"Amori senza scandalo": sulla bellezza di essere gay

Paolo Rigliano

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  1. SunFly
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    I libri che parlano di omosessualità - specialmente quando si tratta di saggi - corrono spesso il rischio di "parlare ai convertiti" e di essere di scarso o nullo interesse per chi gay non è. E' vero che a volte questo è dovuto anche al disinteresse dei lettori eterosessuali, che non hanno nessuna voglia di leggere testi apparentemente lontani dalla loro esperienza. E' raro trovare un libro che sia illuminante per entrambi e che possa offrire nuove prospettive anche ai gay, non limitandosi a confermare quello che già sanno. Amori senza scandalo. Cosa vuol dire essere lesbica e gay di Paolo Rigliano è uno di questi libri. Leggerlo, per me che sono gay, è stata una scossa: alla fine lo chiudi con la sensazione che qualcuno ti abbia preso la testa e, a poco a poco, te l'abbia girata facendoti vedere le cose che già sai, ma da un punto di vista inedito. E il punto di vista che Rigliano assume e offre ai suoi lettori è caratterizzato da un approccio assolutamente ottimistico e vitale. Il suo saggio è uno dei pochi libri che non affronta il tema dell'omosessualità da un punto di vista "difensivo", ma al contrario presenta una concezione dell'essere omosessuali in senso positivo: qui l'amore per le persone del proprio sesso è una realtà piena di senso e non è vista solo come il "negativo" (in senso fotografico, per così dire) o in contrapposizione al discorso maggioritario dell'eterosessualità. Paolo Rigliano propone un ragionamento sull'omosessualità come fenomeno perfettamente normale e naturale. Per questo suo modo inedito di affrontare la faccenda, credo che il suo saggio - oltre che essere leggibile ed emozionante come raramente un testo di psicologia sa essere - dovrebbe essere letto non solo dai gay che ancora hanno in sé sedimentate tracce di omofobia interiorizzata (cioè tutti, chi più chi meno), ma soprattutto da quegli eterosessuali che credono di sapere chi sono i gay, ma in realtà non sanno nulla.
    La dichiarazione che sta all'inizio del libro di Rigliano è anche quella che, in un certo senso, lo riassume: "Allora, omosessualità è un altro nome dell'amore: un'altra possibilità di desiderio emotivo di essere con l'altro". Innanzitutto Rigliano sgombera il campo dal falso problema dell'origine (o delle cause) dell'omosessualità: chiederselo è esattamente come chiedersi da che cosa abbia origine l'eterosessualità, oppure trasformare l'omosessualità in una cosa (una specie di "ciste") esterna alla persona, quasi che questa si manifestasse in modi precisi e sempre uguali, ignorando la centralità dell'individuo. Rigliano commenta: "La vera questione è un'altra: in assenza di accettazione e valorizzazione sociale, sia le teorie biologiche sia quelle sociali o psicologiche possono essere messe al servizio dell'oppressione". Se ancora ne parlo è perché Rigliano arriva a definire con precisione quello che io, in passato, intuivo soltanto, e a respingere quell'aut aut ("natura o cultura?") che io ho sempre trovato inquietante. Riguardo al dibattito sulla presunta origine "genetica" dell'omosessualità, infatti, l'autore fa un paragone con il linguaggio: così come geneticamente l'uomo è propenso a creare e a usare una lingua, ma senza che esista un gene di una lingua specifica (il gene dell'italiano o del tedesco, per dire), così ogni essere umano è predisposto a legarsi affettivamente con un "Altro" significativo e a creare un progetto o un'immagine di "Sé-con-l'Altro" da cui trae soddisfazione e senso per la propria esistenza. Quindi "l'omosessualità è un discorso d'amore pronunciato nella lingua di tutti. Uguali sono la grammatica, le parole e le finalità: semplicemente esse dichiarano un amore che si rivolge a persone del proprio genere". Niente di più, niente di meno. E' il sistema di oppressione che commette spesso l'errore di identificare l'omosessualità solo come pulsione sessuale, costringendo gay e lesbiche a esprimersi in un'unica dimensione, più semplice e immediata, ma soprattutto "immediatamente riconoscibile da se stessi ancor prima che dagli altri"
    Il saggio di Rigliano tocca poi le varie tappe dell'evoluzione delle persone gay, a partire dall'infanzia fino all'età adulta, attraversando quell'età complessa che è l'adolescenza. E' soprattutto in questo capitolo che l'autore affronta e cerca di interpretare le difficoltà che ostacolano e frenano lo sviluppo dei giovani gay verso il pieno dispiegamento della loro vita affettiva. L'adolescenza è un periodo difficile per tutti, ma chi è gay ha un sovrappiù di problemi specifici e più domande da porsi - e, spesso, la ferita dell'adolescente gay è così profonda che lascia tracce anche nell'età adulta. Soprattutto per questo motivo direi che le questioni sollevate in questa parte del libro sono quelle che più colpiscono il lettore omosessuale. Si parla, per esempio, dei rapporti con la famiglia, della fatica di costruire una percezione di sé positiva partendo da "proiezioni sociali svalutative" dell'omosessualità, di attacchi all'autostima e così via.
    Ma c'è un punto nodale del testo di Rigliano in cui il suo argomentare acquista un valore davvero liberatorio per chi legge. Rigliano respinge infatti ogni riduttivismo nella definizione dell'omosessualità e di ciò che si è soliti associare all' "identità omosessuale". Quando infatti gli individui vengono costantemente denigrati in una parte così importante di sé come la capacità di stabilire legami affettivi, il dubbio su di sé e su chi sono davvero si estende e rischia di dare un colore negativo a tutta la personalità, fino a renderla incerta e a negarla. In questi casi la cosa più semplice è riconfermarla, ai propri occhi, ricorrendo a forme fisse che magari saranno anche parziali o non veramente sentite ma che almeno presentano il vantaggio di dare solidità a un'identità altrimenti vacillante. Se s'identifica l'essere gay solo con la "pulsione sessuale" per una persona dello stesso sesso, allora basterà un'intensa attività sessuale per riconfermare questa identità (ma in modo riduttivo). La stessa funzione può essere svolta da una serie di "forme tipizzate e stereotipate d'identità sessuale" - comportamenti, riti, miti e linguaggi - che creano appunto "identità tipiche". Ma, sostiene Rigliano, "quanto maggiori sono gli spazi di libertà, tanto più si allarga la gamma delle identità". E' questo il punto più liberatorio del discorso di Rigliano: non occorre fare determinate cose o essere in un certo modo per "essere gay" - vestirsi firmato o adorare Britney Spears, tanto per fare esempi banali. "L'affettività gay non determina come si deve essere: non esiste una psicologia caratteristica né esiste un modo univoco del suo manifestarsi. (...) Una reale emancipazione gay nascerà solo quando non ci sentiremo più obbligati a essere in un certo modo o spinti ad aderire 'volontariamente' a modelli precostituiti". Insomma: sii gay e sii come vuoi essere. Già al solo pensiero sembra di respirare più liberamente.
    Dopodiché Rigliano esamina anche le affermazioni più frequenti degli oppressori dei gay, smontandone l'omofobia e confutandone gli argomenti. Brillante è il modo in cui disinnesca l'accusa di "sterilità" rivolta ai gay e l'opinione secondo la quale tra due persone dello stesso sesso non vi sarebbe "complementarità". Questa, ribatte Rigliano, è tra persone, perché ogni persona è differente, assolutamente unica e speciale. Da questo deriva un'affermazione positiva del valore dell'omosessualità e non soltanto difensiva e "di retroguardia". Questo modo di procedere infonde coraggio, ottimismo ed è fonte di grande vitalità. Si leggono per esempio cose come: "le persone omosessuali (...) sono un esempio luminoso di resistenza alle sopraffazioni" e "la nevroticità [attribuita ai gay] indica l'universo mentale e le azioni dei persecutori, più che una psicologia caratteristica delle vittime". E ancora: "Dietro queste luttuose predizioni e rappresentazioni c'è la volontà che i gay non escano da un destino di dolore. Si teme che, se fosse loro concesso di essere normalmente felici, i moniti e le funeste predizioni di cui sono circondati si mostrerebbero per quello che sono: il desiderio dei loro persecutori e un pretesto per opprimerli". Per questo motivo occorre sostenere e promuovere tutto ciò che aiuta gli omosessuali a esprimersi e a vivere liberamente, come per esempio le unioni omosessuali che "sono un bene collettivo prezioso per tutti, da incoraggiare e salvaguardare", perché anche questa è una forma d'amore e, in quanto tale, produttrice di gioia. Accessorio all'oppressione da parte di chi odia i gay è il gay che disprezza se stesso e che, per i suoi oppressori, è il "gay buono", mentre il "gay cattivo è quello banalmente sereno, troppo tranquillo e simile a chiunque per non essere inquietante". Mirabile è anche l'analisi del ruolo svolto dalla chiesa cattolica nel fomentare l'odio anti-gay, tanto più pernicioso quanto più si ammanta di pietà per la persona, chiamata a vivere nella castità e, quindi, a negare la sua componente affettiva: "Si sancisce una scissione tra sé e la parte malata: in questa tensione la persona è chiamata a sprecare la vita. (...) Si scatena una violenza ancor più micidiale perché colpisce al cuore l'essere umano: nella consapevolezza di sé e nell'autostima".
    Amori senza scandalo ha inoltre un altro effetto su un lettore omosessuale medio - me, per esempio. Questo libro, così denso di riflessioni che puntano dritto al cuore della nostra affettività, funziona quasi da specchio in cui siamo costretti a rifletterci e, di conseguenza, a riflettere su di noi. Non c'è, insomma, una frase o un'osservazione che non ci spinga a chiederci: "E per me come è andata? E io in che modo reagisco in questa situazione?". In un certo senso, leggere questo saggio di acuta intelligenza ha anche una funzione terapeutica - o autoterapeutica - ed è per questo che ho scritto, all'inizio, che quando lo si chiude si ha la netta sensazione che qualcuno ti abbia, a poco a poco, girato la testa facendoti vedere cose, magari già ben note, ma da un altro lato. Un lato più luminoso, più vitale e più ottimista. E' un libro che consiglierei a tutti coloro i quali non hanno esperienza di persone omosessuali, ma continuano a parlarne (per lo più a vanvera), oltre che a quegli educatori che hanno a che fare con ragazzi di cui ancora non conoscono la sessualità - prima di rovinarli con pregiudizi o con riduzionismi pericolosi.
     
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