Gay Boys Reloaded

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    ATTENZIONE
    CONTENUTO EROTICO E SESSUALE
    QUESTO RACCONTO NON E' ADATTO AD UN PUBBLICO MINORE DI 18 ANNI
    SE SEI MINORENNE TI INVITIAMO A LASCIARE IMMEDIATAMENTE QUESTA PAGINA



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    Relazione complicata quella con il ragazzo biondo di Palermo. Matteo, 22 anni, lunghi capelli lisci biondi, alto un metro e ottanta: uno di quei casi preziosi di eredità normanna lasciata alla terra di Sicilia.
    Relazione complicata ma anche segnata da magiche coincidenze. Lo vidi la prima volta in un ristorante gay-friendly di Palermo. Io con un amico, lui al tavolo di fronte con un amico maturo sui 35-40 anni, la mia stessa età. Lo fissai a lungo: il viso era proprio bello e la bellezza era efebica, chiaramente gay. Il suo accompagnatore aveva qualcosa di duro nell’espressione: un mafioso con la pistola sotto il giubbino? O solo pregiudizi?
    Lo fissai a lungo, avrei voluto fermarlo e chiedergli il numero di telefono: quando mi piace un ragazzo non ho alcuna timidezza a fermarlo. Ma sta di fatto che i due uscirono insieme e poi non avrei potuto essere screanzato col mio accompagnatore di quella sera mettendomi a filare con un altro…

    Passarono i mesi, ebbi altri partner, dimenticai il ragazzo. Poi una sera su un social network vidi una fotografia. Un ragazzo biondo. Sì, era lui! Gli inviai un messaggio con foto molto esplicite: 1) il mio corpo nudo; 2) una mia foto in giacca e cravatta; 3) un ragazzo che mi succhiava il pene; 4) un ragazzo di spalle che si impalava sopra di me e si vedeva il mio pene molto massiccio che entrava nella piega dei suoi glutei.
    Il mio interlocutore rispose un po’ stizzito che non apprezzava foto porno e che comunque si: confermava di essere stato una volta in quel ristorante con un amico maturo; i nostri ricordi coincidevano, era proprio lui.

    Le foto non gli piacevano… ma magari il loro contenuto sì. Dopo ventiquattro ore eravamo insieme in una elegante terrazza bar, con vista sul bel Mar Mediterraneo. Parlavamo e io allungavo le mie dita sulla sua mano. Poi uscendo, lo cingevo ai fianchi e lo tiravo forte a me. In macchina ci baciammo, ci appartammo. Io tirai fuori il pene dai pantaloni. Lui disse: no, non farlo. Ma un attimo dopo la sua mano fredda impugnava il mio pene, e con un sapiente movimento lo rendeva durissimo. Io accarezzavo i suoi lunghi capelli con la mano e spingendogli la nuca lo invitavo a succhiare il mio pene. Ma lui disse che no, non era il momento. Per fortuna. Perché dopo pochi minuti arrivò la polizia con i lampeggianti e facemmo appena in tempo a riabbottonarci.

    Settimana dopo, in una famosa pasticceria del centro di Palermo. Lui ordina un tè e io un dolce dal nome evocativo: tiramisù. Prendo un pezzo col cucchiaio e glielo infilo in bocca. Poi sotto la pioggia corriamo in macchina. Lo porto alla periferia della città. In un posto dove battono i trans. Ci fermiamo su una stradina dissestata. Ci baciamo appassionatamente. La sua mano corre sul suo pene, me lo tocca con molta dolcezza e bravura. Anche il suo pantalone è sbottonato. Non vuol sapere di succhiarmelo. A quel punto mi chino io e affondo la mia bocca sul suo pisellino che cresce a contatto con la mia lingua. Il mio pene è massiccio, il suo è lungo e sottile, ha un sapore da ragazzo pulito. Lui poi mi ricompensa del mio lungo pompino con la sua mano sapiente. Ma in effetti mi sta offrendo il suo corpo prezioso un poco alla volta. Facendosi desiderare.

    Terzo appuntamento, andiamo al cinema a vedere il classico cinepanettone di natale. La sala è semivuota. Lui poggia la sua testolina bionda sulla mia spalla. Poi ci baciamo. Cominciamo a giocare con le mani sui pantaloni. Io prendo il mio giubbotto e lo metto sulle gambe. Lui da sotto il giubbotto apre la cerniera del mio pantalone, il cazzo svetta già duro e massiccio. Comincia a fare su e giù con la mano. E io mi godo il film e la sua mano che mi stringe il cazzo.
    Nel viaggio di ritorno gli chiedo apertamente quando è che potrò fare sesso completo con lui. Lui mi dice: con calma, senza pressioni, verrà il giorno che accadrà spontaneamente e allora andremo in albergo e lui si offrirà completamente su un letto. Gli dico va bene, posso aspettare. Ma proprio in quel momento squilla il suo telefono: una voce dura, da persona poco per bene, lo interroga: dove sei? Con chi sei stato? Lui risponde: sono stato con alcuni amici al cinema. “Gli amici”: è la scusa che dicono le donne quando vengono sorprese dal loro fidanzato. Non mi piace il tono possessivo e quasi criminale di quella voce al telefono. Penso che quel ragazzo frequenti brutte conoscenze, e mi dà fastidio il fatto che lui non si conceda a me e nello stesso tempo sia così remissivo con persone così strane. Scende il gelo tra di noi. Lui si accorge della mia freddezza. Mi saluta con un bacio sulla guancia. E scende dalla mia macchina che lo ha portato sotto casa sua.

    I giorni successivi passano nell’indifferenza. Ma a me piace troppo e riallaccio i rapporti. Lo chiamo. Lui mi spiega che tra lui e il tipo del telefono non c’è alcun rapporto. Solo un incontro, poi lui si è rivelato ossessivo, possessivo. E a quel punto lui ha cercato di divincolarsi con garbo, quasi con il timore per una sua reazione. Sarà vera la storia? Boh, nell’incertezza continuo a desiderarlo e a volerlo incontrare per possederlo.

    Ci rivediamo. Lui è un ora in ritardo. Forte è la tentazione di ripartire con la mia macchina e di lasciarmelo per sempre alle spalle.
    Ma lo aspetto mentre esce dalla piscina dove va a nuotare. Entra col borsone e mi fa un sorriso che rompe un po’ il gelo delle incomprensioni accumulate negli ultimi giorni. Andiamo al cinema a vedere Cinquanta sfumature di grigio. Ma prima ci fermiamo in un localino a mangiare. Cominciamo a conversare. Ormai siamo ritornati ad essere intimi e affiatati. Io arrotolo una forchettata di spaghetti e gliela infilo in bocca, lui mi fa bere l’acqua dal suo bicchiere dopo che avevo finito la mia birra. Gli chiedo: sei stato con qualcuno in questi giorni? Lui: no e tu? Io sfacciatamente: sì ho fatto sesso con una mia vecchia conoscenza. Gli dico: guarda ho quaranta anni e ho testosterone in eccesso, il sesso per me è una necessità naturale. Vorrei farlo con te, ma nel frattempo che ti aspetto, certo non posso farne a meno.
    A quel punto arriva sul mio cellulare un messaggio di whatsapp: un tipo un po’ maniaco, un po’ sfigato a cui avevo dato il mio numero mi scrive ossessivamente: mandami foto del cazzo, we, ci sei? A quel punto sono in imbarazzo anche io e un po’ di gelo torna a calare tra noi.

    Ci spostiamo dal ristorantino al cinema e a quel punto la trama ci prende. La sua testa è sulla mia spalla. La sua mano corre sul mio pantalone. Ma stavolta non lo sbottona. La sala è gremita: tutti a vedere il film erotico sadomaso. Ogni tanto donne ridono fragorosamente per spezzare l’imbarazzo. Io cerco di capire, mentre scorrono le immagini del film, come potrà svilupparsi il nostro rapporto dal punto di vista erotico. Intanto ci dà i brividi la scena del giovane maschio di spalle, completamente nudo con il suo bel culetto sodo. La protagonista femminile invece mi sembra sinceramente una sciacquetta: insulsa sia come corpo che come personalità.

    All’uscita dal cinema commentiamo il film. Che voto gli dai? Gli chiedo. E lui: un sei. Concordo. Il protagonista è troppo bamboccione per essere un vero master ed è ridicola la scena in cui fa capire alla partner che le frustrate non le faranno male. Insomma è una lezione di catechismo più che sado maso autentico.
    A quel punto gli dico che anche io sono master: no, niente frustini, niente lacci, niente bende. Nella mia concezione per rendere hard un rapporto deve bastare la durezza del pene che entra nel corpo del passivo e lo possiede con forza. Per il resto gli dico, mi piace essere ubbidito. Il partner non deve mai prendere iniziativa personale e deve soddisfare ogni mio desiderio a letto.

    Risaliamo in macchina. Ormai siamo complici. Guido veloce sull’autostrada per riaccompagnarlo al suo paese. E mentre premo sull' acceleratore, la sua mano è sul mio cazzo duro, fuori dai pantaloni. Fermati mi dice ho troppo bisogno di fare pipì. Mi fermo alla piazzola di sosta in un lungo tratto buio rettilineo non illuminato. E che vedo? Lui è girato per fare pipì ma i suoi pantaloni sono abbassati. Nella flebile luce lunare si vedono le due bellissime chiappe bianche. Altro che culo della sciacquetta del film! È un culo perfetto, sodo, sferico, molto più bello di quello del personaggio maschile del film. In un guizzo sono fuori dalla macchina. Lo prendo da dietro. Gli appoggio il mio cazzo duro tra le chiappe. Cerco di premere. Ma lui serra il culo. Non ho un profilattico a portata di mano. Intanto le macchine sfrecciano sull’autostrada. Gli sto dietro. Lui sente la potenza del mio cazzo dietro di lui e io gli mordo il collo.

    La situazione non è sostenibile per troppo tempo. Potrebbe passare qualche volante della polizia e sarebbe un bell’atti osceni in luogo pubblico. Ma ormai la febbre del sesso sta salendo. Risaliamo in macchina. Lui si china su di me e fa un lungo gustoso pompino. Scendi fino in fondo lo esorto.
    E mentre lui succhia, io picchio violentemente la mano fino a far risuonare il suo culo. Uno schiaffo, uno schiaffone, un altro ancora. Gli dico come nel film, questa è la punizione. E quanti altri schiaffi ancora mi chiede complice? Beh... sei arrivato sessanta minuti in ritardo quindi sono sessanta schiaffoni sonanti.
    Ma a lui a questo punto interessa soprattutto scendere con la sua bocca sul mio cazzo e lo riempie di elogi: dice che gli sembra davvero immenso.
    Allora mi dai il culo? Non qui, non in macchina.

    Ok… gli dico, soddisfatto per quello che mi ha concesso questa notte e soprattutto per la situazione davvero intrigante. Poi andremo fino in fondo. E allora qualcuno urlerà…

    Edited by Gotico74 - 17/2/2015, 21:35
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    Sfogliavo distrattamente “Panorama”, superate le pagine di politica, di esteri, arrivai alle pagine più leggere su costume e società: la vita segreta dei gay. “Si bussa a una porta discreta senza insegne, sul campanello c’è scritto club. Al banco ti offrono ciabatte e un telo per rivestirti”. Si parlava delle saune: saune gay dove tutto era finalizzato a una grande scopata. Scattò nella mia testa il campanello della curiosità.
    Superai il Colosseo e mi avviai all'indirizzo che lo stesso settimanale dava ai suoi lettori: ero entrato per la prima volta nel mondo dei locali a circuito chiuso gay. E infatti dovetti anche fare una tessera. Con il telo, le ciabatte e i fedeli amici … profilattici… mi avviai agli armadietti: già lì fu eccitante spogliarsi, sbottonarsi la camicia, abbassare pantaloni e slip, rimanere col pisello penzolante fuori prima di ordinare tutto nell'armadietto e cingere i fianchi col telo. Gli altri che passavano, si spogliavano o si rivestivano osservavano in verità la scena con indifferenza. In quel luogo la nudità era di casa e semmai era il vestito ad essere una cosa eccezionale.
    Sotto la doccia cominciai a guardare i corpi che più mi attraevano: ovviamente quelli di maschi molto giovani, snelli con corpi lisci e culi ben rotondi. Il cazzetto mi interessava secondariamente: diciamo come un optional tra gli altri su una macchina di lusso.
    Nel bagno turco, il calore umido scioglieva i corpi. A prima vista gli occhi vedevano solo buio, poi cominciavano a distinguere le forme. Ci si avvicinava a seconda dell’attrazione, ben presto qualcuno lasciava scivolare la mano sul tuo cazzo. Io facevo altrettanto prendendo tra le mani i glutei di chi avevo adocchiato.
    Ma nel bagno turco con assoluta disinvoltura si faceva anche sesso orale e qualcuno con le mani contro la parete veniva anche penetrato.
    Usciti dal bagno turco, la grande vasca idromassaggio. Li si parlava, ci si toccava o tutte e due le cose, era comunque estremamente rilassante stare sdraiati, conversare e cominciare il sesso soft che precludeva alla sodomia che si praticava in camerino.

    Divenuto esperto di quel mondo, scoprii una sauna ancora più grande.
    D’inverno mi toglievo giacca e cravatta e subito dopo mi immergevo nella grande vasca, molto calda. Fuori il freddo, dentro il tepore e il sesso.
    A volte il mio pene già turgido affiorava sopra il livello dell’acqua attirando già il primo partner. Altre volte ero io a sedermi accanto al ragazzo che era immerso nella vasca, sfioravo con la mano la coscia. Immediatamente la mano scivolava dietro: sul gluteo e poi nel solco, a far capire immediatamente che non appartenevo al restante 90% dei presenti, passivi, ma alla categoria più ristretta – e diciamo pure privilegiata – degli attivi. A quel punto il ragazzo prendeva il mio pene tra le mani.
    In fondo alla sala grande, la vasca girava dietro una parete con delle fontanelle, lì in posto relativamente più appartato l’attivo si poneva in piedi e il passivo seduto in acqua succhiava. La gioia del passivo era di avere due cazzi a portata di bocca, mentre alle spalle scorreva la cascatella di acqua calda.
    Ne ho viste di orge in quel luogo.
    Io sono esibizionista, mi piace ostentare il pene che è giunto alla durezza massima e che viene preso in bocca dal partner. Quando sono in camerino spesso divido il rapporto in due tempi. Nel primo tempo mi piace l’intimità assoluta e romantica; nella seconda fase mi piace essere guardato e aprire la coppia ad altri partecipanti al gioco.
    Si comincia comunque baciandosi a lungo e con passione. Poi mi piace baciare tutto il corpo del partner, e amo che lui sia totalmente passivo, come la bella addormentata nel bosco. Io scendo con la lingua e gli bacio il collo, come il vampiro. Poi gli succhio i capezzoli e tiro la lingua fino ad arrivare alle ascelle. Mi piace sentire il profumo del maschietto lì.
    Poi scendo giù e per breve tempo metto la lingua anche nell’ombelico. Quindi succhio il pene: adoro i peni barzotti, dolci, morbidi, non turgidi. Siccome amo al massimo la sensazione forte della penetrazione, confesso di non essere molto attratto dal pompino del partner: cioè metterlo dietro mi sembra molto più eccitante che farmelo succhiare. Per questo nei preliminari preferisco succhiarlo io, poi scendo ai piedi, lecco la pianta dei piedi, mordicchio le dita dei piedi. Il mio pene è grosso ed è un grande piacere per il partner prenderlo tra i suoi due piedi e farmi una sega con quelli
    A questo punto lo giro e ricomincio dal capo: lo bacio lungo la schiena, la mia lingua scende nel solco tra le spalle fino ad arrivare al frutto del desiderio: il culo che deve sbocciare su fianchi snelli, essere sodo, rotondo, senza peli. Lì affondo la lingua e bagno con la saliva. Poi la penetrazione. Lenta, graduale, centimetro per centimetro, quindi selvaggia.
    Si comincia con la posizione a pecora.
    Poi stendo completamente il partner e gli faccio sentire i miei ottanta kili addosso.
    Poi lo impalo su di me. Prima con il culetto rivolto verso il mio viso: posso sculacciarlo forte e massaggiargli i piedini.
    Poi col viso rivolto verso di me e in tal caso mi piace accostarmi al suo pisellino che mi penzola sul torace.
    Poi gli ordino di mettersi faccia a muro. E lo penetro in piedi.

    Dicevo nella seconda fase divento esibizionista. Apro uno spiraglio della porta del camerino: una porta scorrevole. Mi piace che altri vedano l’espressione intensa di chi penetro. Ovviamente chi guarda vuole anche entrare: se sono tipi non compatibili con i miei/nostri gusti lo tengo alla porta altrimenti lo faccio entrare o ne faccio entrare anche due.
    A quel punto il partner può succhiare mentre io lo penetro. Oppure il nuovo arrivato può stringere la mano attorno al mio cazzo mentre esce dal buchetto del boy.
    Tutto fino alla eiaculazione finale:
    sul viso del boy, sul suo petto oppure su un punto che – mi ha confidato un ragazzo – suscita molto piacere: la curva della schiena immediatamente sopra il culo. Lì si sente caldissimo lo schizzo dello sperma sparato dal cazzo subito dopo essere stato sfilato da dietro.


    7. Continua.

    Nota Bene: quello esposto è un puro racconto di fantasia. Ogni riferimento a persone esistenti, a luoghi o a fatti realmente accaduti è puramente casuale.

    Edited by Gotico74 - 30/12/2014, 19:26
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    Spaventato dall’esperienza con il maghrebino che nel vagone fermo alla stazione aveva cercato di infilarmi il suo cazzo color carbone nel buco del culo, cominciai a frequentare i cinema porno. L’idea germogliò un poco alla volta nella mia mente.
    Qualche mese prima con la comitiva di amici che studiavano nello stesso convitto universitario eravamo andati a vedere un pornazzo al cinema. Ricordo che per esorcizzare l’imbarazzo ridevamo forte, facevano schiamazzi e commentavamo in maniera grossolana le tette della porno star o i cazzi esagerati dei negri che “recitavano” nel film. Io soprattutto quei cazzi guardavo, o meglio contemplavo i corpi dei maschi e nello stesso tempo sbirciavo l’espressione dei miei amici per capire se in fondo qualcuno di loro fosse stato così aperto mentalmente da ammirare non solo il corpo femminile, ma anche quello maschile.
    Intanto uno dei miei amici ridendo forte aveva notato che qualche fila dopo la nostra un signore maturo solitario si stava segando. Nella mia mente si impresse l’idea che in quei cinema non ci si andava solo per vedere, ma anche per … toccarsi. Magari anche per toccare qualcuno vicino e a disposizione.
    Il passo successivo avvenne con la birra. Stavo a una festa organizzata dai ragazzi di architettura, bevvi una birra dietro l’altra e mi venne una strana frenesia. Uscii dal cortile universitario dove a cielo aperto si teneva la festa e svoltate due tre strade entrai nel cinema aperto di notte. Mi sedetti, ma quando vidi che c’era gente in movimento ai bordi della platea mi alzai anche io. Cominciai a girare sui due piani e nel buio rischiarato dalla luce del film, e nello stesso tempo velato dai fumi delle sigarette capii che tutto un mondo misterioso si muoveva.
    Entrai in bagno e vidi gli orinatoi. Allora, come ormai facevo da qualche tempo nei cessi della stazione, tirai fuori il pisello e cominciai a pisciare: la birra invogliava a farlo, ma in quel posto chiuso con maggiore sicurezza potevo accarezzare il mio pene a lungo e senza nessuna preoccupazione di nascondere il gesto. Si avvicinò un signore maturo, calmo, vestito in maniera sportiva con un borsello a tracolla e con altrettanta disinvoltura tirò fuori il suo pene e cominciò ad accarezzare… no, non il suo! Cominciò ad accarezzare il mio pene.
    Allora avvenne una rivelazione per me… il signore mi disse: “hai un cazzo grosso, che nella vita non guasta mai!” Davvero non avrei mai immaginato di avere un cazzo grosso, sopra la media. Sono alto e snello. Ma ero sempre stato abituato a pensare che come c’erano altri ragazzi più muscolosi di me, allo stesso modo i loro cazzi dovevano essere più grossi del mio. In proporzione. Il mio lo vedevo medio e tutto sommato insignificante. Invece in verità era grosso sopra la media.
    Lieto di questa rivelazione, il signore mi portò nel bagno nel cinema, mi fece salire sulla tazza del bagno e mi succhiò il pene. Lo inghiottiva o lo rigirava nella sua lingua sapiente. Dopo un po’ diedi segno di stanchezza: a me non piacciono i “signori” ma i ragazzi! E la cosa finì lì, ci salutammo con garbo e reciproca educazione.
    Quella sera ero troppo ubriaco e tornai a casa, segnando nella memoria quella nuova esperienza. Nelle settimane successive cominciai l’esplorazione nel nuovo mondo misterioso ed oscuro dei cinema porno.
    Trovai. Trovai uomini di tutte le età, di tutte le taglie, di tutte le condizioni sociali, belli, brutti. La democrazia insomma! Io mi sedevo e qualcuno si sedeva vicino a me, cominciava ad accarezzarmi la gamba, a quel punto io mettevo la mano sulla cerniera e raccoglievo nel palmo il pene da sopra il pantalone. L’altro capiva che io ci stavo e allungava la mano all’altezza del pene. Io abbassavo la zip e lui prendeva in pugno il pene che ormai svettava liberato dallo slip. Nella semioscurità e nella totale impudicizia del cinema il passivo poteva anche piegarsi in avanti col busto e inghiottire il pene. Chissà quanti schizzi di sperma erano disseminati tra le poltroncine, un vero groviglio di DNA…
    Se decidevi di andare fino in fondo andavi nei bagni. Lì ci si abbassava i pantaloni e turandosi il naso – dato il posto – ci si avvinghiava l’uno dietro l’altro, col passivo che di solito appoggiava la fronte sul braccio piegato in avanti e il braccio sul muro.
    Ma a volte vidi scene di estrema libidine in cui, nelle ultime file un giovane abbassava i pantaloni, mostrava senza alcun problema il culo e sotto lo sguardo di altre persone veniva inculato.
    So che in passato nei cinema avvenivano begli incontri e i ragazzi andavano tutti là a trovare l’amore. Ma quando cominciai a frequentare io l’era dei cinema porno volgeva alla fine. I gay si orientavano verso i locali – saune, cruising bar, discoteche omo con darkroom – nei cinema rimanevano invece i vecchi, incapaci di intercettare le nuove mode, e i prostituti che sempre più numerosi affluivano dai paesi di immigrazione per fare concorrenza ai marchettari italiani.
    Per avere corpi giovani e freschi decisi di pagare. Non ancora guadagnavo allora, ma avevo appena finito i quindici mesi come ufficiale di complemento. Per nove mesi, dopo il corso allievi ufficiali, ero stato pagato come un Sottotenente e avevo messo i soldi da parte. Ora potevo togliermi qualche sfizio.
    Vidi un ragazzo snello e sexy come piacciono a me. Si chiamava. Oddio, come si chiamava? Sì, Ivan si chiamava. Era proprio quel che a Milano si definisce un “culattone” perché aveva un corpo alto e snello, ma dai jeans sbocciava un grosso culo carnoso. Abbassato i pantaloni esso si rivelava bianco e glabro. Lui si inchinò davanti a me e mi fece il pompino di rito. Poi si voltò, si mise a novanta gradi e io infilai le mani nella sua bella camicia nera sbottonata in alto fino ad andare a toccare i suoi capezzoli come se fossero due seni di donna, allargando le palme sui pettorali e soppesandoli. Intanto col cazzo puntavo il buchetto e affondavo sempre di più, sentivo il culo fresco e carnoso che si apriva e lasciava entrare il cazzo.
    Ahha ahahah gridava spalancando la bocca e a me venne di mettergli un dito in bocca, mentre con i denti gli mordicchiavo l’orecchio.
    Andammo avanti così a lungo nel cesso del cinema porno. Poi a un certo punto il piccolo professionista del sesso – 19 anni appena compiuti – si ricordò di avere una fiorente attività commerciale… allora si sfilò dalla penetrazione si mise in ginocchio davanti al mio cazzo e mi segò rapidissimamente per farmi arrivare. Alla eiaculazione si scansò con abilità dalla traiettoria, ma uno schizzo di sperma gli rimase appiccicato sulla bella camicia nera.
    Lo pagai una miseria. Ci scambiammo i numeri.
    Mi dimenticai di lui.
    Poi un giorno, un anno dopo, ero a casa di una mia amica, matura professoressa di filosofia. Erano le cinque e l’elegante signora nel suo salottino mi offriva una fetta di torta e un tè.
    Mentre lei era in cucina a portarmi il tè bollente, squilla il mio cellulare.
    - Ciao sono Ivan, ti ricordi?
    - Sì, ma stavolta non ti pago.
    Risposi sotto voce. Fissammo appuntamento per un incontro di sesso stavolta non mercenario.
    La professoressa sorrise: è una tua amica?
    Sì, sì una mia amica. Sorrisi come un angioletto.



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    Avevo diciotto anni e salii su un autobus affollato di ragazzi che uscivano dalla scuola; una ragazza un po’ tracagnotta mi si mise davanti e appoggiò il suo sedere sul mio pantalone. In un attimo il pene mi divenne duro e mi si aprì nella mente una nuova possibilità.
    Da allora di tanto in tanto cominciai a salire sugli autobus nelle ore di punta. L’autobus che parte dalla stazione Termini passa per piazza Venezia e va verso San Pietro era quello più interessante. Quando il vagone si riempiva, i corpi si avvicinavano: potevi fiutare il profumo del ragazzo sul collo, era lui stesso ad accostare il culetto o la manina al pantalone da cui si gonfiava il pene. Cominciai a pensare che anche il ragazzo più etero, nella calca, gradisse di sentire dietro la schiena il ferro caldo di un maschio. A volte capitava che un ragazzo mentre era abbracciato alla sua ragazza tendeva il sedere per agganciare il mio pene o la mia mano “distratta”: mano morta come si dice in gergo.
    Momenti deliziosi erano quando ci si trovava viso a viso: le labbra quasi sfioravano l’orecchio dello sconosciuto, le dita si toccavano sul palo a cui si reggono i passeggeri, in basso i cazzi duri nei pantaloni si toccavano e si masturbavano a vicenda.
    Non mi capitò mai di scendere con lo sconosciuto di turno, di portarlo da qualche parte e finire il lavoro: anzi incominciare il lavoro vero; perché senza dubbio era frustrante questo sesso appena accennato, tra gente sudata e borseggiatori interessati a usare le mani per altri scopi…
    Però a un certo punto la storia cominciò ad avere uno sviluppo interessante. L’autobus arrivava alla stazione e lì dopo che mi ero a lungo strusciato con un ragazzo mi venne voglia di andare i bagno: i bagni della stazione dunque! Sporchi, schifosi, e pieni di odori facilmente riconoscibili. Lì c’erano gli orinatoi in verticale e mi accorsi che più di uno sostava per troppo tempo col pisello in mano. Problemi di prostata? Ma no! Con le dita armeggiavano sul cazzo, con gli occhi guardavano al vicino. Mi inserii nella fila e anche io cominciai a segarmi il pisello, di tanto in tanto qualche mano si allungava per toccarmelo. Ma erano mani raggrinzite di vecchi, raramente si trovavano giovani come piacciono a me, al massimo qualche volta un parrucchiere.
    Eppure era bello vedere il militare in mimetica, che poggiava lo zaino accanto e tirava fuori il suo cazzo per farsi vedere e vedere anche lui.
    A quel tempo il mio sesso era questo: pigiarsi in autobus e poi guardarsi nei cessi della stazione. A interrompere questa routine venne il viaggio in America: il viaggio dei venti anni. Tutto era meraviglioso: i grattacieli di Manhattan, le stradine di provincia immerse tra gli alberi con luci gialli catarifrangenti ai bordi e sulla linea tratteggiata, i miei cugini italo-americani mi trattavano con grande affetto e mi viziavano: birra in quantità e hamburger giganti. Peccato che fossero omofobi, come gli italoamericani in genere: Charlie era alto, biondo con gli occhi azzurri, un ragazzo da telefilm; peccato che ora sia un obeso italo-americano. Steve era più muscoloso, con un labbro leporino e occhi chiari su due schiocche rosse come mele nelle guance: aveva un successo pazzesco con le ragazze, a volte se ne portava due per sera, ora anche lui è un obeso. Leonard no, non è diventato obeso, lo era già allora, ma con la sua aria da gattone affettuoso si è sposato con una bella donna americana magra, che dopo il matrimonio è ingrassata!
    Ma torniamo a noi: i cugini, versione inoffensiva dei Soprano’s, mi portavano nei locali dove si ballava “Mr Boombastic say me fantastic!”…” touch me in my back…”. I corpi scendevano e risalivano nella danza orgiastica: la ragazza in mezzo e due maschi davanti e di dietro. Io bevevo birra come non avevo mai fatto prima: quella birra americana senza qualità, tutta quantità: bassa gradazione alcolica, che ti permetteva di berne tantissima e ti gonfiava la pancia alla Homer Simpson. Stavo per vomitare, stavo per eruttare birra anche dalle orecchie, come il vulcano erutta la lava. Ma come un angelo venne Charlie, mio salvatore alto e biondo (e ancora magro): mi portò al bancone, mi prese un bicchierino di Jegermeister e ricordo il miracolo dell’amaro aromatico tedesco in mezzo a quella bolgia di americani: berlo fu come tirare lo sciacquone del water. Tutta la birra invece di risalire in un tragico riflusso gastroesofageo si incanalò come la meravigliosa cascata del Niagara verso la prostata e … pisciai, pisciai, pisciai!
    Ragazzi come si piscia bene con la birra. Un flusso giallo caldo mi liberava dall’angoscia, lo stomaco si rilassava come una persona che finalmente può allungare le gambe nel letto dopo aver viaggiato su una macchina scassata. Ma ai piaceri del pisciare si aggiunsero i piaceri del vedere: negli orinatoi accanto, tanti americani bianchi e neri con i loro cazzoni, anche loro mezzo ubriachi pisciavano birra. L’atmosfera era di stordimento: ognuno pisciava, si scrollava, si manipolava e con la testa ciondolante ci si guardava l’un l’altro. Il mio pene era gonfio, non rigido, di calda birra in corpo.
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    Bellissima la storia e la trama è sapiente
    Prova a rendere il linguaggio dei due più realistico: per come parlano ora sembrano la parodia di Arancia Meccanica, che imitava l'inglese aulico degli attori shakespeariani.

    Per cui procedi come hai cominciato, ma falli parlare come parlano due ragazzi veri!
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    CONTENUTO EROTICO E SESSALE
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    SE SEI MINORENNE TI INVITIAMO A LASCIARE IMMEDIATAMENTE QUESTA PAGINA



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    NEL CONVITTO DEI PRETI


    E fu così che dopo i diciotto anni e l’esame di stato mi si aprirono le porte dell’università e soprattutto mi si rese possibile abbandonare il paesello di poche migliaia di abitanti per andare a vivere in una grande città, da solo, senza genitori o parenti attorno.
    Senza parenti ok, ma solo proprio no, perché i miei mi misero in un Convitto di preti. Ed io ero contento: niente panni da lavare, niente cucina e tanti maschietti giovani attorno. Per me che ero figlio unico finalmente l’occasione di avere tanti fratelli coi quali litigare e divertirsi. E si sa a volte coi fratelli ci si spoglia anche….

    Il convitto di preti aveva regole molto allegre. Bastava non portare nessuno da fuori e non fumare le canne. Per il resto avevi le chiavi del portone ed entravi e uscivi quando volevi.
    Eravamo liberi e nello stesso tempo un po’ coatti, perché soprattutto quando gli esami incalzavano si viveva lì nel vecchio monastero adibito a convitto un po’ reclusi. Era un ambiente quasi carcerario, di tutti maschietti, che col caldo d’estate cominciavano a uscire in boxer fuori la porta della propria stanza. Con le canottiere che lasciavano ben vedere le braccia i pettorali e le ascelle.
    Imparai che dove le donne mancano, la natura si adegua e anche chi non è gay comincia a giocare un ruolo o di attivo o di passivo. Così per adattamento e approssimazione.

    C’era ad esempio Giovanni, uno studente a vita… quaranta anni passati che ancora faceva spendere soldi alla famiglia per una laurea in farmacia che forse sarebbe arrivata alle soglie della pensione. Giovanni era rotondetto con una barba rossa da fratacchione. E faceva sempre lo stesso gesto: metteva la mano sulla patta dei pantaloni per controllare se avevi dolore alle palle. Cosa che poi ti faceva venire tastando pisello e testicoli nei pantaloni. Più che una toccata il suo era uno strappo ai coglioni.

    Poi c’era un calabrese estremamente rozzo, quasi un Neanderthal, però tutto sommato simpatico, un compagnone. Si chiamava Erminio e viveva nella venerazione del suo cazzone. Diceva che ce lo aveva enorme e a richiesta lo mostrava in privato.

    Poi c’erano le battaglie dei corpi: le “lotte pornografiche dei greci e dei latini” come cantava Battiato. Iuri montava Luca. Combattendo con lui e vincendo lo montava ripetendo un arcaico gesto di supremazia. E mentre - pur essendo vestiti – metteva il suo cazzo sul solco del culo dell’altro e lo stringeva al torace con una mano, con l’altra mano gli toccava il cazzo per vedere se era moscio: e allora era a posto. Ma se il cazzo del sottomesso si induriva un pochettino voleva dire che il perdente era anche finocchio e godeva nell’esser stato sottomesso: “Fammi vedere – gridava Iuri – se si indurisce vuol dire che sei frocio”.

    In effetti questo Luca, carino di viso ma magrolino e basso, era un po’ il punch-ball del convitto perché anche io, solitamente pacifico, mi divertivo a combatterlo e a sottometterlo. Ma il fatto che lui ci prendesse gusto era ormai chiaro… Perché un giorno di primavera mentre eravamo entrambi in pantaloncino e a torso nudo lui con una pistola ad acqua cominciò a siringarmi sul pisello. Luca fermati. Luca fermati! Al terzo avvertimento chiusi la porta della camera e cominciai a braccarlo.
    Io sono un metro e ottantasei, per quanto snello la prevalenza fisica era evidente. Ben presto gli fui sopra e cominciai a tastarlo sul pisello – che però rimaneva moscio. Lui mi diceva: fermo, lì no. Ma io a più riprese glielo toccavo, mentre gli premevo da dietro. Cominciai anche ad abbassargli le mutandine: il pantaloncino ormai era saltato. Ma il bel gioco finì lì. In fondo il fatto che Luca amasse essere sottomesso sessualmente era solo una battuta offensiva….

    Quelli che invece davvero amavano il cazzo erano i due gemelli marchigiani. Erano palesemente effeminati, un po’ malignetti, facevano gossip a tutto spiano e tante moine. Insomma quel tipo di gay che … detto sinceramente attira l’omofobia come la marmellata attira le formiche. Ma noi in fondo eravamo tolleranti… di solito erano loro due che insultavano gli altri maschi “normali”!
    Ci facevano l’impressione di essere due mezzi maschi decisamente effeminati, per questo con il tono sfrontato dell’epoca dicevamo: “i gemelli Ferrarese fanno un maschio in due!”
    Ma che facevano? Si contendevano un bel studente in Legge Ferdinando, e a turno si sdraiavano sul letto con lui. Ferdinando era steso di fianco e il gemello di turno si stendeva davanti attaccando il culo sul suo cazzo. Lo facevano a porta aperta anche davanti agli altri, con i pantaloni ma il contatto cazzo-culo era evidente. Mentre loro con disinvoltura parlavano parlavano e sforbiciavano.
    Avevano la lingua forbita anzi biforcuta e intimorivano un po’ tutti. Nessuno osava contestarli per quello stravagante comportamento. La verità, uno dei due gemelli aveva una evidente simpatia per me e cercava di abbracciarmi. Ma io non rispondevo. Io in effetti ero omo come loro, ma ero di comportamento maschile e cercavo il maschietto. Quella effeminatezza mi faceva scappare. Penso che invece Ferdinando ci sguazzasse in quel carnevale: quasi una premessa a future uscite notturne a trans.

    Intanto avevo stretto amicizia con Nello, uno studente di ingegneria, tipo estroso che sognava di disegnare Ferrari e si abboffava di canne, per sognare meglio. Le canne erano proibite dicevo, ma le proibizioni per uno studente universitario erano quasi una istigazione a delinquere. Uscivamo per comprare il fumo, lui faceva la trattativa con lo spacciatore di turno, io guardavo un po’ a distanza di sicurezza. Fifone. Poi andavamo in camera e cominciavamo a fare nuvole di fumo. Una sera lui aprì un giornaletto pornografico e mi disse: guarda! Che sfizio! C’era un trio: una donna, classico zoccolone, e due ragazzi, di cui uno mi ricordo che era ricciolino come il giornalista Mentana (ma non era lui…: D). Di foto in foto si vedeva che i due maschi lasciavano da parte la donna e cominciavano a succhiarselo tra loro. E Nello diceva: guarda. Forte!
    Sarà stato lo stordimento, sarà stata l’imbranatezza di uno che a 19 anni non aveva ancora fatto sesso con un maschio, ma non capii il chiarissimo invito a prendere esempio dalle figure. Eppure sarebbe bastato che dicessi: hmmm, mi faccio una sega e sono sicuro che le nostre bocche sarebbero scivolate sui nostri reciproci cazzi.

    Invece i perfidi gemelli loro sì che si davano da fare. E quando si arrivò a maggio, con la scusa dell’arte fotografica fecero spogliare un gruppetto di studenti nudi in una stanza e li fotografarono in pose sedicenti “artistiche”, ma in realtà ricchionesche e porno-soft. Un po’ come si fa ora con i calendari dei rugbisti. I gemelli in fondo erano veri artisti gay e anticipavano i tempi. Peccato che adesso invecchiano a fare i commercialisti in provincia. Ovviamente Luca, l’eterno seviziato, e il mio compagno di canne Nello erano in prima fila a fare i modelli di Belle Arti. Ah… chissà che fine hanno fatto quelle foto di polaroid degli anni Novanta! (in uno studio di commercialista?).

    Io ero in quella fase in cui perdevo interesse per le donne e ancora ero a piedi sulla strada del sesso maschile. Andai ad esempio al Mak Pi del Liceo ed ormai ero grande, anche un po’ figo, e senza neppure saperlo feci venire una cotta a una bella biondina del terzo anno di Classico. Samantha: capelli biondo cenere, occhi verdi, un leggero alone di occhiaie attorno alle luci verdi del suo sguardo. Come la conquistai? Ma semplicemente ballando un lento e alla fine baciandole la mano. Rimase stecchita. Flirtai con lei. Ma poi – tornando alla città dell’università – la dimenticai. Lei mi aspettò parecchio. Poverina. Scusami, Samantha! Grazie per la preferenza accordatami. Ora è madre. Ma se proprio devo dirla tutta sono più maschio io del marito in pantofole che si è trovata (poraccia).

    Ma ora basta con le sbruffonerie. Solo un ultimo rigo per anticipare una traccia della prossima puntata: vi parlerò di come alla fine misi le mani su un corpo maschile e della discesa dal cielo del Dio Apollo!

    2. Continua

    Nota Bene: quello esposto è un puro racconto di fantasia. Ogni riferimento a persone esistenti, a luoghi o a fatti realmente accaduti è puramente casuale.

    Edited by Gotico74 - 17/8/2014, 16:24
21 replies since 9/8/2014
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