Il bordello

13° episodio: Campagna acquisti

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    CONTENUTO EROTICO E SESSUALE
    QUESTO RACCONTO NON E' ADATTO AD UN PUBBLICO MINORE DI 18 ANNI
    SE SEI MINORENNE TI INVITIAMO A LASCIARE IMMEDIATAMENTE QUESTA PAGINA



    ========================================================

    Capitolo Tredici: Campagna acquisti


    Mi ero addormentato dopo di lei, ma quando aprì gli occhi, Denise era ancora con me.
    Girai la testa per vedere se stesse ancora riposando.
    “Buongiorno tesoro” esordì lei. Era sdraiata prona e si teneva la testa con la mano destra. Mi sorrideva smaliziata, guardandomi con occhi arrossati dal sonno.
    “Finalmente” commentò.
    Sbadigliai.
    “Che ore sono?”
    “Quasi le dodici dormiglione”;
    “Beh…” sbadigliai di nuovo: “Anche te sei ancora qui”.
    “Ero sveglia da un pezzo, ma non volevo disturbarti… Sei così dolce quando dormi” e dicendo questo camminò con le dita, portandole verso il mento.
    “Si?” domandai.
    “Certo” confermò lei.
    “Ma va… Ti sarai svegliata da cinque minuti…” e mi voltai dandoli le spalle. Poi chiusi gli occhi colpito da un ennesimo colpo di sonno.
    Sentì un leggero schiaffo sulla spalla.
    “Mah… Sentilo” fa divertita: “Come ti permetti di dire che mento?”. Poi cercò di strapparmi il cuscino da sotto la testa. Feci resistenza, ma alla fine riuscì, per poi prendermi a cuscinate.
    Dopo tre colpi ben assestati, smisi di fingere di dormire e la braccai sul letto, cominciando a farle il solletico sotto le ascelle e tra le costole. Lei rideva divertita.
    “Basta, ti prego! Mi arrendo!” disse senza fiato. Le salì sopra a pochi millimetri dalla bocca e le dissi con occhi languidi: “Denise…”;
    “Si?” rispose in attesa della mia prossima mossa.
    “Vorrei tanto che tu… Che tu… Scendessi a prepararmi la colazione. Oh come lo vorrei adesso…” e sorrisi apertamente.
    “Stronzo!” e cercò di picchiarmi, ma le tenevo i polsi e non riusciva a muovere le braccia. Cercò di scalciarmi e allora mi alzai e corsi fuori dal corridoio.
    “Vai a farti una doccia puzzone!” mi disse.
    “Ai suoi ordini” risposi. Poi rimembrai che, effettivamente, oltre il fatto che avessi comprensibilmente sudato quella notte, sarei dovuto partire presto per andare a prendere Nicolò.
    Senza indugiare oltre, mi spogliai e m’infilai dentro il box doccia.

    Quella notte era stata piena di sorprese e, cosa più importante, erano sorprese cui trarre vantaggio. Questo mi rasserenò ed ero pronto ad affrontare la giornata con rinnovata fiducia. A Daniel, in realtà, non avevo ancora menzionato nei dettagli la mia proposta, ma i segnali mi davano ottimismo. Presto comunque, avrei dovuto chiederlo, in un modo o nell’altro.
    Allo stesso tempo, mi dispiaceva fargli questo: se avesse saputo tutto, o anche buona parte delle cose che succedevano, era molto probabile che non avrebbe mai accettato. L’importante era convincerlo ad andare, sapendo che sarebbe stato Alfredo a trattenerlo. In altre parole, gli avrei rovinato la sua vita in modo che la mia si rovinasse meno.
    Altrettanto dispiaciuto ero per Denise, che sin dal principio si era legata a me e mi aveva accolto nel migliore dei modi. Come potevo fare questo a suo fratello?
    La porta a vetri del box doccia si aprì e prima ancora di realizzare, assorto nei miei pensieri, Denise era dentro.
    Mi girai, ancora con il sapone addosso e la guardai in tutto il suo sensuale splendore. Prima il mio sguardo cadde sul suo piccolo e sodo seno, poi alzai gli occhi sui suoi. L’acqua le scendeva sinuosa sul viso. E non seppi resisterle.
    Lei voleva. Io volevo.
    Non dicemmo nulla; si girò nuovamente e chiuse la porta a vetri, per poi riposizionarsi davanti a me. Cominciò silente ad accarezzarmi i pettorali: io l’accompagnavo tenendoli i polsi. Il suo viso ammirava il mio petto muscolo e glabro, mentre le mani scivolavano sulla pelle liscia e insaponata.
    Scesi con la testa e le baciai dolcemente il petto, poi cominciai a scendere continuando a baciare il seno, poi la pancia, infine l’addome. Ora, inginocchiato, trangugiai e assaporai la sua vagina liscia e morbida. Con la bocca emettevo suoni profondi di chi succhiava senza ritegno. Appena iniziai, Denise gemette convinta, tenendomi la mano forte nei capelli. Succhiavo sempre più profondamente e tenevo le mani alzate sui suoi fianchi. Assaporavo il mix tra acqua calda e le succose secrezioni di Denise, che m’inebriarono le labbra. Più la lingua andava in profondità, più Denise gemeva selvaggiamente, flettendo le ginocchia sopra la mia testa.
    Alla fine mi alzai e la baciai, infilando la lingua in gola e tenendola per i fianchi. Per quanto ingordo, il mio bacio è dolce e gentile; le mie mani scendono sul bacino e palpano senza complimenti i soffici glutei. Anche lei è però sul mio sedere sodo e cerca curiosa qualcosa...
    Capisco cosa vuole fare e rimango letteralmente a bocca aperta.
    La lascio fare.
    Il suo dito medio penetra timidamente. Continuiamo a guardarci negli occhi stupefatti ed eccitati di quello cui i nostri desideri ci stavano spingendo. Allargo leggermente le gambe, come per invitarla a spingere di più. E lei accetta l’implicito invito; esce, flette leggermente le ginocchia rimanendo in piedi, e passa sotto i miei testicoli. In questo modo può entrare completamente.
    Il suo dito affusolato si muove dentro di me, mentre il suo braccio mi solletica i testicoli. Godo sommessamente, gemendo sottovoce e continuando a fissarla. Lei risponde allo sguardo, sempre più emozionata. Il mio caldo respiro le lambisce il viso.
    A quel punto, distoglie lo sguardo e si flette ancora di più, infilando anche l’indice. Sempre più emozionato e sorpreso da tanta intraprendenza le stringo le spalle con le mani. Le sue dita scivolano più fluide e veloci e non riesco a trattenere gemiti di concitazione, molto più forti di prima. Denise si lecca le labbra con la lingua, osservando il mio corpo reagire e accompagnare istintivamente le sue dita: i miei addominali in contrazione, le cosce che si flettono, i miei capezzoli turgidi su cui l’acqua scivola giù.
    La stringo a me, passandoli la mano sinistra sopra il fondoschiena; lei si solleva un po’, ma tiene le due dita ancora dentro di me. Il suo polso schiaccia ora i miei testicoli, il suo seno è appoggiato sotto i miei pettorali.
    Con la mano destra, scendo sotto le natiche e faccio lo stesso, penetrandola con il dito medio rovesciato.
    Sorpresa, emette un gemito soffocato. Ci guardiamo a bocca spalancata; le nostri fronti si toccano. Insieme, cominciamo, anzi, continuiamo a fotterci con le dita.
    Gradualmente, aumento la frequenza delle penetrazioni.
    Mentre le sue dita entrano in profondità, ma con una sorta di garbo e delicatezza, il mio dito si muove rudemente e con grande vigore. Se il suo movimento produce un suono quasi impercettibile, come se grattasse la pelle, il mio è netto come quello di una saponetta che scivola dalle mani che provano a stringerlo. La reazione però era la stessa: immensa eccitazione per quello che stava accadendo.
    I nostri visi si accarezzavano, spostandosi in sincronia, i nostri respiri affannati scaldano la bocca dell’altro. Dalla fronte, toccandoci il naso, poi ancora su, baciandoci e lambendo l’uno il naso dell’altro. E poi ancora i nostri menti che si congiungono, con la testa spinta in alto nell’emissione di un gemito incontrollato quanto godurioso.
    Sempre più eccitato, penetro senza più inibizioni e a velocità pazzesca. Lei urla un insieme di emozioni: il piacere incontrollabile e una sofferenza goduta; vuole resistere a tutti i costi, però si ferma dentro di me. Non m’importava e proseguì a una velocità che sfiorava la follia. I nostri occhi erano incollati su quello dell’altro, i suoi fuori dalle orbite, mentre le nostre bocche si storcevano in smorfie d’incommensurabile piacere.
    “Aaah! Aaah!” ululava lei in preda alle contrazioni, con il suono che usciva oscillando con il suo torace. Con la mano destra conficcata sempre dentro di me, piega la sua gamba sinistra incrociandola dietro il mio coccige. In questo modo, allarga lo spazio per la mia penetrazione. Con il braccio sinistro invece mi passa alto attorno al collo. Solleva parzialmente anche il piede destro e si fissa per entrare nella mia bocca.
    Ci baciamo in un lungo e selvaggio scambio di saliva. E finalmente esce con le dita da me, infilandomele in bocca. Io succhio godurioso desideroso di eseguire ogni sua fantasia; in una frazione di secondo se le passa in bocca e anche lei assapora i sapori residui. Poi ancora le inserisce nella mia bocca e ancora nella sua, e così via. Tutto questo, mentre i nostri corpi fremevano per quello che stavo facendo sotto e per la posizione faticosa, specialmente la sua.
    Finalmente esco anch’io e lei abbassa la gamba sinistra, tornando in piedi. Facciamo la stessa cosa con il mio dito, leccandolo con ingordigia, come due animali che con vedono del cibo da giorni.
    Dopo aver leccato e deglutito senza ritegno, Denise apre il box doccia ed esce, lasciando tutto aperto. Il vapore sale vorticosamente sul soffitto, mentre la vedo camminare nuda e bagnata fuori dal corridoio, più veloce che potesse senza scivolare.
    Rimango inebetito, in attesa di non so cosa, mentre l’acqua calda mi scivolava sul corpo. Dopo poco più di un minuto, torna con un oggetto nero, strano e voluminoso e si richiude in doccia con me.
    Lo guardo: è un doppio dildo di fattura notevole, oltre che di dimensione. Si caratterizza per una cura per una minuziosa attenzione ai dettagli.
    Me lo porge in mano: la plastica di cui è composto è ammorbidita da uno strato spesso di materiale più gelatinoso. Le due riproduzioni delle cappelle sono dettagliate e il materiale qui è ancora più morbido, emulando con risultati di alto livello un vero pene. In mezzo alle aste e collegato tra loro, è presente un rigonfiamento duro: lo tasto e mi accorgo che è composto di una speciale sabbia che lo rende spugnoso ma pesante, in modo che potesse essere usato come fondo su superfice.
    La guardo meravigliato.
    “Vuoi farlo?” chiesi sgranando gli occhi.
    Scosse il capo.
    E io? Era una cosa stranissima. Ma quante cose stranissime stavo facendo ultimamente? Ogni volta che pensavo di aver visto tutto, succedeva qualcosa di ancora più incredibile. Quella non era che una cosa in più. Inoltre, ero estremamente eccitato. La mia natura, come la mia storia personale racconta, era una ricerca continua dell’eccesso. Quello lo era. Infine, Denise era una persona con cui volevo condividere questo genere di estremismi.
    “Va bene…” dico con voce rotta dalla concitazione.
    Denise, anch’essa in preda al piacere dei sensi, non vedeva l’ora. Non feci in tempo a dare il mio ok, che si era seduta sulla nuda ceramica della doccia. Lei, sempre così composta e delicata, si era liberata di ogni freno inibitore, tirando fuori dal cappello un oggetto che, in altre situazioni, sarebbe ritenuto inquietante.
    Con più calma e tremando per l’emozione, chiudo i rubinetti della doccia e mi siedo anch’io. Lo spazio è ridottissimo: il pavimento quadrato della doccia non misura più di quaranta centimetri per lato. Comunque, stringendoci in posizione fetale, riusciamo con un po’ di fatica a piazzarci.
    Passo il dildo nelle mani di Denise perché incerto su cosa fare e perché mi vergognavo a maneggiare un giocattolo simile. Lei, che come ho detto, non aveva più inibizioni e fremeva come una bambina che aspettava il regalo di compleanno; si alza in ginocchio sui piedi, prende un estremità del dildo e lo infila lentamente nell’ano. Il giocattolo è lungo forse più di venticinque centimetri e alcuni di essi scompaiono dentro di lei. I “testicoli” del giocattolo si afflosciano sulla ceramica. Il 90% per cento di quel lungo e spesso coso nero erano ancoro fuori, ma piano piano, tenendo la mano destra sulla rotula, Denise si penetrò, accompagnando il processo con lo sguardo.
    Appoggiato alla parete della doccia, fissavo il tutto inebetito. Il membro era sul mio addome, duro come il marmo. Ora che l’acqua non batteva più sulla ceramica, la casa era avvolta da un assoluto silenzio, rotto solo dai movimenti leggeri di Denise.
    Quando fu soddisfatta del risultato e pensò fosse abbastanza, si sedette nuovamente come prima, avvicinandosi il sedere verso di me e riposizionandosi meglio. L’altra estremità ballonzola comicamente, mentre la sua è ancora fuori per tre quarti dal suo retto.
    “Dai…” disse lei con un velo d’imbarazzo;
    “Sì, ok…” risposi io ancora più imbarazzato di lei. Ero spaventato ed eccitato allo stesso tempo. Oltre che eccitato per lo spavento.
    Con l’adrenalina che mi correva sotto la pelle, mi avvicinai leggermente, sempre da seduto, e presi l’estremità dalla mia parte. La stinsi, incredulo per quello che stessi per fare, e conficcai la cappella al suo interno.
    Ora era Denise a guardarmi, con la lingua sulle labbra, ingorda della mia presenza e di ciò che mi accingevo a fare.
    Tremavo come una foglia; per le sensazioni che provavo, ma anche perché, ora che i rubinetti erano chiusi, la temperatura si stava lentamente abbassando e i nostri corpi intiepidendo.
    “Spingi…” sussurrò Denise tifando per me.
    Così feci, ed entrò per qualche centimetro.
    “Ora insieme…” disse sempre sottovoce, come se ci stessimo nascondendo da qualcuno che non era presente. Che cosa? Il giudizio morale per quello che stavamo facendo?
    “Ok…” risposi allo stesso tono, sorpreso di sussurrare anch’io.
    Denise strinse la presa con la mano sinistra sull’oggetto, cominciando a muoversi sopra. Con mia sorpresa, la mia estremità subiva pesantemente l’onda d’urto e mi stava comicamente sfuggendo dall’ano. Me ne accorsi in tempo per bloccarlo ancora dentro con la mano sinistra.
    Quell’aggeggio era dunque ben calibrato in modo che i movimenti dell’uno solleticassero l’altro: come se fosse vivo, come se fosse Denise a penetrarmi.
    Conficcai quindi il membro di plastica più velocemente in profondità, in modo che non capitasse di rischiare che mi guizzasse ancora fuori.
    E senza accorgercene, avevamo cominciato a giocarci. A furia di sperimentarlo, il nostro retto impercettibilmente si apriva all’attrezzo e scivolavamo su di esso.
    Se eravamo partiti agli estremi opposti della doccia, in modo da far penetrare la punta del lungo arnese, ma anche per una sorta di barriera che ci bloccava per l’imbarazzo su quello che avevamo deciso di condividere insieme. Mano a mano che scivolavamo, bagnati e sudati, su di esso, i nostri corpi si avvicinavano sempre di più. Ci eravamo quasi dimenticati dell’altra persona, per un paio di minuti, intenti ad accompagnarci più in profondità possibile e scoprire dove saremmo potuti arrivare, di quali fossero i nostri limiti fisici, come morali. Parlo in plurale, perché conscio che anche Denise, grosso modo, provasse le mie stesse sensazioni in un momento così emotivamente forte e coinvolgente. Io avevo anche preso con la mano libera, quella destra, a masturbarmi e lo stesso faceva lei, penetrando con le dita in un selvaggio furore. Ma io la vedevo ancora solo come un riflesso, troppo concentrato su di me. L’attrezzo che batteva dentro di me, solleticandomi, era quasi un entità a se stante, come se avesse vita propria.
    Ci accorgemmo di noi solo quando i nostri piedi si sfiorarono: allora realizzammo che godevamo grazie al godimento dell’altro. Nel giro di pochi minuti, eravamo entrati per più della metà della lunghezza del dildo; sempre più lussuriosi, sapevamo che per godere di più avevamo bisogno dell’ aiuto dell’altro.
    Denise e io ci guardammo intensamente, come se avessimo raggiunto un intesa comune. Lei si fletté all’indietro con la schiena, sempre guardandomi, appoggiando la mano sinistra, che teneva prima il dildo, dietro. Io feci lo stesso. E cominciammo a spingere, mentre con le altre mani, continuammo a masturbarci.
    Fu così che le spinte al mio interno, si moltiplicarono. Se con la sua forza riusciva a fare questo, non potevo immaginare quanto potenti fossero i movimenti in lei a causa mia. I centimetri dell’asta sprofondava sempre di più; così tanto, che alla fine ci toccò sederci perché ciò che rimaneva non poteva essere preso in quella posizione.
    Da seduto, sentì ancora più forte la presenza di qualcosa di lungo e duro dentro di me. Tanto che ogni minimo movimento era fonte di fitte dolorose. Ogni sensazione, poi la pensavo come moltiplicata in Denise che però non la dava a vedere come me. E conclusi, in quel momento più che mai, quanto fosse più alta la soglia del dolore per una donna.
    A quel punto, avevamo fatto trenta… Non ci restava che fare l’ultimo passo. Per la prima volta, tornammo non più solo a sfiorarci con gambe e piedi, ma ad abbracciarci, spostando le gambe dietro il bacino dell’altro.
    Fu così che, con movimenti più dolci e controllati, arrivammo fino all’attaccatura dei testicoli del giocattolo. Venticinque centimetri e rotti dentro al retto di ognuno di noi due.
    Ci guardammo stupefatti, ma soprattutto soddisfatti. Continuammo a muoverci, accompagnando con gemiti sonori e smorfie di fatica, la propagazione di ogni movimento nell’altro. Ci accarezzavamo e coccolavamo, alla fine tornammo anche a baciarci.
    Quando la baciai, sentì un senso di nostalgia: come se l’assenza delle sue labbra per quei minuti fosse stata troppo, un tempo interminabile. E l’attenzione si spostò lì. Sempre più presi e sempre più in profondità, continuammo a scambiarci effusioni. Le nostri mane studiavano il corpo dell’altro, come se volessimo strapparci la carne a vicenda.
    Ci alzammo, scordando che avevamo un attrezzo conficcato fino alla bocca dell’intestino. Questo, si sfilò in un sol colpo, con lungo suono di tappo e cadde pesantemente sulla ceramica, afflosciandosi su essa.
    Mi sentì quasi come squarciare l’intestino; e dovetti piegarmi dal dolore. Per Denise fu lo stesso e appoggiò un braccio sulla mia spalla tenendo la testa su di esso, mentre con l’altra si teneva la pancia.
    “Che idioti” commentai sofferente.
    L’eccitazione però, dopo qualche decina di secondi, prese nuovamente il sopravvento: se pur doloranti, eravamo decisi di averci completamente. Quindi, me la caricai di me, penetrandoli la figa.
    Denise non si oppose, anzi si strinse più forte possibile su di me, rannicchiando le gambe attorno ai miei fianchi e le braccia dietro al collo. Cominciai a sbattermela con intensità, imbragandola di tanto in tanto. Lei, con grande coordinazione, riuscì ad aprire i rubinetti della doccia, il cui getto fu subito caldo.
    Quando fui pronto per venire le dissi:
    “Sono pronto. Che facciamo?”;
    “Vienimi dove vuoi, decidi tu” disse secca con una decisione soprannaturale.
    Scelsi e, senza rispondergli, uscì, la portai sulla parete e la presi da dietro, sbattendomela subito con foga nel retto. Non ebbi problemi a penetrare, visto quanto avevamo già fatto finora. Lei si teneva con le mani sulla parete, arcuando la schiena e dandomi il culo. In preda all’eccitazione massima, la sculacciai e poi le presi le mani, tenendole indietro mentre continuavo a batterla. Così, non aveva più modo di appoggiarsi e dovette tenersi più in equilibrio possibile, piegando le ginocchia. Non feci nulla per semplificargli il lavoro, anzi aumentai le percosse e i miei testicoli si sbattevano sempre con maggior frequenza sulle sue natiche, echeggiando pe tutta la casa. Quando fui al limite, gli schizzai tutto dentro e gemetti animalescamente per la soddisfazione.
    Poco dopo, uscimmo dalla doccia, non prima che lei raccogliesse le gocce dal mio membro con le dita e le mettesse in bocca.
    Abbracciati dentro un solo asciugamano che ci copriva il ventre, lasciammo il bagno, dimenticandoci il dildo al centro della doccia.
    Camminammo lentamente scalzi e bagnaticci fino al divano, dove io mi sdraiai e lei si accucciò sopra di me, tenendo l’asciugamano sopra le nostre intimità ancora bollenti. Qui ci scambiammo dolci effusioni e carezze, come una coppia vera e propria…
    Fu allora che entrò Daniel.
    “Per fortuna che non stavate insieme” commentò sarcastico, eludendo l’imbarazzo.

    -

    Che cazzo stavo facendo? Mi chiesi correndo veloce in tangenziale, al limite del ritardo.
    Le note di “Overkill” di Colin Hay in radio accompagnavano perfettamente la situazione in cui mi ero cacciato.
    Dopo tutto quello che stavamo passando, dopo aver trascorso un periodo difficile con Nicolò, avevo pensato bene di iniziare qualcosa con Denise. Grande mossa Nicolò, grande mossa veramente...
    Dopo l’arrivo di Daniel, mi ero finalmente dato una mossa e almeno evitai che si prolungasse la situazione. Denise non mi aveva detto di aver cambiato idea, di voler provare a uscire o cose simili. Però intanto mi aveva strappato un altro invito a casa per il giorno dopo.
    Stupido, mi rimproverai; non avevo bisogno di altri problemi.


    Nicolò mi stava già aspettando fuori dalla porta; ero fuori tempo e non fece nulla per non sottintenderlo.
    “Sei in ritardo” disse con voce calma ma sprezzante quando si sedette: “Muoviti, parti”.
    Non parlammo molto durante il viaggio, che non era così lungo. Il posto in cui dovevamo trovarci con gli altri era in centro e non ci volevano che meno di dieci minuti. Il difficile era trovare parcheggio.
    Ciò bastò abbondantemente per essere strigliato: per il ritardo, per la scarsa comunicazione per il fatto che avevo pensato a divertirmi in un momento come quello, ancora il ritardo. Risposi assecondandolo, perché non aveva torto, però… Era uno strazio quando faceva così e l’avrei gettato volentieri fuori dall’auto in corsa.
    Non lo feci, perché eravamo arrivati e non ce n’era più bisogno. Lo mandai avanti, intanto che parcheggiavo. Con questa scusa potei rifiatare un attimo da lui.
    Quando entrai al Kofler, il posto stabilito per trovarsi, Nicolò aveva già preso posto vicino agli altri.
    Erano presenti tutti e tre: Nawfal, Vincenzo e Lorenzo. Il primo aveva un anno più del secondo che, a sua volta, ne aveva uno più del terzo. Come potreste ricordare, ebbi già modo di presentarveli e conoscerli.
    Nawfal un ragazzo di sedici anni di origine marocchine con folti e crespi capelli castani e di occhi color pece; Vincenzo, di quindici, piccolo e apparentemente innocuo, con il suo faccino tenero, i capelli neri e gli occhi marrone scuro e il suo grande amico Lorenzo, il più piccolo, con i suoi quattordici anni, ma un fisico già pronto, atletico e leggero, gli occhi verdi e i capelli corti, folti e biondi. Quando entrai al bordello, rappresentava un eccezione per la sue età. Eccezione che Alfredo era intenzionato a trasformare in regola.
    Mi salutarono calorosamente, specialmente Vincenzo e Lorenzo con cui, all’interno del contesto del bordello, in un occasione avevo fatto ripetutamente sesso. Mi stimavano particolarmente, vedendomi come una specie di sex symbol ambulante.
    “Oh eccoti…” fece Nicolò: “Gli stavo già spiegando la situazione… Abbiamo già ordinato, non ho preso nulla per te…” continuò lui.
    Era una specie di vendetta o cosa?
    “Tranquillo sono a posto così” risposi senza pensare di perdere tempo in polemiche futili: “Piuttosto, che gli hai detto?”.
    “Ci ha detto che vi ha mandato a cercare nuovi ragazzi, ho capito bene?” interviene Vincenzo con una luce negli occhi, probabilmente contento della novità.
    “Quindi, cosa volete da noi?” fece Lorenzo con poco tatto.
    “Stiamo avendo qualche problema… Non sappiamo dove cercare” rispose Nicolò, mentre anch’io prendevo posto.
    “Come non sapete dove cercare? E’ pieno di ragazzi al mondo!” affermò Lorenzo come fosse la cosa più scontata al mondo.
    “Pensi davvero sia così semplice?” risponde Nicolò con un tono di voce accusatore.
    “Lo è” rispose Lorenzo.
    “Ottimo. Puoi dirmi allora dove cercare?”;
    Lorenzo si dondolò sulla sedia, poi disse: “E’ pieno di ragazzi che se cerchi bene si fanno fare in cambio di ricariche, mance o robe simili”.
    Nicolò lo guardò perplesso, come se fosse la cosa più stupida al mondo. E si rivolse agli altri:
    “Voi cosa mi consigliate? Dove potrei cercare?” domandò come se Lorenzo non avesse mai parlato.
    “Perché non vuoi ascoltarmi?”;
    “Mi devi dire un posto preciso! Delle persone precise! Non è che possiamo andare a chiedere a caso!” esclamò Nicolò adirato perché pensava che Lorenzo gli facesse perdere tempo.
    “Non ha torto Nicolò” interviene Nawfal: “Però se cerchi un posto preciso, posso indicarti un campo di calcio che conosco, dove girano voci di questo tipo”.
    “Mi ci puoi portare?” chiese Nicolò speranzoso.
    “No no calma… Io ti dico dov’è, ma non posso farmi vedere con voi… Potrebbero conoscermi, non posso rischiare… Sapete che non sono dichiarato”.
    “Va bene… Basta che mi dici dov’è…”. E quindi gli indicò un campo poco distante da quella zona, dove avremmo potuto trovare qualcosa.
    “Perfetto... Perfetto!” gioì Nicolo: “Possiamo farlo subito” disse ora rivolgendomi a me.
    “Aspetta Nico… Non credo sia una buona idea che andiamo noi”;
    “E chi dovrebbe andare?” domandò facendo una smorfia, come se avessi detto la cosa più stupida di questo mondo: “Loro?”.
    “Non hai capito…” feci infastidito per essere trattato come un cretino: “Ovvio che noi ci andiamo, ma abbiamo bisogno di qualcuno di loro se dobbiamo avvicinarci a qualche coetaneo!”.
    “Allora sono anche coetanei!” esclamò Vincenzo sempre più contento.
    “Sei qui solo per fare il bambino?” disse provocatorio Lorenzo. Ma Vincenzo non cadde nell’esca.
    “Beh… Esprimiti meglio allora la prossima volta” commentò Nicolò, in riferimento al mio ragionamento. S’era accorto che dopotutto avessi ragione, ma come suo solito non tornò sui suoi passi.
    “Non dimentichiamoci la questione Francesco. Come ci organizziamo?”.
    “Dividiamoci Nicolò. Uno va al campo e uno da Francesco”.
    “Uhm… Mi sembra giusto” ammise finalmente Nicolò: “Andrò io da Francesco. Penso di essere un oratore migliore di te” disse pacatamente, ma ero sicuro che fosse un ennesima freccia indirizzata al mio petto.
    “Mi sembra una buona idea. Ci sa sicuramente più fare lui con i teenagers” commentò improvvisamente Lorenzo.
    “Perché?” chiusi come d’istinto: “Anzi guarda… Non dirmelo” aggiunsi quando mi accorsi con chi stavo davvero parlando. Vincenzo e Nawfal risero della cosa.
    “Ok, mi pare sia deciso. A questo punto chi vuole accompagnarmi?” Domandò Nicolò ai tre.
    “Io!” fece Vincenzo.
    “Pensavo fossi entusiasta di cercare nuovi ragazzi” dissi io.
    “Sì, però si sa che ha una cotta per Francesco” affermò Lorenzo ridacchiando.
    “Cosa dici?!” sbraitò Vincenzo con il solito tono scatenato.
    “Si hai ragione… Dire che è una cotta è poco… Sapete che ha trovato tutto un album di foto di Francesco nel suo telefono?” disse ridendo più forte e schivando i pugni di Vincenzo che intimava di tacere, rosso fuoco in viso.
    “Ok, ma dateci un taglio” feci io: “Non facciamoci riconoscere”. Finalmente mi ero fatto coinvolgere. Vedevo finalmente un po’ di luce all’orizzonte. Trovare tre ragazzi, considerando Daniel per acquisito, mi motivava; questa era la mia missione.
    “Ha ragione” aggiunse Nicolò: “Ok Vincenzo vieni, magari mi sarai utile. Nawfal? A questo punto vieni con noi?”;
    “Va bene” fece lui senza remore.
    “Quindi siamo solo io e Lorenzo ad andare ai campi?” domandai senza bisogno di risposte.
    “Basto e avanzo” commentò Lorenzo.
    “Sono quasi le tre e mezza e abbiamo un paio d’ore di luce. Diamoci una mossa”.
    Ci fu l’ok generale. Quando arrivò da bere, prosciugarono le loro ordinazioni, poi partimmo per le nostre destinazioni. Non prima di prendere un attimo Nicolò da parte.
    “Ascolta, ho due cose da dirti” iniziai io.
    “Sì, ma veloce…”;
    “Innanzitutto non serve che perdi tempo ad accompagnarci. Prendiamo il bus” dissi.
    “Perché?”;
    “Perché ho intenzione di tornare a Padova dopo. Così posso riprendere la mia macchina e saremo più comodi tutti”;
    “Ok, va bene…”;
    “E un'altra cosa… Ieri… Sono quasi certo di avere preso il sì di un ragazzo perfetto per il caso nostro”;
    “Davvero?” fece lui illuminandosi. Poi, rimise i piedi per terra, perdendo di convinzione.
    “Sei sicuro?” mi domandò;
    “Quasi… Ma sì, consideriamolo già” rischiai io.
    “Nicolò se dopo dice di no…”;
    “Fidati per una volta” dissi sorridendo. E lo baciai sulle labbra, davanti alla confusione della platea.
    Nicolò, che dopo le recenti tensioni non si aspettava un segno come quello, figurarsi davanti a un pubblico eterogeneo, rimase in silenzio e fece un cenno di conferma con il capo.
    Gli diedi le sue chiavi della macchina.
    “Mi raccomando” mi esortò prima di abbandonare il bar con Nawfal e Vincenzo.
    “Diamoci una mossa” feci a Lorenzo.

    -

    Il campo distava a poche fermate dal centro della città. Si trattava di un posto frequentato da molti ragazzini di varie fasce d’età. Non era altro che il campo esterno di un patronato, accessibile a tutti in qualsiasi momento. Si costituiva di due rettangoli di gioco divisi da alcune panche e un ripostiglio. Un campo era da basket, il secondo, quello più lontano dalle inferriate, era più grande di un consueto campo di calcetto. Entrambi erano in asfalto.
    C’erano molti bambini e ragazzi, anche troppi; era un problema.
    Camminando in mezzo alla calca di persone in movimento e palloni da basket ballonzolanti, ci portammo verso le panche.
    “Dove cerchiamo?” domandai spaesato. D’un colpo mi sentì vecchio; sì, è vero, c’era più di qualche ragazzo grandicello, ma io ero già troppo oltre. Mi ricordai di un tipo che conoscevo, sulla trentina. che passava le giornate a giocare a calcio al mio patronato. Aveva una pesante cerica e vestiva in giaccone tutto l’anno; mi salì un brivido sulla schiena.
    “Guarda avanti” mi fa Lorenzo.
    In mezzo al campo da calcio, ci sono alcuni ragazzetti intenti a parlare con altri un poco più grandi. Lorenzo mi indicava apertamente con il braccio quelli a sinistra. Effettivamente, pensai dovessero avere più o meno l’età di nostro interesse, quindi gli scrutai meglio. Sembravano pure carini e manifestai la cosa a Lorenzo.
    “Mi sembra che andrebbero bene…”.
    “Dici?” commentò dubbioso.
    “Certo… Sempre se fossero disposti ad accettare…”;
    “Mah…” fece perplesso.
    “Non ti vanno bene? Non possiamo fare gli schizzinosi. E poi, in realtà… Mi sembra vadano più che bene”.
    “Sarà… Forse è che li paragono a me e quindi non mi dicono molto…” commentò Lorenzo con supponenza.
    “Ma va…” feci con un gesto plateale e lo spinsi, cosa che fu notata anche da alcuni ragazzi circostanti. Ma anche uno di quelli di nostro interesse si accorse di noi. Il ragazzo ci guardò e, con mia grande sorpresa, ci chiamò:
    “Ehi, volete giocare?!”. Era il più grande dei tre, probabilmente il leader. Aveva un aspetto curato, a partire da capelli castani, rasati ai lati, a all’indietro e sparati al centro. Taglio alla moda tra i ragazzi della sua età.
    “Ehm…” titubai io. Giocare? Eravamo in jeans e pile.
    “Certo!” confermò Lorenzo senza pensarci due volte.
    “Ma che dici?” dissi sottovoce, in modo che sentisse solo lui.
    “Stai zitto… E’ la nostra occasione…” sibilò.
    Il ragazzo ci alzò il pollice, per approvare la cosa, quindi ci avvicinammo a loro, mentre la squadra avversaria si allontanava per scaldarsi con il pallone.
    “Ci servivano proprio due persone. I nostri amici ormai sono stanchi di giocare contro loro…” disse sempre lo stesso ragazzo rivolgendo uno sguardo nella direzione degli avversari:
    “Ci battono sempre e dato che scommettiamo sempre qualcosa, finiamo per rimetterci” disse assorto.
    “Comunque piacere Nicolò” e mi tese la mano.
    “Non è possibile…” commentò Lorenzo.
    Nicolò ci guardò senza capire. Gli strinsi la mano.
    “Dice così perché anch’io mi chiamo Nicolò. Non capisce che è un nome abbastanza comune”. Poi anche Lorenzo gli strinse la mano.
    Scrutai meglio Nicolò: era un ragazzo poco più alto del metro e settantacinque, curato, atletico e snello. I suoi lineamenti erano duri ma delicati, gli occhi dolci e da cucciolo. Tutto ciò era tradito da una voce piuttosto sicura di sé e dal suono un po’ aspro. Sembrava in ogni modo nascondere i suoi tratti fanciulleschi con dei modi da ragazzaccio, con esito incerto.
    Guardai anche i ragazzini silenti dietro di lui. Ora che mi ero avvicinato, mi preoccupai, perché mi sembravano davvero troppo piccoli, anche paragonati a Lorenzo. Era anche vero che era lo stesso Lorenzo a sembrare un po’ più grande ed esperto per la sua età. Anche Daniel, ad esempio, sembrava più piccolo di Lorenzo, ma non era così… Lorenzo riusciva a sembrare fresco e pronto allo stesso tempo, cosa rara per qualsiasi ragazzo della sua età.
    Si avvicinarono e si presentarono: Leonardo e Gavin.
    Leonardo era un ragazzo un po’ più alto del metro e settanta e dal fisico leggero e ben delineato. Assomigliava vagamente a Lorenzo, ma il suo viso mi dava la sensazione di un ragazzo già più mite e riservato e lo ritenni anche più carino dello stesso Lorenzo, cosa non per nulla facile. Aveva dei tratti che mi piacquero molto, anzi mi lasciarono estasiato: capelli corti biondo scuro con la frangia tirata con il gel, occhi marroni e labbra color pesca. Sembrava un ragazzino molto comune, ma troppo bello.
    Il viso di Gavin era però ancora più spettacolare: occhioni celesti, dei capelli castani di lunghezza media e folti che gli arrivavano fino alle sopracciglia, bocca leggermente pronunciata e viso estremamente dolce e sereno. Quando si presenta, mi sorride e mostra due denti incisivi un po’ più grandi e simpatici. Era più basso di Leonardo e un po’ più mingherlino. Mi ricordava tanto quei bambini felici che fanno colazione nelle pubblicità di biscotti.
    Non potevo credere che avessi in un colpo solo avessi trovato l’Eldorado. O ero troppo fortunato, o ero troppo avvezzo ad apprezzare i ragazzi di quell’età? Com’era possibile dare una spiegazione diversa?
    “Non sei di qui Gavin?” gli domandai, visto il nome particolare.
    “Non è di qui” confermò Nicolò visto che Gavin non mi rispondeva.
    “Non capisce quello che dico?” gli chiesi curioso.
    “Lo capisce, ma parla poco ancora la nostra lingua”.
    “Anche se in realtà vive in Italia già da qualche mese” aggiunse Leonardo.
    “Di dove sei Gavin?” gli domando con le mani sulle ginocchia e con lo stesso di tono di quando si parla a un bambino di quattro anni o al proprio gatto.
    “Grecia” fa lui.
    “Non è un nome greco Gavin…” commento io, ma lui non dice nulla. Dopodiché, cominciammo a parlare delle disposizioni in campo.
    “Voi giocate così?” domandò stupito Nicolò. Aveva ragione a essere sorpreso: non eravamo preparati per un evenienza simile visto che eravamo partiti direttamente dal bar verso il campo. Quindi, non avevamo nulla dietro.
    “Eh si…” risposi.
    “Ah… come volete…” disse Nicolò perplesso. Probabilmente cominciava a pentirsi di averci chiamati.
    “Tranquillo, li batteremmo anche se fossimo in ciabatte e costume da bagno” disse con arroganza Lorenzo che aveva capito la preoccupazione di Nicolò.
    “Non dovreste sottovalutarli. Sono molto bravi, giocano nel Favaro”. Ovviamente, nelle giovani della suddetta squadra locale.
    “Oh…” esclamò Lorenzo facendo finta di essere sorpreso e spaventato.
    “Voi giocate da qualche parte”.
    “No. Giocavo, tempo fa…” dissi senza aggiungere altro. La verità era che mi consideravo un giocatore abbastanza mediocre e non praticavo veramente da anni. Me la cavavo sì, ma per i nostri livelli. Pensai che sarebbe stato meglio fosse andato Nicolò a giocare al posto mio; lui si era veramente bravo. Aveva anche qualche presenza nella prima squadra della città, che al tempo giocava in Promozione, ma non aveva mai preso sul serio la professione di calciatore e aveva deciso di smettere di giocare. Per fortuna, sapevo, per sentito dire, che Lorenzo era particolarmente capace.
    “Sì, gioco gioco…” disse Lorenzo tenendoli un po’ nel dubbio e senza dire dove.
    “Bene…” commentò speranzoso Nicolò. Quindi, poco dopo, la partita iniziò.
    Avrebbe vinto chi, dopo venti minuti, avrebbe chiuso in vantaggio.
    Avevano ragione a dire che i nostri avversari erano molto bravi: sicuramente erano affiatati e si passavano la palla con molta naturalezza, come se giocassero insieme da anni. Cosa che probabilmente era vera. Ma anche atleticamente erano rapidi e scattanti. Io mi sistemai inizialmente in porta; visto che la nostra squadra non era dotata di un portiere, avremmo un po’ girato ogni due gol fatti o subiti.
    E passammo subito sotto uno a zero. Poi arrivò il due a zero senza che avessimo quasi toccato palla ed era già il turno di uscire. Leonardo mi diede il cambio in porta. Ci saremmo affranti, ma quando Lorenzo toccò il primo pallone, dovemmo ricrederci; prima eluse uno dei loro con un tunnel, poi con una finta servì con eleganza, come fosse la cosa più facile al mondo, Gavin davanti alla porta che, sorpreso da tanta bontà, sparò il pallone alle stelle.
    Subito capimmo che, se lo avessimo assistito, avremmo potuto rimontare: e fu così. Senza aver mai giocato insieme, bastò dare la palla a Lorenzo e stare ben marcati agli avversari per renderci imbattibili. Senza Lorenzo eravamo nulla, ma con lui eravamo competitivi. Lorenzo, che di ruolo era centrocampista, segnò appena un paio di gol, ma ci mandò a rete tutti e alla fine vincemmo nove a quattro.
    Era stata una fortuna che fosse venuto con me proprio lui; anche Vincenzo e Nawfal se la cavavano, ma non erano paragonabili a Lorenzo, un autentico fuoriclasse rispetto a tutti noi altri. Con gli altri, non ce l’avremmo mai fatta.
    Sudati e contenti dell’impresa, presi il mio pile dalla panchina, dove avevo lasciato telefono, chiavi e portafoglio e mi offrì di pagare da bere a tutti per festeggiare. Tutti accettarono, Leonardo e gli altri si coprirono con giacconi e pantaloni della tuta e partimmo.
    Quindi, uscimmo dal campo e ci fermammo a un bar poco distante da lì.
    “Cosa prendete?” chiesi quando fui davanti al bancone.
    “Una birra per tutti” suggerì Lorenzo.
    “No” feci io: “Non vi prenderò una birra…” aggiunsi davanti all’espressione perplessa del barista.
    “Coca cola o thè, decidete”. Gli altri ragazzi, che ormai avevano preso confidenza con noi, mi presero in giro.
    “Una Fanta” chiede Leonardo;
    “Una Sprite” dice Nicolò;
    “Una Red Bull per me e una Scivolizia per Gavin” fa Lorenzo, tra lo stupore di Gavin che chiede a Leonardo cosa sia.
    “Dai… Non sfotterlo!” commenta divertito Leonardo: “Prendili un succo al pompelmo” gli fa, immaginando che non gli sarebbe piaciuto.
    “Una birra e quattro coca cola” ordino senza far perdere altro tempo al barista.
    Prendiamo tutto e ci sediamo sulle sedie interne all’angolo dell’edificio.

    “Comunque… Quanti anni è che hai?” esordisce Nicolò rivolto a Lorenzo.
    “Quattordici” risponde lui.
    “Ah… Ma dov’è che giochi? Sei davvero troppo bravo”;
    “Negli allievi del Cittadella. Capitano della squadra” fece con nonchalance, sorseggiando la coca cola dalla lattina.
    “Sei illegale… Così è stato troppo facile” commenta divertito Nicolò.
    “Ve l’avevo detto…” se la tira Lorenzo.
    “Comunque ho già avuto offerte da altre squadre, ma con il mio agente abbiamo deciso di rimanere al Citta. Dopotutto, è una delle migliori società che valorizza i giovani di talento” raccontò alla platea. Nicolò, Leonardo e Gavin lo guardavano con ammirazione. Mentre io, che non mettevo in discussione né il suo talento, né le sue parole, non apprezzavo quel tono con cui faceva vanto di se stesso.
    “Voi invece?” chiede Lorenzo;
    “Io punta nel Treporti”.
    “Quarto d’Altino” risponde Leonardo, mentre Gavin temporeggia.
    “Che sei timido?” domandò al ragazzino greco.
    “No, non è timido… Semplicemente non riesce a parlare” commenta Leonardo sorridendo.
    “Si che so…” interviene Gavin con un moto d’orgoglio: “Io giocavo in Grecia” disse pensando attentamente alle parole.
    “Quindi non giochi più?”;
    “No”.
    “Beh non perdiamo di certo un fenomeno…” commentò spavaldo Nicolò.
    Gavin, che capì benissimo, l’adocchia molto male.
    “Che c’è? Mi sbaglio?” insiste Nicolò.
    “Quanti anni avete?” irruppi io.
    “E’ una domanda o una provocazione?” chiede Nicolò.
    “No no, una domanda” feci io.
    “Io sedici” risponde lui, esattamente come avevo immaginato.
    “Io tredici e anche Gavin” disse Leonardo. E lì, mi mancò l’aria; stavamo approcciando ragazzini ancora più piccoli di Lorenzo e questo mi turbava molto. Però, non avevo voglia di perdere tempo a cercare ancora. Credevo, no anzi sapevo, che Alfredo gli avrebbe bramati ed io ormai gli puntavo senza se e senza ma.
    Nicolò, Leonardo, Gavin e Daniel. Erano le quattro chiavi da aggiungere a Francesco per raggiungere la mia salvezza. Di questo mi convinsi e cominciai a battere il terreno.
    “Posso chiedervi una cosa?” feci io. Mi ero assentato per qualche momento dalla conversazione, mentre gli altri continuavano a chiacchierare su temi calcistici.
    “Ho sentito che da queste parti, molti ragazzi accettano, in cambio di soldi di… Farsi fare qualcosa…”. Dopo la mia convinzione iniziale, a metà frase cominciai a intimidirmi per la troppa schiettezza.
    E allora fu Lorenzo, per mia grande sorpresa, a venire in mio soccorso.
    “Sì, insomma. Volevamo sapere se conoscete qualcuno di questi tipi”.
    I tre rimasero in silenzio per un po’, poi Nicolò prese la parola:
    “E perché v’interessa?”
    Bella domanda.
    “Intanto ho fatto la domanda per primo” rispose Lorenzo alberandosi: “Vedi di rispondere”.
    Nicolò sorpreso di aver fatto arrabbiare il nuovo amico risponde: “No, non conosco nessuno, ma…” e si fermò prima di finire la frase.
    “Ma cosa?” domando io curioso.
    “A me è stato chiesto… Una volta…”.
    Leonardo e Gavin alzarono le sopracciglia sorpresi.
    “Quando?!” esclamò Leonardo: “Non ci hai mai raccontato nulla”.
    Nicolò, sicuramente in imbarazzo e guardando in basso, risponde così: “Perché è successo quasi un anno fa e non ci frequentavamo ancora…”
    “E tu… Hai accettato?” domanda Lorenzo per arrivare al sodo.
    “Un anziano una volta mi ha visto al campetto e si è avvicinato con la scusa di chiedermi un’indicazione. Poi mi ha preso da parte e mi ha chiesto se… Si insomma, se in cambio di un telefono nuovo gli avrei lasciato farmi toccare in macchina…” e indicò i suoi genitali.
    “E?” chiese Leonardo sempre più sbalordito.
    Nicolò tirò fuori il suo telefono, come se esso rappresentasse una risposta chiara per Leonardo.
    “Non ci credo!” esclama Leonardo, mentre Gavin fa una smorfia di stupore. Nicolò diventa tutto rosso.
    “E… Tutto?” domanda Gavin coinvolto. Parafrasando, voleva sapere se Nicolò se lo fosse fatto prendere in bocca. Quest’ultimo confermò con una smorfia per poi giustificarsi:
    “Mi offriva di comprarmi un telefono nuovo di zecca, capite? Lo avete visto? Ultimo modello. Per una volta, mi sono sacrificato”.
    Stavo cercando di capire come sfruttare tutto ciò a mio vantaggio, quando la mossa partì dalla mia spalla.
    “E se ti dicessi che c’è un posto dove, se accetti di farlo ancora, ti danno un mucchio di soldi. Tu cosa diresti?” domandò a brucia pelo Lorenzo.
    “Dipende quando mi danno” rise Nicolò, che evidentemente non aveva capito quanto fossimo seri.
    “Duecento euro tutte le volte” disse Lorenzo. E allora i tre ragazzi finalmente capirono.
    “Che posto è?” domandò Nicolò stupidamente.
    “Un posto bellissimo dove lavoro io e anche Nicolò, insieme ad altri ragazzi. E in questo modo ci copriamo d’oro”.
    “Davvero?” domandò Leonardo stupefatto a me.
    “Si…” confermai timidamente.
    “E… Perché lo fate?” chiese Nicolò altrettanto stupefatto.
    “Te l’ho detto. Perché è un posto cool e ci danno un sacco di soldi” ripete Lorenzo.
    “Ma che ti servono? Sei anche un calciatore… Insomma come fai?” continuò Nicolo interdetto.
    “Mi servono come servono a te. Ti sei comprato il telefono? E anch’io lo voglio. Ma soprattutto voglio fare tanti soldi subito, così posso comprarmi tutto ciò che desidero. Telefono, Ipod, tablet, moto e, quando sarà, una collezione di auto nuove di zecca, una casa bellissima e tanto altro ancora… E poi cosa centra che gioco a calcio? Non è un problema. Posso saltare qualche volta, non è mica tutti i giorni che devo lavorare in questo posto. Si parla di tre sere a settimana e ogni tanto salto il sabato se proprio non posso. E comunque non mi pagano ancora per giocare!”.
    Nicolò, Leonardo e Gavin pendevano dalle sue labbra, assorti in quello che diceva.
    Portare Lorenzo con me, fu la cosa migliore che potessi fare. Dopo aver fatto ammattire i tre giocando a calcio, ora si presentava loro come un modello di vita da seguire, anche per Nicolò, che non era altro che un ragazzino leggermente più grande, con il forte desiderio di una vita coatta, tra lusso e successo facile.
    “Quello che vogliamo fare è proporvi questo business” intervenni io, cercando di dare qualcosa alla conversazione. I tre mi guardarono per un attimo perplessi.
    “Io guadagno mediamente quattrocento euro a volta, per tre sono milleduecento euro a settimana. Uno stipendio normale… Non dico altro” continuò Lorenzo e i tre erano di nuovo assorti e interessati.
    MI accorsi più che mai che senza Lorenzo non avrei ottenuto nulla. Avrei dovuto confidare totalmente in lui perché solo lui avrebbero ascoltato. Io, secondo loro, ero troppo grande per capirli.
    “Perché… Perché ci dici tutto questo?” domandò Nicolò combattuto tra la brama di tutti quei soldi e l’avversione di farsi coinvolgere in qualcosa di quel genere.
    “Perché siamo qui a dirvi che c’è posto anche per voi, se volete… E sappiate che comincerete a guadagnare subito quanto me”.
    “Milleduecento euro a settimana?” domandò Leonardo. Voleva sentirselo dire un’altra volta; non credeva potesse essere vero.
    “Duecento euro a prestazione, per mediamente due prestazioni a sera per tre sere… Io è già da cinque mesi che vado… Fai i conti” confermò Lorenzo.
    Ciò che mi diede sempre più speranza, fu che i tre non parevano escludere l’idea, ma si concentravano su tutti i possibili vantaggi.
    “E… E come funzionerebbe?” chiese Leonardo timidamente.
    “Mercoledì, sabato e domenica sera dovete tenervi liberi. Ai vostri genitori dovete dire che siete da amici, in discoteca, dalla ragazza, fate voi… Ma dovete essere liberi. Se proprio non potete, qualche sera vi è concessa. Se non sapete come tornare a casa, potete dormire lì, oppure farvi accompagnare da qualcuno di noi che guida”.
    Che guida, non con l’auto, ma che guida… Capite la differenza?
    “E cosa dobbiamo fare?” domanda Gavin. Il ragazzino greco, che all’apparenza appariva il più timido e mite, era in realtà coinvolto quanto gli amici.
    “Quello che ha fatto Nicolò con quel vecchio. Nulla di tanto diverso” risponde Lorenzo.
    “Solo questo?” fa Leonardo, sempre più possibilista.
    “No ovviamente… Ma nulla di eclatante… Considerate che è un posto alla luce del sole, con tanto di camere, tv, vestiti eleganti, riscaldamento eccetera eccetera… Chi viene non è un povero, è gente che conta” raccontò Lorenzo.
    “Vi chiederanno di farvi toccare, magari vorranno baciarvi, quelle robe lì insomma… Tutti chiedono più o meno le stesse cose” concluse lui.
    “Non ti chiedono mai di farti fare qualcosa di strano?” chiede Nicolò.
    Lorenzo lo guarda perplesso: “Ti ho detto che è un posto in, non so cosa pensi tu… Qualcuno può avere delle voglie particolari, ma la quasi totalità no… Molti di loro non hanno mai visto o toccato un ragazzo al di fuori di lì”.
    “Non lo so Lollo…” fa Nicolò titubante;
    “Devo mostrarti il Rolex che ho a casa? Vuoi vedere la foto?” insiste Lorenzo.
    “No no ti credo Lollo… Solo che… E penso di parlare per tutti…” fece guardando i due amici: “Mi piacerebbe tanto avere quei soldi, ma non so se vogliamo fare quel tipo di cose per tanto tempo…” continua imbarazzato, più perché è dispiaciuto di deludere Lorenzo che di rifiutare.
    “Non dovete venire per sempre. Quando avete fatto i soldi che volete, siete liberi di non andare in più. Nessun impegno…” fece Lorenzo guardandoli perplesso, come se fosse esterrefatto dai dubbi della compagnia.
    “Ascoltatemi: è un bellissimo posto, davvero figo. E ci sono tanti ragazzi come me e Nicolò”. Poi si piega avanti sulla sedia, come per dire un segreto: “Ragazzi, vuoi tre siete davvero fighi… Farete soldi a palate” disse guardandoli negli occhi. I tre apprezzarono con malcelato contenimento il complimento.
    “Sì, ma fare quelle cose…” insistette Nicolò.
    “Ma cosa pretendete?!” esclamò con uno sguardo stupefatto Lorenzo: “Cosa pretendete?” ripete’.
    “Voi non volete fare un cazzo e avere soldi? I soldi ve li dovete guadagnare nella vita. Sempre. Quello che vi offro è una scappatoia”.
    Il discorso colpì molto la platea, stupita del cambio di taglio del discorso. Ora metteva in gioco i valori, in un incredibile paradosso che però non si percepì. Inoltre, si poneva come chi offrisse quella possibilità. Da non farsi sfuggire.
    E ciò bastò.
    “Ok… Provo” disse Nicolò prendendo convinzione.
    “Proverai e riuscirai” commentò Leonardo che poi si rivolse agli altri.
    “E voi?”.
    Leonardo e Gavin si guardarono negli occhi, poi scossero il capo dando segno di assenso. Leonardo sorrise compiaciuto.
    Era fatta. Anch’io potevo esultare per il risultato ottenuto. Lorenzo sei grande, pensai. Mi hai salvato la vita e neppure lo sai.
    “Non ve ne pentirete” commentai.
    “Bene… Però adesso dobbiamo mostrarvi alcune cose…” aggiunse Lorenzo.
    Lo guardai. Di che parlava?
    “Che cosa devi mostrarci?” chiese Nicolò.
    Lorenzo si alzò in piedi: “In realtà siete voi che me le mostrerete. Se dovete venire in questo posto… Senza altri giri di parole, il bordello, non posso rischiare che non sappiate le basi…”.
    “Secondo te non sappiamo le basi?” commenta risentito Nicolò.
    “Penso che le sappiate, ma devo esserne certo… Cerchiamo un luogo appartato” disse Lorenzo senza mezzi termini.
    “Dove?” domandò Leonardo.
    “Torniamo al campo” concluse Lorenzo.

    -

    Percorremmo la strada dal bar al campo in silenzio; una tensione febbricitante si era frapposta tra noi.
    I tre ragazzi sapevano pressappoco cosa intendesse Lorenzo, ormai leader della compagnia, ma non i dettagli che non osavano chiedere. Solo io tentai di scogliere l’atmosfera, intimandoli alla tranquillità, ma non credo mi dessero troppo retta.
    Erano ormai le cinque e mezza del pomeriggio e di luce ne era rimasta davvero poca. Al campo, bambini e ragazzi erano ormai tornati a casa. Ora tutto era calmo e silente.
    Ci accampammo in quella rientranza che faceva da ripostiglio delle panche. Ne mettemmo tre una sopra l’altra, appoggiando gli zaini di Nicolò, Leonardo e Gavin. In questo modo ci trinceravamo dentro, per avere un separé da eventuali occhi indiscreti.
    Il clima non era così freddo, anche grazie allo scirocco di quei giorni.
    Ora tutti erano seduti sull’asfalto e aspettano delle spiegazioni da Lorenzo.
    “Allora…” esordì dopo un lungo silenzio, anche lui preso dalla situazione: “La cosa che sicuramente vi verrà più richiesta è il pompino” disse senza giri di parole.
    “Nicolò” chiamò.
    “Quale?” chiesi.
    “Entrambi. Alzatevi in piedi”. E cosi facemmo. Lorenzo mi spostò, mettendomi davanti agli altri.
    “Nicolò” disse ora rivolto all’altro: “Tu hai detto che l’hai già fatto… Fammi vedere”.
    “Cosa?!” rispose scosso Nicolò. Anch’io rimasi balbo della cosa.
    “Qual è il problema?” fece Lorenzo: “Ti ho detto che devo vedere, cosa ti aspettavi?”.
    Nicolò non disse nulla e abbassò gli occhi.
    “E’ proprio questo che dovete imparare a evitare. Non potete intimidirvi perché ci sono gli altri. D’ora in avanti siamo come colleghi, dovete abituarvi a farlo anche alla presenza di altri. Guardate…” e cominciò a palparmi il cazzo da sopra i jeans.
    Sobbalzai per la sorpresa. I tre guardarono stupiti senza aprir bocca.
    In realtà, mostrarmi così m’imbarazzò, ma so che Lorenzo sta facendo la cosa giusta. Quindi lascio che insegni loro il mestiere.
    Lorenzo continua ad accarezzarmi il pacco che si desta velocemente dal suo torpore. Il silenzio ci circonda e i ragazzi ci fissano interessati. Tira giù la lampo e tira fuori il mio membro in tiro davanti agli altri. Lo sento infreddolito, al contatto con l’aria pungente. Lorenzo si disimpegna in una sega; sono eccitato e imbarazzato allo stesso tempo.
    Il suono del movimento, echeggia leggermente nello spazio vuoto e silente. Guardo i tre ragazzi dietro di noi, che però non corrispondo lo sguardo perché intenti a fissarmi le parti intime. Lorenzo prima lecca la mia asta orizzontalmente, poi comincia a ingoiare.
    Quanto mi erano mancate le sue labbra sul mio membro! Avrei voluto spingerlo con la mano sulla testa, ma non volevo apparire troppo esagerato e resistetti alla tentazione. La mia eccitazione ora superava l’imbarazzo e gli sarei volentieri venuto in bocca.
    Ecco che Lorenzo si stacca e, senza riserve, invita nuovamente Nicolò a provare. Questa volta Nicolò si avvicina e s’inginocchia davanti al mio pene e vedo che lo fissa dubbioso.
    “Dai… Cosa aspetti?” lo incita Lorenzo, che era riuscito a dar forza agli altri. Ormai, era padrone indiscusso della situazione e giostrava tempi e modi. Era un ragazzino dalle incredibili risorse; capacità che non credevo potesse avere.
    Nicolò lo prende nella sua calda mano. Sono emozionato; non tanto, e non solo, per l’eccitazione o l’imbarazzo, ma perché consapevole dell’importanza di tutto ciò. Se l’avesse fatto, se non si sarebbe tirato indietro all’ultimo momento, allora avrebbe dato inizio all’ultima parte del processo psicologico in atto: l’accettazione. E come leader del suo gruppo di amici, era un monito a essere seguito. Ecco perché, Leonardo e Gavin lo guardavano intensamente con le labbra semi aperte e con un espressione inebetita.
    E arrivò, la prima leccata all’asta arrivò. Subito dopo, cominciò a succhiare con foga tra lo sbalordimento degli amici.
    “No no no… Non così” fece Lorenzo che gli prese la testa e lo fermò. Nicolò non fece uscire il mio cazzo dalla bocca e aspettò altre istruzioni.
    “Non così veloce, più adagio… Vai, vedi? Così” Lorenzo accompagnò il gesto tenendo la mano sopra la testa.
    Ed effettivamente era vero; prima Nicolò era troppo frenetico, ora invece mi gustavo assolutamente il bocchino di Nicolò che piano piano imparava.
    “Preparatevi voi due. Venite ai suoi lati e mettetevi in ginocchio” disse Lorenzo rivolto agli altri, che timidamente presero posto. Gavin a sinistra e Leonardo a destra di Nicolò.
    “Ok… Bene Nicolò, bravo basta così. Ora Gavin”. Nicolò lasciò il mio membro e rimase in ginocchio. Gavin, lentamente lo afferrò, e avvicinò la bocca, cominciando subito a ingoiare.
    Mi gustai quei secondi prima del suo primo bocchino, quando chiuse gli occhi e aprì la bocca, mostrando i due teneri dentini da scoiattolo. In quella frazione, pensai che sarei stato la prima volta per lui e Leonardo e la cosa mi eccitò alla massima potenza. Non vedevo l’ora che quei secondi terminassero e fossi dentro Gavin, pur consapevole di aver battuto ancora una volta la soglia della decenza. Un ragazzo più piccolo di Lorenzo. E finalmente sentì la sua lingua sotto il mio membro, chiuso nella calda e piccola bocca.
    “Aah! No attento Gavin” gli sussurrai con più dolcezza possibile. Lui tolse la bocca e mi guardò con i suoi enormi e dolcissimi occhi celeste.
    Gli sorrisi e dissi: “Maledetti i tuoi denti da castoro! Stai attento che così mi graffi la pelle”.
    Gavin arrossì, mentre Nicolò rise e disse: “Il solito imbranato”.
    L’atmosfera stava cambiando.
    “Vai riprendi” dissi io. E Gavin riprovò. Non mi sfiorò con i denti più neanche una volta.
    Procedeva lentamente e facendo attenzione a quello che faceva, tenendo gli occhi chiusi.
    Presi le redini della situazione; soddisfatto, chiamai Leonardo al suo posto.
    Questi non si fece attendere e, così come Gavin, cominciò subito a succhiare. Anche la sua bocca era stata finalmente violata. Vedevo le sue labbra perfette scorrere sulla mia pelle, facendomi venire la pelle d’oca.
    “Bravo Gavin” gli sussurrai e lui non nascose il suo splendido sorriso, mostrandomi ancora una volta i simpatici incisivi.
    Mentre Lorenzo chiamava Nicolò a sé, sempre più preso dalla situazione, cominciai ad accarezzare le punte dei capelli di Leonardo, che non si tirò indietro. Lo guardavo concentrato sul mio membro, mentre scendeva e saliva su di esso. Rispetto a Nicolò e Gavin, il suo bocchino era perfetto; aveva fatto tesoro degli errori degli amici.
    Lorenzo intanto parlava con Nicolò, ma a voce abbastanza alta da essere sentito appositamente da tutti.
    “Il secondo step è il bacio” disse Lorenzo.
    “Come fa a essere il bacio il secondo step? Cioè… Dopo il bocchino?” domandò Nicolò. Anch’io la pensai come lui.
    Lo ascoltavo, mentre Leonardo in ginocchio continuava ad ingoiare. A un certo punto mi chiese se bastava, ma io, ormai godurioso, dissi di andare avanti e lui riprese come prima senza fare storie, con me che gli tenevo ora la testa come nulla fosse. Ma intanto guardavo Lorenzo.
    “Il fatto è che, quando vi troverete uno sconosciuto che non vi piace molto, fidatevi sarà più facile fargli un bocchino che baciarlo. Perché con il bocchino, voi non lo vedete in faccia, e potete pensare… Chessò a fare una sega a Marchisio. Ma quanto lo avrete davanti al viso, sarà dura pensare ad altri”.
    Aveva assolutamente un senso.
    “Quindi” continuò: “Vieni…” fece rivolto a Nicolò che sgranò gli occhi. Poi fece un paio di passetti avanti. Lorenzo, visto che Nicolò titubava, fece la prima mossa e gli si pose davanti. Quindi cominciò a baciarlo.
    Non si toccarono con il resto del corpo; dopo qualche bacio di Lorenzo, Nicolò si sciolse un po’ e cominciò a rispondere ai baci.
    “Ancora qualcuno” sibilò Lorenzo, ora più coinvolto.
    Decisi di non essere da meno, quindi fermai Leonardo e feci alzare i due ai miei fianchi.
    “Come loro adesso” gli dissi. I due erano sull’attenti.
    Essendo abbastanza più bassi, fui io a piegarmi verso di loro: prima andai verso Gavin, che mi raggiunse sollevandosi sulle punte. Ci schioccammo un bacio a stampo a metà strada. Poi, mi voltai su Leonardo, che non ebbe bisogno di alzarsi sui piedi, e mi diede un bacio sulla bocca.
    E continuai così; prima uno e poi l’altro.
    Nel frattempo, i baci tra Lorenzo e Nicolò si fecero più convinti e prolungati e sentivo un certo ardore tra di loro.
    Visto che era un po’ faticoso stare piegato verso Gavin e Leonardo, decisi di sedermi sulla panca e così anche loro.
    Quindi, sempre alternando prima l’uno e poi l’altro, riprendemmo da lì. Anche per noi, questa volta, i baci si fecero più intensi e lunghi e percepivo un piacere sempre più cristallino in loro.
    “Ok…” fece Lorenzo che ormai ansimava perché si era fatto trasportare dal bacio.
    “Ora… Si… Venite tutti vicino qui! Gavin e Leonardo” ordinò.
    “Ok… Ora mettetevi uno davanti all’altro. Anche te Nicolò, i tre amici a un palmo di naso”.
    Ora i tre si guardavano sorridendo imbarazzati e formando un triangolo.
    “Ok… Chiamiamolo step 2B. Fate la stessa cosa che abbiamo fatto ora, tra di voi”.
    I tre borbottarono.
    “Perché?” chiese Gavin imbarazzato.
    “Perché sì. Dovete imparare a collaborare tra di voi. Accadrà che verrete presi insieme a vostri compagni, che potreste anche essere voi tre. Quindi dovete essere pronti a toccarvi anche tra di voi”.
    Ancora una volta, tutto aveva molto senso. A prima vista, doveva essere più semplice toccare una persona con cui si prova un certo legame. Falso: se si è abituati a un certo tipo di rapporto, è difficile cambiarlo in un altro. In questo caso, Nicolò, Leonardo e Gavin erano sempre stati amici dello stesso gruppo, ma vedersi e usarsi in quell’altra luce era davvero una cosa difficilissima. Eppure, Lorenzo non ebbe pazienza di aspettare.
    “Forza avanti! Se non cominciate a scambiarvi qualche bacio, vi dirò io chi baciare chi”.
    Ormai non prendeva neanche in considerazione che si sarebbero potuti rifiutare.
    Io invece sì e infatti continuarono a guardarsi ritirando la testa all’indietro, estremamente imbarazzati. Ma fu Nicolò il primo a buttarsi, scegliendo le soffici labbra di Leonardo. Questi chiuse gli occhi e non fece altro, mentre Gavin lo guardava con un espressione ad “O” sulla bocca. Quando Nicolò si staccò, Leonardo diede un bacio a Gavin, che rimase paralizzato dallo stupore ad occhi aperti. Poi, lasciate le sue labbra, è Nicolò a fiondarsi sopra, stampando le sue sul ragazzino greco.
    “Avanti così” fece Lorenzo. Da quel momento, i tre presero a stamparsi baci con meno remore e rigorosamente in silenzio, magari ridacchiando a volte ancor un po’.
    “Tenetele qualche secondo in più adesso. Dai che andiamo bene”. Lorenzo scandiva il ritmo.
    E le effusioni si fecero davvero più intense e prolungate. I tre non si toccavano, ma erano presi. Anche Gavin ormai si concedeva senza problemi, chiudendo gli occhi e gustando le labbra dei due amici.
    Miglioravano a vista d’occhio. E l’erezione del mio pene ne era la prova.
    “Bene… Ora aumentiamo la difficoltà” intervenne Lorenzo.
    “Non ho detto di fermarvi!” sbraitò perché i tre lo guardavano in attesa. Allora ripreso ubbidienti senza fiatare. Forse non l’avrebbero ammesso, ma erano sempre più eccitati.
    Ecco perché, quando Lorenzo disse di cominciare a toccarsi i pacchi, lo fecero senza tanto farsi pregare. Molto diversamente da prima.
    “Nicolò a Leonardo, Leonardo a Nicolò, Gavin a Leonardo, ora Leonardo a Gavin e Gavin a Nicolò”. Lorenzo diceva chi doveva toccare chi. E le mani frugavano e massaggiavano prima un pacco e poi l’altro, mentre i baci continuavano sempre più accesi e frenetici. A un certo punto, i pantaloni dei tre cominciarono a salire.
    “Stop!” ordinò Lorenzo. E i tre lentamente mollarono le labbra dell’altro. Respiravano profondamente, riprendendo fiato dopo quell’esperienza emozionante.
    “Nicolò!” mi chiamò dopo tanto tempo: “Con me”. E s’incamminò verso i tre, quindi feci lo stesso.
    Poi s’inginocchiò e si mise dentro al cerchio tra di loro.
    “Dai… Vieni” mi disse come fosse la cosa più naturale al mondo. Comunque, non lo feci aspettare.
    Questa volta non dissero niente. Guardarono soltanto.
    Lorenzo tirò giù i pantaloni e le mutande di Nicolò e Leonardo, prendendo le loro aste una per mano e cominciando a massaggiarle. Io feci lo stesso con Gavin. I tre membri erano in tiro, come il mio nascosto nelle mutande e, molto probabilmente, quello di Lorenzo. Questi, senza dare altre istruzioni, cominciò il terzo step. Cominciò a segarli più forte, fece una finta con la bocca davanti al pene di Leonardo e si fiondò invece su quello di Nicolò. Questi, sobbalzò per la sorpresa e pose istintivamente entrambe le mani sulla testa di Lorenzo, senza però spingere. Cosa che fece Lorenzo autonomamente. Quando sentì i primi suoni acquosi, anch’io mi accinsi a prendere quello di Gavin. Quando lo feci, esso ebbe un tremito, che proseguì anche oltre. Il suo membro era piccolo e stretto, completamente dritto ed eretto, delicato al tatto. Gavin tremava come una foglia, ma io, eccitatissimo, lo presi in bocca. Altro tremito, ancora più evidente. Gavin non gemeva, probabilmente molto in imbarazzo e spaventato, ma parlava con il corpo. Cominciai a muovermi su di lui. Gavin tremava ancora, ma il suo nervosismo era ulteriore fonte di eccitazione. Dal tipo di ragazzo che era, avrei creduto che non solo fosse la prima volta in assoluto con un uomo, ma proprio fosse la prima volta.
    Quanto fui goloso di quel momento; non feci altro che scoparmelo in bocca più velocemente come se sapesse di zucchero.
    Lorenzo, intanto, si scambiava in bocca il cazzo di Nicolò con quello di Leonardo e viceversa. Lo sentivo succhiare vorace, poi lasciare con un suono di tappo quello di uno per andare su quello dell’altro.
    “Cambio…” mi fece con una voce assuefatta e si spostò al mio posto e io al suo.
    Cominciai con Leonardo, che mi ricevette tranquillo, senza particolari sobbalzi. Il suo membro era più chiaro, più lungo e più grosso di quello di Gavin, ma nel complesso pur sempre di dimensioni medie e delicato, dal sapore salato. Vidi sul suo pube una leggera peluria. Mi staccai dal suo cazzo che già succhiavo godurioso e chiesi a Lorenzo:
    “Gli hai detto il discorso della depilazione?”
    Lorenzo, che stava succhiando voracemente il membro di Gavin, prese tutto il suo tempo e poi disse:
    “No, giusto… Non ci interessa se siete glabri o avete il pelo biondo. Per i nostri ospiti dovete essere completamente depilati dalla testa ai piedi, nessuna parte esclusa. Quindi, quando oggi tornate a casa, chiudetevi in bagno e date inizio alla guerra al pelo…” disse frettolosamente e, senza aspettare oltre, rimise in bocca il pene di Gavin.
    Decisi di passare a Nicolò, che aspettava impaziente. Il suo cazzo, più lungo di quello degli altri e con leggere venature alla base, era ancora completamente in tiro. Non lo presi subito in bocca, ma lo sfiorai per poi leccare i testicoli. Sentivo Nicolò vibrare per l’eccitazione, quindi lo presi tra le labbra e giù, cominciai a sbranare quel duro e saporito membro, dal forte odore di sudore e sesso. Sentivo Nicolò cercare la profondità della gola.
    D’improvviso, mi accorsi che Lorenzo aveva fatto inginocchiare Gavin e lo esponeva ai genitali di Leonardo. Gavin sgranò gli occhi e fece un po’ di resistenza, tenendosi con le mani sull’asfalto. Ma Lorenzo lo spingeva e accompagnava per farlo e Gavin cedette aprendo la bocca e appoggiando il membro sulle labbra. Lorenzo gli teneva il pene in mano a Leonardo e Gavin ingoiava ad occhi chiusi.
    Coerentemente a ciò che aveva detto e proposto ora, questo era un passaggio d’obbligo.
    Anche Leonardo, in genere piuttosto restio a manifestare emozioni, si lasciò andare in un espressione di stupore. Il suo dolce amico Gavin era sul suo membro e lo lavorava bene. Lorenzo lascia la base del cazzo di Leonardo e prende con le mani la testa e il mento di Gavin, accompagnandolo nell’atto.
    “Va su, giù, su… Non ti vergognare”. Gavin lo seguiva arrossato ed occhi chiusi. Poi lo portò via, sempre tenendoli la testa, e la girò verso quello di Nicolò, che ormai avevo smesso di menare per vedere la scena.
    E stessa cosa con Gavin che affaticato e con la gola e i capelli tirati da Leonardo, ingloba e succhia l’uccello di Nicolò.
    “Bene… Cambio!” fa Lorenzo e Leonardo s’inginocchia, mentre Gavin torna in piedi. Senza aspettare le mani di Lorenzo, Leonardo, che ha capito cosa e come lo vuole, succhia con ritmo il membro di Gavin. Ancora stupito dell’amico avventato sui suoi genitali.
    “Ottimo bravo, passa all’altro” dice Lorenzo soddisfatto. Leonardo, quindi sgambetta su quello di Nicolò, succhiando con particolare vigore.
    “Come stanno andando?” mi domandò Lorenzo, consapevole del risultato.
    “Benissimo” affermai facendomi sentire da tutti e aumentando l’entusiasmo.
    Infine, fu il turno di Nicolò che, con grande intraprendenza, si mise tra Leonardo e Gavin, tenendo un pene per mano, ma senza muoverli. Prima succhiò in profondità quello di Leonardo e, al nostro via, passò a Gavin, leccando entrambi e producendo suoni esperti.

    Un paio di minuti dopo, demmo il via all’ultima prova.
    “Ultima cosa e poi vi lascio andare” disse il coach Lorenzo.
    “Giratevi di spalle!”.
    Intuì dove potesse arrivare.
    Eseguirono.
    “Giù le braghe!”.
    I tre risero, imbarazzati. Ma le braghe scesero mostrando tre così lindi, così belli e così provocanti sederi.
    Integrità, questo è quello che pensai.
    “Lingua, dito, uccello. Questo è il test finale. Volete scegliere?”.
    Non era abbastanza? Non per Lorenzo.
    I tre rimasero paralizzati dallo stupore. Evidentemente, anche loro pensavano potesse bastare.
    “Allora?” domandò impaziente Lorenzo: “Niente?”.
    Nessuno disse niente, ma ci guardarono esasperati.
    “Bisogna proprio?” domanda Nicolò speranzoso.
    “No guarda, non ti chiederanno mai il culo… Ovvio che si!” ironizzò Lorenzo.
    “Niente, allora?” richiese per l’ultima volta: “Ok… Nicolò scegli tu”.
    Ormai famelico e preso, non me lo feci ripetere. Avanzai, ancora ignaro sul da farsi.
    “Uhm…” feci mettendomi il dito sul mento e simulando una riflessione. Cercai di creare suspense; i tre mi guardavano in attesa, con i pantaloni fino alle scarpe e tenendosi su la maglietta.
    Così curiosi e quasi divertiti, mi ricordarono il vecchio me. Per loro, l’iniziazione era stata molto meno traumatica, ma anch’io avevo attraversato un fugace periodo dove provavo una strana eccitazione ad entrare a far parte di quel mondo. Ora, quel periodo, mi pareva si trovasse in un tempo remoto, lo stesso in cui però si trovavano Nicolò, Leonardo e Gavin. Io ero il collegamento tra i due tempi, o meglio: quello che stavo per fare ne era il collegamento. E mi accorsi che, per attrazione, per puro godimento o per interessi personali, volevo che quei tre entrassero a far parte del mio al più presto.
    Andai da Gavin. Lui mi fissò spaventato. M’inginocchiai e mi seguì con gli occhi. Infine cominciai a leccare il bordo della bocca dell’ano.
    Gavin ingrandì i suoi occhioni azzurri. Non mi fermai più; leccai ripetutamente quel buco immacolato e leccavo assaporando i bordi. Gavin non mi assecondava, allora aprì le natiche con le mani ed entrai con la lingua più in profondità che riuscì.
    “Ohh...” Gavin non poté nascondere la sorpresa per la mia insistenza e per l’ardore.
    Quando quindi mi sentì un po’ stufo, e ci volle un po’, passai a Nicolò.
    Vidi subito che il suo sedere era perfettamente curato e capì che non c’era bisogno di dire a Nicolò di depilarsi. E visto che prestava tutta quell’attenzione e cura del proprio corpo, decisi che sarebbe stato lui ad avere il premio più grosso. Quindi, gli battei l’asta del cazzo tra le natiche e mi leccai le dita con la saliva.
    “Cos…” commentò sorpreso, perché aveva compreso le mie intenzioni.
    Lasciai il mio membro e, dopo essermi lubrificato, gli afferro delicatamente i fianchi con le mani.
    “Tu avrai l’uccello” sentenziai.
    “Dobb…” stava per ripetere, ma io stavo già cominciando a entrare.
    “Oh” commentò, quando capì che non c’era scelta per lui. La tentazione era di sfondare il suo meraviglioso fondoschiena, ma, con un grande sforzo di volontà, decisi di procedere piano e adagio, senza esagerare.
    Entrai poco alla volta, centimetro per centimetro. Ogni passo in avanti era fonte di eccitazione ulteriore per me. I gemiti non più eludibili per Nicolò. Mi accorsi, che per me era la prima volta in cui violavo un sedere vergine di un uomo. E l’idea di piacque malignamente. Essere il primo per quel ragazzo dall’aspetto così bello e fiero mi destarono un piacere incommensurabile.
    Quando fui completamente dentro, cominciai a batterlo lentamente, senza affaticarlo troppo in quella sua prima volta. Se pur lentamente, i miei testicoli oscillavano sul suo coccige, rompendo il silenzio. Sentì una mano accarezzarmi fra le natiche sudate: era Lorenzo, che si era eccitato della vista di me su Nicolò.
    Si leccò le due dita con i miei sapori e disse: “Basta ti prego… Così mi uccidi. Vorrei essere al suo posto… Vai da Leonardo”.
    Nicolò era stato bravo e non aveva fatto troppi problemi, anche se parte del merito fu la mia gentilezza. Ascoltai Lorenzo, passando all’ultimo tester.
    Sempre più affamato, ma cosciente che la fine del gioco stesse giungendo al capolinea, mi succhiai l’indice e, con il mite Leonardo, non fui gentile. Conficcai a rimorchio il dito nel sedere, soprassedendo alla resistenza del suo ano. Quindi esco e lecco di nuovo, bagnando il dito più possibile. Poi rientro, questa volta completamente. Leonardo accompagnò tutto ciò saltellando sul posto, in preda a istinti nervosi. Non sazio, continuai a penetrarlo sempre più veloce, e anche Leonardo non nascose sommessi gemiti di fatica. Mi appoggiai con il petto sulla schiena e mi permisi di soffiarli e mordicchiarli l’orecchio sinistro. Lo vidi che stava ansimando e avrei voluto raggiungergli la bocca. Ma ebbi un risveglio razionale e lo liberai da me.
    Leonardo, Gavin e Nicolò erano ormai idonei.

    -

    “E’ così allora” fece Nicolò dall’altra parte del telefono. Ero tornato a Padova, la prima sera dopo il sequestro.
    “E’ stato un successo, un enorme successo. Ed è tutto merito di Lorenzo” dissi entusiasta.
    “Quando avremo tempo, gli dedicheremo un effige” commentò freddamente il mio ragazzo, con un velo di sarcasmo.
    “Ci siamo quasi Nico, ti rendi conto…” gli dissi;
    0“Non proprio” m’interruppe serio.
    “Che significa?” domandai preoccupato;
    “Francesco” e fece una pausa: “Non mi ha dato ancora una risposta certa”.
    “Te cosa gli hai detto?”;
    “L’ho pregato con le buone, ma non si è smosso. Quindi sono stato costretto a metterlo nella nostra stessa posizione… Gli ho detto che avrebbe fatto Alfredo se non fosse tornato”.
    “Che cosa avrebbe fatto?” chiesi sinceramente io a Nicolò.
    “Come cosa? Che anche i video di Francesco…”;
    “Ne siamo sicuri?”;
    “Non so se per lui funziona così… Ma non ha importanza… Comunque… Si è ovviamente spaventato”
    “Ma allora vedrai che tornerà” lo rassicurai io.
    “Anche secondo me”.
    “Vincenzo gli ha pregato di tornare. Si è dichiarato” continuò con tono più rilassato, ma non molto coinvolto.
    Non dissi nulla.
    “Domani devi darmi l’ok certo dell’ultimo ragazzo” concluse tornando improvvisamente serio.
     
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