Il bordello

12° episodio: Fratello e sorella

« Older   Newer »
 
  Share  
.
  1.     Like  
     
    .
    Avatar

    IMPORTANT GAY

    Group
    Member
    Posts
    581
    Reputation
    +13
    Location
    Ferrara

    Status
    Offline

    ATTENZIONE
    CONTENUTO EROTICO E SESSUALE
    QUESTO RACCONTO NON E' ADATTO AD UN PUBBLICO MINORE DI 18 ANNI
    SE SEI MINORENNE TI INVITIAMO A LASCIARE IMMEDIATAMENTE QUESTA PAGINA



    ========================================================

    Capitolo Dodici: Fratello e sorella

    Non riuscivo a dormire.
    Dopo quello che successe il giorno prima, Nicolò mi passò alcune delle sue gocce e finalmente riuscì a riposare qualche ora. Comunque, il mio corpo era ancora indolenzito per le violenze subite.
    In cucina lo trovai che stava scorrendo Facebook sul telefono.
    “Ciao…” feci io;
    “Ciao” rispose secco senza alzare lo sguardo: “C’è del thè se vuoi…” e m’indicò la teiera.
    “Grazie” e mi diressi a prendere una tazza: “Cosa fai?”;
    “Non si vede?” rispose irritato della domanda;
    “Dobbiamo trovare qualcuno al più presto. Quando hai finito chiama Francesco” proseguì;
    “Nicolò… Non c’è fretta”;
    Solo ora alzò lo sguardo per la prima volta. Era più che irritato:
    “Una settimana per convincere quattro ragazzi e dici che non c’è fretta? Riesci a dire qualcosa di intelligente qualche volta?”.
    Nervoso comprensibilmente per come si era evoluta la situazione, scagliava su di me la sua frustrazione. Di essere di nuovo dentro, ma in una condizione ben diversa.
    Io non me la presi. In realtà, sapevo che non ce l’aveva con me. Ero io piuttosto che mi sentivo responsabile per il fatto che fosse coinvolto. Ma non volli darglielo a vedere.
    “Perché invece scorrere la pagina di Facebook è un’idea geniale? E poi? Pensi che esca qualche ragazzo utile per noi?” chiesi irriverente.
    “Sei gay per caso? Ti va di venire a prostituirti per qualche soldo?” dissi gesticolando con la teiera.
    Nicolò infastidito si guarda in giro, come per cercare le parole, poi mi rivolge un occhiataccia e dice:
    “Hai qualche idea migliore, genio?”;
    “No Nicolò, non so come potremmo fare…” dissi pacatamente.
    “Non hai nessuna idea? Ma va? Strano…” fece lui.
    “Mi dispiace non essere intelligente come te… Che hai pensato di cercare così…” e indicai il cellulare e quello che stava facendo.
    “Non ti rispondo neanche…” ma il suo volto si stava arrossando di rabbia.
    Ci stavamo comportando come dei bambini. E non c’era per niente utile.
    Cercai di recuperare la calma tra di noi e dissi: “Io non credo dovremmo sottostare alle sue minacce. Potremmo sentire gli altri ragazzi del bordello e…”;
    “No” sussurra lui, che intanto si massaggiava la testa con la mano a occhi chiusi: “Non ti basta coinvolgere me? Adesso dobbiamo rovinare la vita anche agli altri?”.
    Questa frase mi ferì particolarmente. Ripeto, sapevo che lui non intendesse veramente questo, ma io non seppi dare una risposta che non peggiorasse ancor di più la situazione tra noi.
    Nicolò capì e si corresse: “Non intendo dire…”;
    “Lascia stare” feci io: “Ho capito… Comunque… Quello che penso è che… Non dovremmo sottostare ad Alfredo. Freghiamocene di tutto, andiamo alla polizia” proposi.
    Nicolò, che, mentre parlavo, si sfregava la testa tra le mani come se infastidito da quello che usciva dalla mia bocca, appena pronunciai la parola “polizia” intervenne con forza e si alzò in piedi di scatto.
    “No!” urlò.
    Lo guardai impietrito inveire.
    “Ma ti rendi conto di quello che dici? Lasciare perdere? Nicolò forse te nella vita non hai alcuna ambizione, ma io si! Sto studiando, mi sto facendo il culo per diventare un giorno qualcuno! E tu mi vieni a dire di fregarcene? Ti rendi veramente conto di quello che dici? Per me sarebbe finita! Nessuno mi assumerebbe, nessuno mi vorrebbe e finirò a fare l’inserviente per un ufficio di polizia!” concluse tutto d’un fiato sottolineando con una smorfia di disgusto l’ultimo concetto.
    Era vero: Nicolò era molto più intelligente di me. Sin dalle superiori, così come all’università, lui era il genio che primeggiava con i migliori, in ogni campo. Qualsiasi cosa si mettesse a fare, gli veniva benissimo. Io invece, ero un ragazzo normale, come tanti. Abbastanza intelligente da poterlo eguagliare impegnandomi dieci volte tanto. Ma io di fuoco dentro non ne avevo.
    Non era però questo che mi ferì, neppure il fatto che insultasse la mia professione da inserviente, che era solo una soluzione per mantenere i miei studi. Quello che mi colpì fu che tutto il suo egoismo venne alla luce. Nicolò mi era fedele sì, ma solo perché io ero una cosa sua.
    Ciò non toglie che io non reagì. Mi sedetti e cercai di tenerlo calmo.
    “Scusami Nicolò” dissi soltanto. E bastò a quietarlo. Sapevo ora che fosse dispiaciuto per come mi aveva trattato.
    “Ok, allora. Cominciamo a pensare a cosa fare” aggiunsi sorseggiando il thè.
    Nicolò, che dopo le mie scuse si era seduto, disse:
    “Prima cosa, dobbiamo capire come convincere Francesco a tornare”.
    “Idea!” dissi lasciando la tazza e battendo comicamente il pugno sul palmo della mano sinistra: “Chiediamo ad Alessandro di scusarsi”.
    Nicolò mi guardò in silenzio, poco avvezzo allo scherzo.
    “Ok… Allora passiamo al secondo punto” dissi abbozzando un sorriso dispiaciuto.
    “Capire come trovare quattro ragazzini che vengano a lavorare per Alfredo”.
    Questa volta riflettei sul serio.
    “Penso che potremmo chiedere a quelli rimasti al bordello di dirci se sanno dove potremmo cercare”.
    Nicolò rimase ancora in silenzio, perché si aspettava un altro scherzo.
    “Mi pare una buona idea” disse sincero.
    “Visto?” risposi sorridente.
    “Non montarti la testa per così poco” e rispose con un leggero sorriso. Il clima si stava finalmente un po’ rasserenando.

    Alla fine, riuscimmo ad arrivare a un compromesso: lo convinsi che non avremmo dovuto affrettarci e di riposare almeno un giorno per ordinare le idee. Nicolò acconsentì, però solo dopo aver chiamato Lorenzo e gli altri per chiedere un aiuto alla nostra causa. Ovviamente dissi di sì, ma non ero interessato a sentire la chiamata o parlare con loro, quindi lasciai sbrigarsela a lui e decisi di andare a fare un giro per rilassarmi un po’ e pensare ad altro. Dopo qualche resistenza, Nicolò mi lasciò andare.
    Presi la sua macchina, visto che la mia si trovava a Padova, e decisi di girare la città senza una meta precisa. Una miriade di pensieri giravano per la mia testa e volevo starmene un po’ in pace.
    Un’ondata di pessimismo si era infusa in me.
    Che senso aveva vivere così? Questo mi chiesi.
    Avevamo deciso che, pur di salvare la nostra immagine, saremmo stati disposti a rovinare la vita di altri ragazzi. E per cosa? Per vivere alla giornata? Per essere alla mercé di Alfredo e i suoi tirapiedi?
    Non ero tipo da abbattermi, ma questa volta… Come cavarsela?
    Per il momento non era in discussione l’idea di trovare e convincere i ragazzi che ci servivano. Francesco e altri quattro, ma probabilmente ci saremmo spinti anche a dieci o venti, visto che in palio c’era la nostra immagine. Tutto questo per l’egoismo di Nicolò, pensai. Perché io magari sarei stato in grado di accettare, ma per Nicolò era troppo importante. Per un po’, pensai quindi che lo stessi facendo per lui.
    Ma non ci misi molto a capire che invece no, sarebbe stata un umiliazione inaccettabile per chiunque. Se quei video fossero venuti alla luce, come minimo avrei dovuto cambiare identità, paese e vita. E probabilmente non sarebbe bastato a superare la vergogna e la sofferenza per aver perso tutto ciò.
    Quindi non c’era nulla da fare. Una morsa strinse il mio stomaco: ora più che mai mi accorsi che ad Alfredo non sarebbe servita neppure la violenza e lo spionaggio. Solo questo pericolo era sufficiente per arrendersi a lui.
    Accaldato e in preda al panico, fermai la macchina.

    -

    Mi ripresi con un paio di patatine e uno spritz su un tavolino interno al pub in cui accidentalmente avevo parcheggiato l’auto.
    Senza accorgermene, avevo macinato più di qualche chilometro ed ero arrivato a Mogliano, un paese nella provincia di Treviso.
    E fu qui che, proprio nel momento in cui pensavo che stessi per toccare il fondo, la fortuna venne in mio soccorso.
    “Nicolò? Cosa ci fai qui?”. Una ragazza molto attraente mi avvicinò toccandomi la spalla. Aveva lunghi capelli castani fluenti, un sorriso splendente e occhi color mandorla. Con sé portava un cocker spaniel inglese che mi annusò curioso. Ci misi qualche secondo a riconoscerla.
    “Denise?”
    “Chi avrebbe mai detto che ti avrei trovato qui?” disse lei. Sembrava sinceramente contenta di vedermi.
    “Una coincidenza Denise… Ho fatto un giro e mi sono fermato qui per puro caso… Come stai?”;
    “Non c’è male… Vieni spesso da queste parti?”.
    “No, è la prima volta… Sei sola?” chiesi accarezzando il manto ispido del piccolo cane dal pelo bianco e marrone, che dalla targa sul collare scoprì si chiamasse Dado.
    “No… La mia amica è andata un attimo in bagno. Eravamo sedute qui dietro, non ci hai notate?”;
    “Eh no, avevo la testa da un'altra parte… Se no di certo come avrei potuto non notarti?” Niente, fare il piacione era più forte di me. Mi veniva naturale.
    Lei sorrise compiaciuta.
    “Come va con Carlos?” chiesi io.
    “Te lo ricordi?”;
    “Come dimenticarlo…”. Stavamo parlando del suo ragazzo messicano: lui e Denise gli avevo conosciuti qualche tempo addietro al bordello. Sin dal principio, lei si era comportata splendidamente, mentre Carlos si fece presto riconoscere per quello che era. Un idiota.
    Il sorriso sulle labbra di Denise si spense.
    “E’ finita Nicolò…”.
    “Ma come? Non è passato tanto tempo da quando…”;
    “Dopo quel giorno, non è stato più lo stesso. Era arrabbiato, come se fosse tutta colpa mia. Qualche giorno dopo, ci siamo lasciati…”.
    “Oh… Mi dispiace Denise, non avrei pensato…” dissi sinceramente affranto per lei.
    “E’ meglio così… Ho capito, l’avevi detto anche tu… Che penso possa meritare di meglio…”.
    “E’ vero… Penso sia così”.
    Un po’ di imbarazzo si frappose tra noi.
    “Magari troverò uno come te” disse lei in tono scherzoso, come per alleggerire il clima.
    Sorrisi smaliziato: “Perché non ti siedi? Ti offro qualcosa, sei di fretta?”.
    Lei ci pensò un attimo: “Beh… Se non ti dispiace offrire per due” e accettò. Il cane si accucciò ubbidiente.
    “Figurati. Vuoi ordinare anche per la tua amica?” risposi.
    “Sì, due Margarita. Sarà contenta di vederti…”;
    “Due Margarita e un Piña Colada grazie” feci al cameriere di passaggio: “Perché?” domandai incuriosito.
    “Vedrai…” e mi fece la linguaccia.
    “Ok… Aspetterò” dissi interessato.
    “Comunque, te invece… Vieni spesso qui?” domandai.
    “Si certo… Questo posto è proprio vicino a dove abito”;
    “Ah si? Pensa che coincidenza incredibile” affermai.
    “Già”.
    “No, in verità… Ti stavo stalkerando…” mentì.
    Lei cambiò espressione per un attimo, poi rise quando interpretò il mio sguardo.
    “Cretino… Che ne so, non potrebbe essere?”
    “Certo che sì. Per una ragazza così, non è strano… E dovrei anche fermarmi a stringere le mani ai suoi genitori” ed ecco che riattaccavo senza vergogna a fare il piacione. Ripeto, mi viene naturale.
    Lei rise, poi prese la borsa. Intanto, la porta del bagno si era finalmente aperta e una ragazza molto carina si guardava in giro alla ricerca di qualcuno.
    “Fede sono qui!” chiamò Denise.
    Federica si girò verso di noi, sorrise contenta di vedere l’amica, e ci venne incontro. Fui rapito dal suo viso.
    “Hai trovato un amico?” disse lei quando fu vicino a noi.
    “Dai… Non l’hai riconosciuto?” disse Denise sorridendo vistosamente.
    Federica la guardò perplessa.
    “Wow…” intervenni io: “Sono tutte così le tue amiche?” dissi rivolto a Denise, ma guardando Federica, ancora in piedi, che mi ignorò letteralmente. M’infastidì.
    “Lo conosco?” disse ancora rivolta all’amica.
    “Dai… Guardalo meglio” insistette Denise.
    Federica mi scrutò meglio. Da vicino, era ancora più sensazionale: occhi color smeraldo e con un taglio sottile, labbra color pesca e tratti vivaci. Tutto ciò incorniciato da lunghi capelli color castano scuro.
    A un certo punto apparse un grande sorriso, che fece apparire due simpatiche fossette. Poi si mise una mano davanti alla bocca, simulando sconcerto.
    “Non ci credo!” disse e mi indicò: “Tu sei il ragazzo del video!”.
    Capì subito che cosa intendesse.
    Qualche tempo addietro, Denise e il suo ex ragazzo persero una scommessa con una coppia di amici. La posta in palio fu pesantissima: la sconfitta prevedeva di registrare un video erotico spinto dove Denise avrebbe dovuto fare sesso con due ragazzi, facendosi registrare direttamente dal compagno. Uno dei due ragazzi ero io.
    Come se non bastasse, la registrazione sarebbe poi essere mostrata alla coppia di amici, con Denise e Carlos presenti.
    Pensai che, ultimamente, troppi video personali stessero girando. D’ora in avanti, non avrei accettato di farmi filmare neppure mentre mangiavo i corn-flakes.
    “Quindi sei tu l’amica con cui ha fatto la scommessa” sentenziai.
    “Non proprio” disse Denise: “Essendomi lasciato con Carlos, la cosa è saltata. Per mia fortuna…”;
    “E quindi hai deciso di farlo vedere a lei?” chiesi sempre più sorpreso.
    Federica, che ormai si era sistemata accanto all’amica, frontalmente a me, s’inserì nel discorso: “Noi abbiamo un rapporto speciale. Non ci nascondiamo nulla. Siamo come sorelle”.
    “Non credo che questa sarebbe una cosa che mostrerei normalmente a mia sorella” commentai.
    Le due ragazze si guardarono sorridendo.
    “Siamo più che sorelle… Siamo come compagne di vita”.
    “Neanche un fidanzato accetterebbe una cosa del genere. Probabilmente ti ucciderebbe”;
    “Che noioso!” intervenne Federica tenendosi il mento sulla mano. Intanto, i nostri drink arrivarono.
    La guardai con attenzione. Aveva sicuramente un carattere forte, ma non riuscivo a capire se ci fosse della sana diatriba o se mi ritenesse un poco di buono. Da parte mia, non avevo capito ancora se mi potesse stare simpatica.
    “Comunque piacere, Nicolò” e gli porsi la mano;
    Lei sorrise e allungò la sua: “Federica”.
    “Quindi… Siete compagne di scuola?”.
    “Andiamo nella stessa scuola a Mestre, ma in indirizzi e classi diverse”.
    “Anche tu sei del 95’?” chiesi sapendo bene che una così non se la sarebbe di certo presa perché gli avevo chiesto l’età.
    “No, ho due anni in più. Lei va in quarta e io in quinta”.
    “Ah…”;
    “Sì, sono stata bocciata un anno” disse facendo una smorfia come se io lo stessi pensando.
    “Non serve che mi guardi con quella faccia da pesce lesso” disse lei in tono simpatico e bevendo in un sol colpo il suo Margarita.
    “No, ma guarda che non ci stavo neppure pensando…” risposi sincero.
    “Beh, comunque avevi una faccia da pesce lesso”.
    “Semplicemente ti davo qualche anno di meno. Tutto qui” dissi con tutto il mio sex appeal.
    Lei strinse gli occhi e corrucciò le sopracciglia. Ora aveva nuovamente il braccio sinistro appoggiato sul tavolo e la mano sotto il mento.
    “Per caso stai flirtando con me?” disse sicura di se. Il suo modo di fare mi accattivava sempre di più.
    “Se intendi che era un complimento, intendi bene” dissi con un accenno di sorriso.
    Ci fu un attimo di pausa. Allora Denise intervenne.
    “Ah… Ecco cosa ti volevo mostrare” e frugò nella borsa.
    “Prima hai accennato ai miei genitori…”.
    Prese il portafoglio e mi porse una foto.
    La aprì: era una foto di famiglia. C’erano quattro persone in primo piano e un bellissimo paesaggio in collina alle spalle. Denise era al centro della foto con quella che inevitabilmente doveva essere sua madre. Il sole accarezzava i lineamenti della figlia, mentre la donna sulla cinquantina, così come il padre, non le assomigliavano poi così tanto. Chi invece aveva dei tratti somatici affini era il ragazzino alla sua sinistra. Sorrideva, mostrando l’apparecchio fisso ai denti.
    E fu lì che un idea folle cominciò a salirmi al cervello. Quel ragazzo non era per niente male e la foto non doveva essere molto datata. Sì e no, aveva tra i tredici e i quindici anni ed era il profilo che Alfredo, paradossalmente, avrebbe accettato.
    Sapevo che era una follia, sapevo che avrei dovuto giocare una partita perfetta ed avere molto culo solo per avvicinarmi a lui. Ma che avevo da perdere? Il tempo era limitato e non potevo permettermi una condotta leale.
    “Siete davvero una bella famiglia…” dissi. Poi, come apparendo poco interessato, aggiunsi: “Questo è tuo fratello?”.
    “Sì, è la peste di mio fratello…” rispose: “Ma gli voglio un bene dell’anima. E’ il mio ometto” aggiunse come se la presentazione non fosse sufficiente a valorizzare il loro legame.
    “Ti assomiglia molto” dissi;
    “Beh, non mi sembra che mi assomigli così tanto” disse con un velo di imbarazzo.
    “Fidati, c’è una buona somiglianza. Inoltre è molto carino” dissi senza freni.
    A Denise non disturbava questa schiettezza. Ero bisex, quindi libero di fare quei tipi di apprezzamenti. Comunque, corressi un po’ il tiro:
    “Fra qualche anno gli sbaveranno dietro… Ragazze e ragazzi. Sempre che non gli dispiacciano quest’ultimi”.
    Denise guardò l’amica, poi disse: “Mah… Sai che non lo so? Dice sempre che esce con tante ragazze, ma poi... A casa non è mai portata una. E qualche volta si lascia scappare qualche commento anche sull’aspetto di qualche ragazzo”.
    “Dici che…”;
    “Ma no… So che ci sono delle ragazzine che gli vanno dietro. Dico che qualche atteggiamento un po’ ambiguo ce l’ha”;
    “Non significa nulla Denise” commentò Federica.
    “Ci sarebbero problemi se gli piacessero i ragazzi?” chiesi io.
    “Ma no…” disse Denise come sorpresa dalla domanda. Si sistemò i capelli dietro l’orecchio con la mano destra, sicuramente un po’ imbarazzata per parlare in questi termini del suo fratellino: “Sai che non ho assolutamente nulla contro… Anche i miei alla fine accetterebbero… Ma comunque era solo per dire. Non direi che abbia nulla per dire che sia gay”.
    “Cosa ne dici se cambiamo argomento” disse Federica annoiata.
    “Certo” affermai io che vedevo Denise sempre più infelice per come si era sviluppata la conversazione sul fratello.
    “Che programmi avete? Siete impegnate?”;
    “A dire il vero no. Non stavamo facendo nulla in particolare. Prima di vederti stavamo andando a casa mia che è a qualche isolato da qui. Ti va di unirti a noi?”
    Erano quasi le cinque del pomeriggio. Certo che il tempo era già volato!
    Teoricamente, le possibilità che il fratello di Denise fosse a casa erano buone, ma, anche fosse, come pensavo di poter arrivare a lui? Era pura follia.
    “Ma… Non vorrei disturbare”.
    Ancora una volta Denise e Federica si guardarono. C’era sicuramente un intesa forte tra di loro. Tutto lasciava supporre che cercassero sempre l’una la conferma dell’altra, ma in particolare la prima il consenso della seconda. Evidentemente a Federica cominciavo a non dispiacergli perché Denise insistette:
    “Non disturbi. Non c’è nessuno a casa. Mia mamma è fuori città per lavoro e ne ha per due settimane, mentre mio fratello è a calcio”.
    “E tuo padre?”.
    Il viso di Denise si scurì.
    “Mio padre è morto”.
    Non me lo sarei aspettato. Ancora una domanda infelice da parte mia. Perché non stavo zitto? Non mi era stato menzionato, un motivo poteva esserci.
    “Ah scusa… Mi dispiace… E’ che la foto mi sembrava recente e quindi…”;
    “Si lo è… Mio padre soffriva da tempo di cuore. La sua malattia era terminale e noi lo sapevamo già in quel momento… Non voglio entrare nei dettagli scusa…”. Denise era molto emozionata e si asciugò gli occhi lucidi. La perdita recente non era ancora stata assorbita. Federica le accarezzò il viso dolcemente.
    “Mi dispiace molte Denise. Non volevo permettermi”. Pensai a quanta serenità infondesse quella foto e pensare che la famiglia era conscia della perdita imminente, mi commosse. Internamente, ovvio.
    “Tranquillo… Lo so…”.
    Fu così che entrai per la prima volta in casa di Denise.

    -

    Mi offrì di accompagnarle con la mia macchina, o meglio, con quella di Nicolò. Arrivati a casa di Denise, una graziosa villetta a schiera dallo stile moderno e le mura perlacee, ci mettemmo comodi sul divano, rifocillandoci e parlando animatamente del più e del meno. Sì e no, trascorremmo così più di un ora, discorrendo delle loro storie e delle mie rimembranze dei tempi delle medie e delle superiori.
    “E la palla era stata lanciata lontano dal campetto di cemento. Lui, che era l’ultimo giorno di scuola e indossava degli orribili jeans blu, corse come un pazzo verso il pallone… Noi gli urliamo: Boris ma che corri? Cosa serve? E lui niente… E quindi…” raccontavo soffocando dal ridere: “Fa qualche passo e cade come un pero sul cemento facendosi uno sbrego enorme sui pantaloni!”.
    Le ragazze scoppiarono a ridere. Stavo sulla poltrona davanti a Denise e Federica seduti sul divano, raccontando una dopo l’altra le gesta di un mio amico delle medie molto goffo.
    “Insomma… Il ginocchio era inzuppato di sangue!” continuai ridendo:
    “Quando sua mamma l’ha visto e ha saputo come era riuscito a rompere così le braghe gli fa: Lorenzo (alias Boris) sei proprio un deficiente”.
    E riscoppiammo a ridere.
    “Ma quante ne hai su questo tipo?” chiese divertita Federica.
    “Troppe” risposi con le lacrime agli occhi: “E poi c’è quella di quando lo stavano tormentando con le svirgole nel corridoio della scuola. Lui, che tra l’altro è sempre stato grosso, ma troppo vigliacco, alla fine ha perso un attimo il lume, spingendo uno di quelli che lo tormentava addosso al muro… Che più che muro era cartongesso e… Bam! Il tipo è volato spaccando il muro”.
    Altre risate, più mie che loro.
    “E indovinate un po’ chi è stato punito per questo? Boris” e tutte e due sganasciarono dal ridere.
    “Insomma tutte queste storie… Eri un bullo” disse provocatoriamente Denise.
    “Ma va… Io ridevo e basta” risposi ancora arrossato e senza respiro.
    “Ma lo sai che chi non fa niente, anche chi dice “Ma poverino” alla fine è complice. Agli occhi della vittima, non c’è differenza tra chi lo tormenta e chi non fa nulla. Figurati ridere” disse Federica cercando di apparire seria.
    “E allora… Non si può fare niente!” dissi allargando le braccia e con tono goliardico.
    Denise rise più forte degli altri.
    Proprio in quel momento, si aprì la porta dietro di me ed entrò il fratello di Denise con il borsone da calcio sulle spalle. Erano già passate le sette.
    “Ahi che fatica…” brontolò non badando a noi.
    Era un ragazzo basso, attorno al metro e sessantacinque, dall’aspetto vispo e dalla presenza piacevole. I tratti del suo viso erano dolci e piacevoli, esattamente come quelli di Denise, i capelli crespi e marroni.
    Egli notò la presenza di sua sorella con altre persone in casa ed esclamò:
    “Ma che fai già qui?”
    “Ciao Daniel” fece Federica sorridendo.
    “Perché sono già qui? E’ casa mia, faccio quello che voglio” rispose lei con tono arrogante.
    Daniel lasciò cadere il borsone da calcio e chiuse la porta dietro di sé.
    “Ho capito, ma in genere…” poi notò la mia presenza scrutandomi perplesso.
    “Nuovo ragazzo?” domandò indicandomi con poco tatto e guardando la sorella.
    “Ma che dici?” disse arrossendo un po’: “E’ un amico, che domande fai?”.
    “E’ che in genere porti i tuoi ragazzi a casa” fa lui.
    Denise questa volta arrossì pesantemente, rimanendo a bocca aperta per le parole del fratello: “Ma cosa dici? Non è vero che porto i ragazzi a casa. Quali ragazzi poi? Pulisciti le orecchie, ti ho detto che è solo un amico”.
    “Sarà” dice poco convinto.
    Mi alzai in piedi e mi mossi verso di lui porgendoli la mano:
    “Piacere, Nicolò”.
    Daniel sospirò, fece una smorfia e guardò in basso, come per ironizzare sulle mie buone maniere così fuori luogo.
    “Ciao” fece lui. Dopodiché, prese il borsone in spalla e mi passò avanti.
    “Cosa c’è per cena?” chiese alla sorella.
    “Non ho preparato niente… Ma perché sei già qui? Ti sei fatto la doccia almeno?”
    “Certo che mi sono fatto la doccia” e intanto s’incamminava verso gli scalini del piano superiore.
    Il mio sguardo interrogatore incrocia quello delle ragazze.
    Denise indispettita per la sparata precedente del fratello, non si trattiene e dice: “Devi sapere che, fino a poco tempo fa, tornava direttamente da calcio sudato a farsi la doccia a casa perché si vergognava di farla davanti agli altri”.
    Federica scoppiò a ridere.
    “Che c’è di male a vergognarsi? Ero piccolo” non negò Daniel.
    “E’ perché ti viene il durello” disse sogghignando provocatoria la sorella.
    Daniel non si scompose più di tanto:
    “Che idiota…” commentò.
    “Beh, com’è che non ti ho mai visto portare una ragazza a casa?”;
    “Perché c’è la mamma!” rispose ora un po’ più alterato:
    “E poi, se fosse per me, le porterei a casa, ma fanno tutte le difficili”.
    “Mah…” rispose la sorella ora divertita.
    “Certo… Guarda… Federica, ti va di uscire con me?”.
    “No” rispose lei senza pensarci tanto.
    “Visto?” e corse verso il piano superiore.
    “Simpatico tuo fratello” conclusi io.
    “Beh…” intervenne Federica: “Si è fatto tardi, i miei mi staranno aspettando”.
    “Abiti vicino? Vuoi che ti accompagni?” chiesi gentilmente.
    “Saranno cinque minuti da qui in auto” rispose.
    “Allora ti ci porto io e poi vado avanti”.
    “Come vai avanti?” chiese Denise alzandosi in piedi: “Sei mio ospite… Devi fermarti per cena. Non accetto un “no” come risposta” e mi accarezzò la spalla.
    “Ok…” risposi sorpreso, ma sollevato perché avrei potuto provare a pianificare qualcosa.
    “Se non disturbo…” conclusi sapendo già la risposta.
    Alla fine accompagnai da solo Federica, mentre Denise avrebbe preparato qualcosa per dopo.
    Inizialmente, nella strada verso casa di Federica, l’assenza di Denise sembrò pesare perché non sapevamo cosa dirci e rimanemmo in silenzio. Alla fine, fu lei a romperlo per prima:
    “Comunque grazie per il passaggio”;
    “Come?”;
    “Beh, non ti avevo neanche ringraziato” disse lei con voce stranamente più dolce. La guardai un attimo.
    “Ma figurati, è un piacere” risposi cordiale. Poi volli provocarla: “Una ragazza bella come te la porterei ovunque… Sei single?”
    Federica sorrise e continuò a guardare avanti.
    “Deve proprio averti visto di buon occhio Denise per averti invitato così su due piedi” disse cambiando totalmente argomento.
    “Daniel ha detto che non è così strano… Perché lo è?”
    “Lo è” fece ridacchiando per poi divenire più seria.
    “Mi raccomando... Si è appena lasciata e so che ha bisogno di avere compagnia, ma non farti strane idee…”
    La guardai nuovamente sorpreso per la conversazione e per il fatto che pensasse fossi male intenzionato.
    “Ma guarda che non è come pensi… Capisco che si potrebbe fraintendere, ma io… Non ho intenzione di fare nulla”;
    “Lo spero” disse lei sorridendo nuovamente: “Questa è casa mia”.
    Scese e la salutai dal finestrino. Prima di partire per il ritorno, chiamai Nicolò per avvertirlo che quella sera sarei rimasto a cenare fuori. Non gli dissi di Denise, più che altro perché non avevo voglia di dare spiegazioni e altre noie a lui, ma che ero con degli amici e che avrei potuto far tardi.
    “Ma ti sembra di andare a divertirti fino a tardi in questo momento? Comunque va bene… Ho parlato con Lorenzo, Nawfal e Vincenzo, accennando la questione. Domani pomeriggio ci incontreremo con loro e devi esserci” mi anticipò Nicolò.
    Perché non poteva dirgli tutto subito senza perdere altro tempo? Non capì ma non chiesi per evitare risposte infastidite.
    “Va bene. Ci vediamo stanotte” e chiusi il telefono.
    Quando tornai a casa, Denise era pronta per uscire con il cane.
    “Scusami Nicolò, porto Dado a fare due passi. Tempo mezz’oretta. Vuoi venire con me?”
    Dietro di lei, stravaccato sul divano con i calzini ai piedi appoggiati sullo schienale c’era Daniel impegnato con la Psp. Pensai subito potesse essere l’occasione per gettare le basi e quindi declinai l’invito.
    “Ti dispiace se sto qui? Daniel mi farà un po’ compagnia” chiesi con tutta la riverenza possibile.
    Un po’ sorpresa, Denise acconsente ed esce di casa.
    Trenta minuti scarsi.
    Trenta minuti scarsi per inventarmi qualcosa. Ma cosa? Sapevo che non avrei avuto mai il modo di arrivare al dunque.
    Mi sedetti a fianco di Daniel che mi fece spazio sedendosi e appoggiando i piedi sul tavolino davanti e senza distogliere l’attenzione dal gioco.
    Stetti un attimo in silenzio battendomi le dita sulle ginocchia.
    “Dunque… Daniel” dissi come se mi stessi sforzando di ricordare il suo nome.
    “Quanti anni hai detto che hai?”.
    “Non l’ho detto. Comunque quindici” disse continuando a smanettare sui tasti.
    “A che stai giocando?”.
    “Mario Kart”
    “Ah… Bello” dissi. Ero sincero, Mario Kart era un gioco che mi piaceva parecchio.
    “Mi piace un casino Mario Kart. Pensa che qualche anno fa ho fatto un torneo con tre amici sulla GameCube con tutti i percorsi speculari ripetuti due volte. Sono arrivato ultimo, ma da quella volta mi allenai e migliorai. Peccato che non ci giocammo più…”.
    Daniel non disse nulla.
    “Ce l’hai la GameCube? Ti va di giocarci?”;
    “La GameCube? Chi ha la GameCube oramai? Era rara a suo tempo”;
    “Si beh, la Wii. Ce l’hai per la Wii?”;
    “No”;
    “Ok… Giochiamo a qualcos’altro… Hai Fifa?”
    “Sì, Fifa dodici”;
    “Ottimo, facciamo una partita io contro di te?”.
    “Va bene… la console è li, i CD sull’armadietto. Intanto prepara che io finisco il gran premio”.
    Mi alzai diretto verso il mobile della televisione. Finora non avevo ottenuto neppure la sua attenzione. Non c’era tempo: dovevo osare di più.
    “Ce l’hai la ragazza?” chiesi mentre aprivo l’armadietto alla ricerca del gioco.
    “No”;
    “E il ragazzo?”.
    Lo stupì come volevo, perché per un secondo mi guardò perplesso per poi riprendere a giocare. Potei notare la prima volta i suoi vispi occhi marrone sotto le cespugliose sopracciglia.
    “Un ragazzo? Non sono mica frocio”.
    Dovevo osare. Non era facile per me, che fremevo per il mio doppio gioco.
    “Denise ha detto che ti vergogni a fare la doccia con gli altri ragazzi”.
    “Che stupidaggini” rispose snobbandomi.
    “Mi ha detto anche che a volte fai commenti azzardati suoi ragazzi”. Continuavo a punzecchiarlo e intanto accendevo la play station.
    “E con questo? Sono gay? Appurato?” commentò ironico;
    “Non c’è niente di male se ti piacciono ragazzi e ragazze”.
    “Bisex dici? Pff...” disse facendo una smorfia.
    Spense il gioco. Dalla musica si capiva avesse terminato.
    “Capisco i finocchi, ma i bisex? Non sono né carne, né pesce”;
    “Io sono bisex” dissi con molta calma. Non mi vergognai ad ammetterlo, non so perché. Forse perché sapevo quanto fosse importante per me ora ottenere il consenso di Daniel.
    Daniel, sempre seduto sul divano, mi scrutò sorpreso, ma il suo tono di voce rimase calmo quando mi domandò:
    “Ah… Mi spieghi perché? Non hai le idee precise?”;
    “In che senso?”;
    “Mah… Che senso ha? Cioè ti piace tutto? E’ come dire che ti piace fare sesso punto e fine. Non sei né carne, né pesce” insistette lui.
    Pur spiegandosi malamente, avevo intuito cosa volesse dire.
    “Non è proprio così. Io la vedo in questo modo: perché rinunciare a metà della scelta? Io so che mi piacciono sia le ragazze sia i ragazzi, non ho dubbi al riguardo”.
    “Ah… Vabbè” si limitò a commentare poco convinto: “Lo sa Denise?”.
    Feci cenno di sì con il capo.
    “Cosa ne dici se giochiamo?”;
    “Vai, accendi!”.
    “Come te la cavi con Fifa?” domandai.
    “Sono bravo, te?”;
    “Me la cavo” risposi: “Sei sicuro di essere bravo?”.
    “Sicuro”;
    “Perché non mettiamo qualcosa in palio?” chiesi. Stavo per spingere oltre ogni limite.
    “Ci sto” rispose su due piedi per ostentare sicurezza: “Tipo? Soldi?”
    Decisi di rischiare. Perché no? Cosa poteva succedere?
    “No. Voglio scommettere qualcosa di diverso… Facciamo che chi perde… Mostra il cazzo all’altro”.
    Daniel sgranò gli occhi.
    “Tu non sei normale…”.
    “Visto che dici che i ragazzi non ti eccitano, voglio che me lo mostri. A meno che non riesci a vincere… O hai paura che ti venga davvero duro?” dissi malizioso. Avevo messo il cuore oltre l’ostacolo.
    Daniel provò a nascondere l’imbarazzo, simulando disinteresse verso la proposta.
    “Non è che invece per caso ti piaccio?” disse.
    Sorrisi.
    “Non deviare la conversazione… Ti trovo molto carino, ma non fraintendermi. Sei piccolo, non ci penserei neanche se tu ci staresti, quindi tranquillizzati. Voglio mettere alla prova la tua onestà e il tuo coraggio. O hai paura?”.
    Cercavo di colpire al suo orgoglio, perché sapevo ne avesse da vendere.
    “Va bene. Ma tanto vincerò”.
    Non sarebbe stato troppo diverso. Anche se avessi perso, pensai, avrei potuto osservare i segnali: lo sguardo, le mani, il corpo, il pacco…
    Real Madrid-Barcellona; nessuno intendeva rischiare di perdere.
    Inizialmente, partì bene e passai subito in vantaggio. Dominai i primi quindici minuti di gioco virtuali, poi cominciai ad aver timore di abituarmi alla vittoria: la cosiddetta paura di vincere. Poco alla volta, Daniel prese il possesso del campo e pareggiò prima dello scadere del primo tempo.
    Eravamo molto presi e parlavamo solo per inveire sui nostri giocatori. Entrambi sentivamo il peso della posta in gioco.
    Nel secondo tempo fu assolo Barcellona. Casillas, il portiere del Real, si superò per ben tre volte. Sembrava che dovessi subire gol da un momento all’altro, ma, nel giro di pochi minuti, due falli omicidi di Daniel lo lasciano in nove uomini. In undici contro nove, la partita si equilibra e sfioro il gol nel finale. Andiamo ai supplementari, dove Daniel riesce a perdere più tempo possibile, accontentandosi dei rigori; un terno all’otto.
    Nessuno sbaglia i primi tre. Poi, io segno il quarto e Daniel spara il suo sulla traversa.
    “No Cazzo!” inveisce.
    I joystick vibrano, il mio rigore è il match ball. Kakà si appresta a battere, parte il tiro e… Si gonfia la rete!
    Esulto istintivamente dopo aver sudato per quindici minuti. Ma subito mi quieto, perché so che significa.
    Guardo Daniel, che ora mi osserva spaventato.
    “Dai!” lo intimo ancora in preda alla trance della partita. Ma anche perché Denise sarebbe potuta tornare da un momento all’altro.
    Daniel si alza. Lo noto: è indurito, non ci sono dubbi. Ma lui mantiene la promessa e tira giù i pantaloni della tuta con le mutande. Il suo cazzo schizza fuori ed è di marmo, completamente in tiro.
    Daniel mi guarda con i suoi occhi abbassati luccicanti, come se si aspettasse un commento o di essere preso in giro.
    Non dico nulla. Mi resi conto di quanto fossi bastardo a fare ciò solo per il mio tornaconto e non volli infierire di più. Sentì inoltre qualcuno avvicinarsi a passi leggeri dal vialetto.
    Daniel si alzò i pantaloni e Denise entrò.

    -


    Cenammo come nulla fosse. Anche Daniel si era subito ripreso e aveva parecchio appetito. Denise aveva preparato delle bistecche di manzo e insalata come contorno. Cibo leggero e di qualità, perché Denise era in dieta, anche se pensavo che la cosa non servisse, e Daniel ci teneva alla forma atletica per dare il meglio in campo.
    “Come fate con Dado se vostra madre lavora?”
    “La lasciamo da una signora qui accanto” disse Denise.
    “Ah… Capito”;
    “Ma il caso volle che anche lei partisse questa settimana per la montagna”.
    “Quindi come fate?”.
    “Molto semplice” interviene Daniel: “Con dispiacere, ci alterniamo la mattina per tenerlo. Così un giorno va a scuola lei e un giorno io… Purtroppo siamo costretti” disse simulando un dolore lancinante al cuore.
    “Comunque è solo per due settimane” si giustificò Denise sorridente: “Domani sono a casa” e mi guardò intensamente, come per suggerirmi qualcosa.
    “Ti va di fermarti qui per la notte? Così non ti tocca fare tutto il viaggio fino a Padova con il buio…” chiese dolcemente lei, esplicitando pure la ragione. Mi piantava i suoi occhioni addosso, mentre Daniel la guardava masticando l’insalata. Come potevo rifiutare?
    Accettai. Poi avrei chiamato Nicolò dicendo che avrei dormito fuori, sempre da amici.
    “Perfetto!” disse lei non nascondendo l’entusiasmo: “Beh… Io ho finito… Sono sudata, vado a farmi una doccia… A dopo!” e salì su per le scale.
    Rimanemmo solo io e Daniel, mentre Dado dormiva nella cuccia.
    Imbarazzati sia per questo, ma ancora per ciò che era successo prima, non feci in tempo a proferire parola che Daniel corse di sopra senza dire niente.
    A quel punto non mi restava nulla da fare. Decisi di dare una mano e sparecchiai la tavola, poi mi sedetti sul divano e accesi la tv. Dopo un'altra decina di minuti scese Denise in accappatoio, tutta profumata e con l’asciugamano sui capelli.
    “Dove tenete le lenzuola? Così intanto mi preparo il divano” dissi io per distrarmi dalla vista della ragazza che si avvicinava in tutto il suo involontario fascino, camminando scalza sul parquet.
    “Ma cosa dici? Secondo te ti invito a stare da me la notte e ti faccio dormire sul divano? Dormirai nel mio letto”.
    “Non ho visto su, hai una stanza degli ospiti? Non ti faccio dormire a te sul divano” dissi io.
    “Non c’è problema, c’è spazio per tutti e due nel mio letto… Vieni…” e mi prese la mano nella sua.
    In un clima surreale, salimmo silenziosamente le scale ed entrammo nella prima stanza a destra.
    “Benvenuto nella mia camera”.
    Era una stanza abbastanza ampia, con quadri e foto di famiglia sulle pareti. C’era una scrivania, un ampio armadio a due ante e un letto da una piazza e mezza.
    “Non è un po’ piccolo per tutti e…” non feci in tempo a finire, perché quando mi girai verso di lei, Denise si era tolta l’accappatoio. Mi dava il profilo, completamente nuda. Era intenta a prendere l’intimo e il pigiama dall’armadio.
    Mi guardò per capire perché mi fossi interrotto. Sorrise e riprese a rimenare nell’armadio, tirando fuori un pigiama rosa shocking.
    “Che c’è, ti metto in imbarazzo?” disse lei sorridendo insofferente.
    Io non volevo mancare di rispetto e quindi mi girai di sbieco e guardai il pavimento.
    “Mi hai già vista nuda, no? Di cosa ti vergogni?”.
    Ma io non cambiai atteggiamento, quindi lei si vestì.
    “Non ho un pigiama per te” disse.
    “Come facciamo?” chiesi.
    Lei si avvicinò arrivandomi a un palmo di naso; si alza sui piedi incollandomi gli occhi sotto ai miei:
    “Perché stai facendo il bambinone? Ci siamo già visti, che sarà mai se stai in mutande e canottiera”.
    “A Daniel non disturba?”;
    “Dici sul serio?” disse prendendomi per il copino e respirandomi sulla bocca.
    Alla fine scendemmo e decidemmo di guardare un film. Invitammo anche Daniel che però si era chiuso in camera e non volle scendere. Guardammo una divertente americanata: “Libera Uscita” con Owen Wilson e Jason Suidekis.
    La commedia allegra e incentrata su temi erotici, ci coinvolse e quando decidemmo di andare a dormire, ci coricammo sotto le coperte insieme, come una coppia qualsiasi. Solo allora fu strano.
    Ci tenevamo abbracciati guardandoci intensamente negli occhi, per capire le nostre volontà.
    Lo ammetto, Denise mi piaceva, ma non stavo tradendo Nicolò. Certo, non avrei mai raccontato questa parte della storia e, semmai fosse venuta a galla, avrei spiegato che stessi facendo ciò che era necessario. Ed era vero; cercavo di essere più conciliante possibile con Denise, per arrivare, non sapevo ancora come, a Daniel. Daniel mi serviva per il bene mio e di Nicolò.
    Quali fossero le intenzioni di Denise, non mi era ancora chiaro. Era evidente che gli piacessi, ma poi? Certamente non era mia intenzione respingerla. Un po’ perché non avrei voluto ferirla, un po’ perché provavo qualcosa.
    “Non voglio che pensi male di me Nicolò…” disse lei sottovoce.
    “Cosa dici?”;
    “Farti venire qua, nel mio letto… Penserai che sono una di poco valore, una facile… Mi sono lasciata da poco…” fece lei imbarazzata e in tono sommesso.
    “Come potrei?” risposi accarezzandoli i capelli. “Non pensarlo nemmeno”.
    E lì mi accorsi: ero eccitato.
    “Sei gentile a dire così… Però te lo dico… Non sono pronta… Capisci?”
    “Ma certo, perché lo dici?”.
    E indicò sorridendo con l’indice in direzione del mio pacco. Ebbene sì, era visibilmente duro.
    “Oddio…” feci e nascosi, imbarazzato, la faccia sul cuscino: “Scusami…”.
    “Sss… Tranquillo…” e mi accarezzò i capelli e poi, il cazzo.
    Quando lo fece, ebbi un sussulto. La guardai sgranando gli occhi, poi non potei farne a meno: la baciai.
    La baciai con ardore, tenendo le soffici guance tra le mie mani. Lei abbracciò la mia schiena e la mia testa con le sue, accavallando la gamba destra sopra la mia. Sentì il tallone del suo piede freddo sul mio femore.
    Ci baciammo così, avvicinandoci sempre di più, e lasciando passare le nostre lingue.
    “Scusami…” sussurrai ancora una volta, con una flessione nella voce di puro coinvolgimento. Poi ricominciammo a pomiciare, continuando per tutta la notte. A volte era lei sopra, a volte era sotto, a volte in fianco. Fu dura, no, fu durissima non cedere alle mia tentazioni.
    Ma Nicolò era il mio ragazzo e io lo amavo. Anche se lui non lo sapeva ancora.

    -

    Verso le tre di notte, Denise si addormentò. Io invece feci solo finta, immerso in troppi pensieri.
    Con tutta la delicatezza in mio possesso, mi alzai dal letto senza svegliarla e mi diressi scalzo verso il bagno che stava alla fine del corridoio.
    Fu proprio in quel momento, che la fortuna mi baciò come mai prima d’ora.
    Infatti, per andare in bagno, dovevo inevitabilmente incrociarmi con la camera di Daniel. Questa era socchiusa e quando passai sbirciai l’occhio, per poi passare avanti. Ma avevo notato che dentro la stanza ci fosse un movimento sospetto, quindi tornai per controllare nuovamente. E quello che vidi sarebbe stata la mia fortuna.
    Quello che in molti racconti erotici si può trovare comunemente, stava accadendo in quell’istante sotto i miei occhi: Daniel era seduto sul letto, con gli occhi chiusi e intento a trastullarsi con nelle mani l’intimo di Denise.
    Lo fissai per qualche secondo impietrito dalla sorpresa, poi ebbi l’illuminazione ed entrai.
    Il cigolio lo mise in allarme e lui si arrestò coprendo il suo membro dentro le mutande e nascondendo l’intimo dietro la schiena.
    “Che fai?” disse lui con voce alterata dalla sorpresa.
    “Sss… Non urlare. Non dire nulla. Sveglierai tua sorella”.
    “Cosa fai qui?” sussurrò nuovamente deglutendo.
    “Ho visto tutto…” dissi senza giri di parole. Lui rimase immobile, troppo spaventato per fare qualunque cosa. Intravidi però nel buio un brillore nei suoi occhi.
    “Non è come pensi…”;
    “Oh si che lo è” risposi prontamente e mi sedetti vicino a lui, come per confortarlo.
    “Non ti devi preoccupare. Ma voglio che ti spieghi” dissi con tutta la gentilezza del mio animo.
    Daniel abbassò la testa.
    “Ti piace tua sorella? Davvero?”
    Non disse ancora nulla.
    Che dire? Non conoscevo un caso simile e non sapevo bene come comportarmi. Io ero figlio unico e gli unici rapporti equiparabili erano coi cugini, ma non era per niente uguale, perché io non li vedevo che di rado da quando non ero più bambino. Per quello che ne sapevo, i miei amici avevano rapporti diversi con i loro fratelli e sorelle: di affetto, in alcuni casi di disapprovazione e conflitto, ma penso che sarebbero stati inorriditi solo a pensare in quei termini di un membro del loro sangue. Daniel invece aveva una cotta per la sorella. Era attratto fisicamente.
    Di una cosa ero però certo: non avevo mai visto un fratello e una sorella così attraenti per me. Avrei potuto tranquillamente affermare che avrei fatto qualcosa sia con l’uno sia con l’altro, tenendo in considerazione il fatto che Daniel aveva solo quindici anni.
    “Può succedere, non è una cosa di cui vergognarsi” infine dissi pensandoci un po’.
    “Non lo è? Certo che lo è” intervenne finalmente lui.
    “Io non sono normale Nicolò, non lo vedi?” si sfogò: “Hai visto prima no? Con te…”.
    “Ti ho detto che non c’è niente di male nel fatto che ti piacciano femmine e maschi” risposi convinto.
    “E mia sorella?” disse lui nella speranzosa attesa di una parola rivelatrice.
    Ci provai. Provai a pensare a qualcosa di non banale. Se si poteva amare un uomo e una donna contemporaneamente, perché non la propria sorella?
    “E’ solo una cosa in più… Provare qualcosa per la propria sorella…” e mi fermai soppesando le parole: “È tenero”.
    Mi guardò in silenzio.
    “Sì, perché vuol dire avere un amore profondo verso una persona cara che… Va oltre il rapporto familiare” avrei voluto spiegarmi meglio, ma non riuscì. Anch’io ero un po’ in imbarazzo nello spiegarlo, quello che intendevo era dirgli che significava andare oltre, amarla al di là dei pregi e dei difetti, sopraspendendo al fatto che conoscesse anche i più piccoli e beceri comportamenti di lei. Perché ogni persona esistente ne aveva. Anche la più mozzafiato.
    “Sì però… Non credo si possa dire che sono innamorato…” disse lui. Il suo tono mi parve però un po’ più rasserenato.
    “E… Poi mi piacciono anche i ragazzi…” ormai era in ruota libera.
    “Ma che fai? Stiamo risolvendo una questione e ne trovi un’altra?” dissi sorridendo.
    “E’ che mi vergogno di questo, io…” e lo interruppi.
    Gli presi le spalle e gli sferrai un bacio sulle labbra. Rimasi incollato a lui per più di un secondo, inebriandomi del suo odore molto simile a quello della sorella, ma ovviamente più virile e maschio. Pensai che nel giro di poche ore, per mia immensa sorpresa, avevo baciato entrambi i figli di quel povero padre deceduto. Non doveva però troppo preoccuparsi da lassù. Al di là di quello che sarebbe successo in futuro, gli volevo davvero bene. A entrambi.
    Mi staccai e lo guardai: mi fissava con i suoi occhioni smarriti.
    Gli tenni le mani sulle spalle, tenendo le braccia tese.
    “Non ti devi preoccupare. Sii felice e non ti vergognare mai di questo” dissi guardandolo dritto negli occhi. I suoi luccicavano.
    Era giunta l’ora. Finalmente potevo usarlo a mio vantaggio:
    “Non sai quanto sei carino. So che piaceresti a tanti ragazzi, coetanei o più grandi, a seconda dei tuoi gusti. Io voglio mostrarti un posto, dove tu potrai provare a capire di più su di te. E vedrai che non potrai più smettere”.
     
    .
  2. righel2001
        Like  
     
    .

    User deleted


    Bello, continua al più presto
     
    .
1 replies since 10/1/2017, 12:03   734 views
  Share  
.