Il compagno di classe

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    Il bagno nel seminterrato della scuola era guasto e non ci andava più nessuno. Sembrava perfetto per l’occasione. Luca mi aveva detto che il ragazzo che all’inizio dell’anno aveva fatto coming out si metteva sempre lì alla ricreazione o durante l’ora di religione. Era all’ultimo anno di liceo come me e faceva pompini gratis ai maschi. La maggior parte dei ragazzi lo prendevano in giro e lo bullizzavano, ma quando si trattava di farselo succhiare, che fossero gay o etero, non si tiravano mai indietro. La cosa andava avanti da mesi. Gabriele aveva cominciato a succhiarlo ai compagni di classe e questi avevano sparso la voce finché anche ragazzi di altre sezioni avevano deciso di andare a vedere. Ero curioso anche io.

    Arrivato al bagno, c’era già la fila. Erano almeno una decina i ragazzi prima di me.

    “Siamo arrivati tardi”, mi disse il ragazzo che mi stava davanti con una risata. “Mi sa che ci dovevamo prenotare”.

    “È la prima volta che vengo qui”, gli risposi.

    “Questa per me è la terza”.

    “Come funziona?”. Ero curioso di sapere i dettagli e cosa dovessi aspettarmi.

    “Vai lì, glielo metti in bocca e lui succhia. Ma io arrivo sempre tardi perché la mia classe è all’ultimo piano”.

    “Non è la stessa cosa se arrivi tardi?

    “Sì, ma lui è già stanco di succhiare. E ci credo… Quindi devi scopargli la bocca e fare tu il suo lavoro”. Deglutii, imbarazzato. Cominciava già a venirmi duro.

    “Dove si fa venire?”

    “Dove vuoi tu. In faccia, in bocca. Gli piace un casino ingoiare.”

    “Tu dove gli vieni?”

    “Io gli schizzo direttamente in gola. Questa attesa è sempre una tortura e ho bisogno di sfogarmi”.

    “Ma nessuno si accorge di quello che succede qui?”

    “Chi? I professori? Quelli non si accorgono mai di nulla”.

    “È la prima volta che mi succede una cosa del genere. Non pensavo fosse possibile”.

    “Incredibile, vero? Quel frocetto è insaziabile. Più lo trattiamo male e più cerca i nostri cazzi”, disse il ragazzo con un ghigno soddisfatto. “Io sono Ettore, comunque”.

    “Patrizio”.

    Ci scambiammo una stretta di mano. Dietro di me si accodarono altri ragazzi che scherzavano tra di loro insultando pesantemente il ragazzo che succhiava. Uno disse: “Gli sfondo la bocca a quel ricchione di merda. Gli faccio fare la femmina”. E un altro gli rispose: “Io devo pure pisciare. Dite che si fa pisciare in bocca? Ahahah”.

    La fila si era sfoltita e finalmente era arrivato il turno di Ettore. Mentre lui e il ragazzo che lo aveva preceduto si davano il cambio, intravidi per un momento Gabriele. Nel gabinetto dove succhiava il cazzo mancava il wc e lui era inginocchiato con le spalle contro il muro, in attesa. Ettore gli si mise davanti senza chiudere la porta. Era molto alto e la testa di Gabriele gli arrivava giusto al cazzo. Ettore si abbassò i pantaloni della tuta fin sotto i glutei lasciando scoperte le chiappe sode e muscolose e lo mise in bocca a Gabriele per farselo succhiare. Sentivo i suoi gemiti di godimento e gli insulti che non gli risparmiava. “Succhia, puttana”, gli diceva mentre Gabriele si dava da fare a pomparlo. Gli stringeva le mani alle chiappe per tenersi in equilibrio. Dopo un po’ doveva essersi stancato perché lo vidi mollare la presa. Allora Ettore gli prese la testa tra le mani e iniziò a scopargli la bocca spingendogli il cazzo in gola con molta foga. Sentii Gabriele strozzarsi e perdere il respiro, ma a Ettore non importava. Continuava a chiavargli la bocca finché con un grido soffocato contrasse le chiappe e gli venne in bocca schizzandogli tutta la sborra direttamente in gola. Ero senza parole.

    Quando finì, aspettò che Gabriele gli ripulisse il cazzo con le labbra e poi lo tirò fuori. Con mia sorpresa, gli lanciò uno sputo in faccia e si girò per andarsene. Mi diede una pacca sulla spalla con un sorriso e mi disse: “È tutto tuo”.

    Era il mio momento e mi salì l’agitazione. Era una cosa che non pensavo potesse capitarmi mai in una nuova scuola. Mi ero fatto succhiare il cazzo da molti ragazzi a casa mia, a casa loro, in macchina, al parco, ma mai a scuola e in quelle condizioni. Ora che ero davanti a Gabriele potevo vederlo meglio. Era un ragazzo molto carino. Quello che mi incuriosì di lui, però, fu lo stato in cui versava. Aveva gli occhi irritati e lacrimosi e le guance arrossate. Qualcuno degli altri doveva averlo preso a schiaffi. Le labbra e il mento erano incrostate di sborra. Dallo spazio tra gli occhi gli colava lungo il naso il grumo denso di saliva di Ettore. Gabriele sembrava non curarsene, come se gli piacesse. Mi guardava con un gran sorriso.

    “Sei nuovo? Non ti ho mai visto”, mi disse. Aveva la voce molto sottile. Da ragazza.

    “Mi sono appena trasferito”.

    “Allora ci vuole un trattamento speciale”, sorrise togliendo la lingua di fuori. Gabriele mi sbottonò i jeans e calò giù la cerniera per tirarmelo fuori. Era già abbastanza duro. Il mio, tutto sommato, era un bel cazzo, grosso e venoso con la cappellaumida. Gabriele lo prese subito in bocca e iniziò a succhiarlo facendomi sentire tutto il calore della sua bocca. Era bravissimo, davvero. Non avevo mai ricevuto un pompino così ben fatto. Sarà stato forse tutto l’esercizio che lo costringevano a fare ogni giorno in bagno. Spompinava con maestria senza fermarsi un attimo, come se non volesse lasciarselo scappare. Sentivo la sua lingua avida percorrere tutta l’asta, girare intorno alla cappella, stuzzicarmi il prepuzio. Le sue labbra lo ciucciavano con passione come un gelato. Quando aveva bisogno di riposarsi un attimo, affondava la faccia sotto il cazzo e mi prendeva le palle in bocca succhiandole con un gran risucchio finale. Cazzo, era davvero un pompinaro nato.

    A un certo punto, non resistetti più. Come Ettore prima di me, gli afferrai la testa tra le mani e gliela spinsi contro il muro con violenza. Lui si strozzò per un momento ma non fece una piega. Mi avvicinai ancora di più a lui e ora il mio cazzo era così in profondità nella sua bocca che la cappella gli sfiorava la gola e i peli delle mie palle gli solleticavano il mento. Iniziai a stantuffare forte e gli scopai la bocca con una violenza di cui non mi credevo capace.L’unico pensiero che avevo in testa era che volevo fottergli la bocca, fottergliela fino a farlo vomitare. Lui fu colto di sorpresa ma poi si lasciò andare ai miei colpi furiosi che lo lasciavano senza fiato. Dopo svariati avanti e indietro del mio cazzo, mi bloccai all’improvviso e affondai ancora di più nella sua gola mentre gli schizzavo dentro un getto potentissimo di sborra. Poi un altro e un altro ancora. Immobile, senza poter aprire la bocca, Gabriele fu costretto a ingoiare tutto il seme appena uscì dalla mia cappella pulsante. Lo sentii deglutire con difficoltà perché la sborra era tanta e densa, ma mandò giù tutto senza problemi. Quando ebbi le palle completamente svuotate, gli sfilai il cazzo di bocca e me lo rimisi a posto. Lui mi guardò, docile come un cagnolino, ancora senza fiato. Dai lati della bocca gli colavano dei rivoli di sborra che non aveva fatto in tempo a ingoiare.

    “Torna qui dieci minuti prima della campanella di uscita. Ci sarò solo io”, mi disse leccandosi le labbra.

    “Perché?”

    “Per il trattamento speciale, no?”. Non mi disse altro e mi fece cenno di far passare il prossimo.

    Mi chiesi cosa fosse il trattamento speciale. Chi lo avrebbe mai immaginato che, all’ora accordata, lo avrei trovato di nuovo in bagno ma questa volta in piedi e di spalle chino sul lavandino? Voleva prenderlo in culo da me. Che troia.
     
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