai suoi fianchi. Arcuai al massimo la schiena, non senza qualche fitta di dolore, arrivando a far combaciare le mie braccia con le sue. E così, soddisfatto, appoggiai la guancia sinistra sulla sua destra. Sentivo tutto il calore della sua pelle; i lunghi e ondulati capelli castani mi solleticavano la tempia e il collo. Sorridente, chiuse gli occhi e fece apparire due fossette sulle guance. Avrei quasi creduto che mi stesse facendo le fusa.
    “Cosa fai?” sussurrò dolcemente, ma io non risposi e gli sfregai lo zigomo sul suo. Dopodiché, affaticato per quella posizione, mi concentrai maggiormente a penetrarla.
    Dall’altra parte, osservai la schiena lucida di Denise, imperlata dal sudore, mentre Daniel era nascosto dietro la sua figura e se ne vedevano solo i crespi capelli castani, le ginocchia e le caviglie. I due meravigliosi fratelli erano intenti a baciarsi dolcemente, muovendosi sempre con meno remore l’uno sull’altro.
    Mi sentì semplicemente libero e felice; a un certo punto, Daniel e Denise si lasciarono prendendo respiro. E si stavano sorridendo. Erano imbarazzati sì, ma sorridenti. Consci di tutto ciò.
    La posizione cambiò e ora era Denise appoggiata allo schienale del divano e Daniel si avventò su di lei. Fu così che decise di penetrarla. Molto diversamente da qualche sera precedente, Denise non manifestò alcun impedimento, anzi, divaricò le gambe più possibile e lasciò che accadesse. In men che non si dica, Daniel fu dentro, e Denise intrecciò le gambe dietro al suo fondoschiena.
    Da quella posizione, potevo osservare ogni particolare: i corpi, stretti in una morsa di incestuoso desiderio, si sfregavano in un atto con un giusto equilibrio tra dolcezza e intensa passione. Daniel era in uno stato catatonico di pura adorazione. Denise lo osservava, meravigliata di lui e di se stessa, incapace di nascondere un puro coinvolgimento. Il fratello era ovunque dipingendo il suo corpo con la lingua, qualsiasi zona trovasse. Spesso e volentieri, erano le bocche a incrociarsi, dando luogo a lunghi e profondi scambi di saliva. Ma era il collo, da cui Daniel percepiva quell’inebriante profumo fresco e sensuale, il punto dove preferiva soffermarsi. Accompagnato da Denise, che ne puliva la traiettorie e lo liberava dai capelli annegati nel sudore sulla sua pelle.
    Decisi di fare lo stesso e uscì da Federica. Gli presi i fianchi e la girai. Per la prima volta, la ebbi a un palmo dal naso. Anche dopo tutto quello, continuavo a venerarla e a sentirmi particolarmente emozionato. I suoi occhi smeraldo continuavano a mettermi in soggezione. Ma, come detto, questa volta Federica non voleva negarsi: prese le mie mani nelle sue, che io strinsi, e mi baciò ripetutamente, infondendomi coraggio. Piano piano, mi lasciai accasciare di peso sul suo petto, schiacciandole il seno. Staccai le mani e le presi i fianchi e facendo in modo che toccasse il mio addome. Quindi, lei intrecciò le gambe dietro di me e io spostai le mani dietro alle scapole.
    Federica, che mi fissava sorridente e silenziosa, guardandomi negli occhi, ora incrocia anche le braccia dietro al collo. Ogni suo movimento, mi emoziona come se fossi un pivello.
    Fu lei a issarsi quanto bastava per permettermi di violarla. Accolto dal suo calore, rantolai rischiando nuovamente di eiaculare. Come prima, dovetti fermarmi per concentrarmi a non venire. Questa volta però, a complicare tutto, cominciò a muoversi su di me.
    Non potei fare a meno di gemere sonoramente, chiudendo gli occhi alla ricerca di ogni residua energia per non sentirmi ridicolo. Lo sapevo, non ne avevo colpa; non ero ancora mai venuto dopo quella intensa notte, ma non potevo proprio ora.
    “Ti piaccio?” mi sussurrò all’orecchio.
    “Sì!” ululai sempre ad occhi chiusi.
    “Da quanto tempo mi desideri?”.
    “Vuoi parlarne proprio adesso?” biascicai. La sua supponenza, ebbe l’effetto di calmarmi un po’, tanto che riuscì a riprendere il controllo e finalmente ad averla completamente.
    Federica tacque per un po’; i miei centimetri si muovevano ora in lei e non poteva eludere le sue emozioni. Gemeva sommessamente e sentivo bagnato al contatto tra la base del mio membro e lei. Serrò la presa con le gambe tanto da farmi scricchiolare la schiena, mentre le sue unghie affossavano nella carne.
    “Ti da fastidio?” chiese lei.
    “No! Puoi fare quello che vuoi…” risposi affannato e nuovamente preso fino al midollo.
    “Allora da quanto?” ridomandò.
    “Ancora…”;
    “Che problema c’è? E’ un momento come un altro…” disse, ma la sua voce era rotta dai lunghi respiri affannosi.
    Tentava di provocarmi, ma senza risultati. Un po’ per controllarmi, un po’ volontariamente, proseguivo a scoparla con lo stesso mix di passione e frenesia che mi avevano infuso Daniel e Denise. E come risposta alla sua affermazione, non feci che baciarla, appoggiando la lingua sulle labbra. Federica gradì e rispose altrettanto. Continuammo a parlare sottovoce, tra un bacio e l’altro.
    “Da sempre, dalla prima volta che ti ho vista” la accontentai. Federica sorrise compiaciuta.
    “E ora finalmente lo stiamo facendo. E te dicevi di non volere” continuai.
    Federica non disse nulla.
    A breve distanza, i gemiti di Denise si fecero sempre più scomposti e coinvolgenti.
    “Non vuoi rispondere?” chiesi.
    “Cosa vuoi che ti dica?” rispose Federica.
    L’intensità delle mie battute duplicò; ero ormai incapace di trattenermi.
    “Che ti sei sbagliata, perché non puoi dirlo…” sibilai sempre più affaticato.
    Ancora una volta, zittì.
    Mi arresi e mi concentrai sui miei movimenti, ormai incontrollati. Mi schiantai su di lei, stringendola; di sua risposta, si arricciò completamente su di me, ma le nostre bocche non smisero più di comunicare e non facemmo che scambiarci saliva e lingue.
    “Ah!” ululò e sentì un liquido fluire sulle mie cosce.
    “Mi sono sbagliata! Mi sono sbagliata!” urlò.
    E mentre quegli schizzi continuavano a uscire, la penetrai al massimo della mia forza.
    “Mi sono sbagliata!”

    -

    “Non me la sento adesso. Vai avanti tu” disse Daniel quando gli chiesi di seguirmi.
    Ancora completamente nudo, lo avevo lasciato a rimuginare sul divano, con le ginocchia tra le braccia.
    Era comprensibilmente scosso. Probabilmente, lo saremmo stati presto tutti.
    Erano quasi le quattro di notte e ora ero seduto sul bordo della vasca da bagno, in rigoroso silenzio. La pace della stanza era rotta solo da suoni gutturali sotto di me.
    Inginocchiate in punta di piedi, Denise e Federica, erano impegnate a svuotarmi i genitali.
    Quando le avevo raggiunte, stavano chiacchierando tra di loro: Federica era seduta dove ora mi trovavo io, mentre Denise mi dava il profilo. La prima a vedermi fu Federica, che zittì alla mia presenza e così anche Denise. Quest’ultima s’era girata verso di me e ne rimasi estasiato al pari della prima volta che la vidi.
    Come se tra noi non fosse mai successo nulla, le venni incontro e la baciai dolcemente sulle labbra, tastandole la spalla con la mano sinistra. Quando mi assicurai che non ci fossero problemi, lasciai scivolare la mano dietro la schiena.
    Dopo il primo bacio, ci fu un tenero scambio di sguardi. Poi riprendemmo, schioccandoci un bacio dietro l’altro.
    Irriconoscibile, Federica si alzò mettendosi alla mia destra, aspettando il momento di sostituire la bocca di Denise. Intanto che aspettava il suo turno, le passai il braccio dietro al ventre, come a Denise, mentre lei accarezzava il mio membro marmoreo. Infine, le dedicai la mia totale attenzione.
    “Le mie ragazze…” sussurrai godurioso, lasciando scendere le mani e palpandole senza rispetto.
    E loro sorrisero.
    Non erano ragazze facili e banali. Denise e Federica erano due esempi di ragazze dei nostri tempi, esigenti e complicate. Ma ora erano li, spoglie da ogni diversità.
    E poco dopo, erano lì a scambiarsi il mio cazzo, prima l’una e poi l’altra, o tutte due insieme. E fameliche, includevano testicoli e cosce.
    “Eccolo qui!” esclamai quando anche Daniel ci raggiunse. Denise si occupò subito di lui; Daniel si sedette a mio fianco e ci lasciammo fare fino a quando non venimmo copiosamente nelle bocche delle due bellezze. Era la seconda volta in quella serata, una serata che si preannunciava ancora molto lunga.
    Successivamente, decidemmo di entrare nella vasca idromassaggio su cui poggiavamo.
    Entrammo quando ancora l’acqua aveva cominciato a scorrere al suo interno. Per mia sorpresa, Federica prese l’iniziativa, sedendosi su Daniel.
    “Non avevi detto che mi volevi?” si limitò a dire lei.
    “Sì…” rispose Daniel intimidito, quando questa gli diede un lungo bacio sulla guancia.
    Con la stessa intraprendenza, Denise si sistemò silente su di me e io ero già dentro.
    “Che cosa significa tutto questo?” domandai prima che ogni inibizione mi lasciasse per sempre.
    “Devo ancora capirlo” rispose. Non era l’unica. Chi dei quattro presenti avrebbe potuto dare una risposta convincente?
    E nell'incertezza, continuammo ad averci.

    Edited by ancient lover91 - 26/3/2017, 14:55
     
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