Il bordello

11° episodio: Da vittima a carnefice

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    CONTENUTO EROTICO E SESSUALE
    QUESTO RACCONTO NON E' ADATTO AD UN PUBBLICO MINORE DI 18 ANNI
    SE SEI MINORENNE TI INVITIAMO A LASCIARE IMMEDIATAMENTE QUESTA PAGINA



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    Capitolo Undici: Da vittima a carnefice


    Martedì mattina ci svegliammo molto presto; provammo la parte e ci preparammo per essere presenti all’arrivo di Massimo in ufficio. Ero molto stanco, ma anche molto motivato, tanto che non pensavo comprensibilmente ad altro. Dopo aver fatto colazione in fretta, in circa venti minuti c’eravamo lavati e vestiti. Avevamo fatto la doccia insieme, così da accelerare i tempi.
    La strada per arrivare non era poi così lunga, quindi controllai solo allora il telefono ed eventuali notifiche di chiamata e messaggi. Tra gli altri, finalmente mi aveva risposto Flavio alle tre e quarantasette di notte. Questi mi scriveva semplicemente che aveva avuto delle faccende da sbrigare e che presto si sarebbe messo in contatto con me. Sentire la presenza del mio amico, colui che era stato parte fondamentale in quella domenica travagliata, mi fu di conforto.
    “Ciao Flavio, era ora che ti facessi almeno sentire… Nicolò ed io stiamo andando ora dalla polizia… Ieri abbiamo visto Alfredo. La storia è un po’ cambiata, ti dirò i dettagli a breve. Ho deciso di non sporgere denuncia. Mi ha convinto Nicolò… Penso sia la cosa più giusta da fare. Chiamami appena puoi dopo pranzo. Ciao!”
    Questo fu il messaggio vocale che gli lasciai, mentre ormai eravamo pronti ad arrivare.

    -

    La recita stava finalmente per iniziare da dove eravamo rimasti.
    “Allora, cosa vuoi sapere?” Max non vedeva l’ora di conoscere la verità, ma io volli tenerlo un po’ sulle spine.
    “Che domande… Ci sono o non ci sono minorenni?”;
    “Si certo scusa. Beh, nel bordello…”;
    “Si?”;
    “Nel bordello… Non ci sono minorenni”. La bugia era stata servita.
    “Capisco…” fece lui ispirando profondamente: “Ne sei certo di questo, vero? Le informazioni che avevo partivano da una fonte attendibile…”;
    “Non so con chi tu abbia parlato, ma questo è quello che è stato riferito a me. Nel bordello, minorenni non ci sono” ripetei cercando di essere più convincente possibile.
    Massimo mi scrutò per un secondo, poi disse: “La fonte è quel ragazzo?”;
    “Intendi Nicolò?”;
    “Sì, esatto”;
    “No, non è lui la fonte. La fonte è un altro ragazzo che vuole rimanere anonimo”;
    “E allora quel ragazzo chi sarebbe?” domandò lui su due piedi. Poi capì di aver sbagliato il tono della domanda e si corresse: “Cioè… Ho capito che mi hai detto che state insieme… Ma dove l’hai conosciuto? Al bordello?”
    “Sì. Lavorava come me come barista”.
    Massimo mi fissò perplesso: “Senti, volevo dirti che… Io non ho niente in contrario a ciò… Solo che non ti avrei creduto quel tipo di ragazzo…”.
    Per un attimo aveva cambiato argomento. Curioso, buono, ma con retaggi un po’ maschilisti, quali erano i miei fino a qualche tempo prima, faceva fatica a esprimersi sul tema.
    “E’ un po’ complicato. Non è che prima lo nascondessi… L’ho scoperto un po’ così anch’io…” se inizialmente avevo affrontato l’argomento a testa alta, ora anch’io mi sentivo molto in imbarazzo ad ammettere e spiegare cosa stesse succedendo. Era difficile dire qualcosa, sia perché era una cosa molto intima, sia perché era avvenuta in modalità di cui non potevo far menzione, sia perché era come confessare a un familiare.
    “Comunque non è di questo che sono venuto a parlare” dissi in modo da cambiare subito argomento: “Il punto è questo, che i minorenni non lavorano. E non è tutto. I ragazzi che lavorano li, da quello che mi è stato spiegato, sono solo degli accompagnatori”.
    Massimo ora era davvero basito. Ero consapevole che adesso stessi tirando la corda un po’ troppo. Perché rischiare così tanto? Anch’io me lo chiesi più volte. Fu Nicolò a insistere che sarebbe stato meglio per tutti. Ecco quale fu il suo ragionamento:
    Se avessi affermato che nel bordello si prostituivano solo ragazzi maggiorenni, la polizia sarebbe potuta intervenire e scoprire la presenza di ragazzi effettivamente minorenni, cosa che poteva in minima parte ripercuotersi su di noi. Sarebbe ancora più grave affermare che nel bordello di prostituzione non ce n’è proprio. Ma affermandolo , le possibilità di una retata si sarebbe ridotta al lumicino. Sapevamo infatti che il bordello di Quinto non era conosciuto dalla stragrande maggioranza della gente comune e la polizia non aveva in passato avuto alcuna segnalazione che gli obbligasse a intervenire. In ogni caso, la responsabilità di affermare il falso sarebbe stata ricondotta al testimone nascosto. Ergo, io non sarei mai stato coinvolto e nessuno avrebbe rischiato eventuali problemi. L’unica cosa, era essere convincenti adesso con Massimo.
    “Scusa se te lo dico Nicolò, ma… La fonte ti ha detto questo?” chiese sempre più scettico.
    Rimasi impassibile, cercando di manifestare più convinzione possibile: “Si”.
    “Sei sicuro che ci si possa fidare? Nicolò, veramente… Questo mi sembra davvero strano…”;
    “Massimo, quando ti chiesi tempo fa perché non siete mai intervenuti, mi hai dato una risposta vaga. Quello che penso di aver capito, anche se non ne ho certezza, è che non avete gli elementi per dire che sia un bordello”.
    “Non posso darti questo genere di informazioni...” si affrettò a rispondere lui.
    “In ogni caso… MI fido ciecamente della fonte”.
    Ancora una volta, Massimo studiò il linguaggio del mio corpo. Sapevo benissimo che fosse un buon interprete del linguaggio dei segni e un abile interrogatore. Per questo mi ero preparato così tanto, in modo da non cadere in errori e tranelli. Non solo su quello da dire, ma anche su come dirlo. Fino a quel momento, non avevo sbagliato nulla; ne ero certo.
    Massimo comunque mi scrutò per qualche secondo, poi disse:
    “Ti ripeto quello che ti ho detto quando ti affidai il compito: io mi fido di te” e infine: “Ti ringrazio per il piacere che mi hai fatto”.
    Era finita?
    Era finalmente finita, ma qualcosa volevo ancora chiedergli.
    “Posso farti una domanda su questo caso?”;
    “Nei limiti del possibile…”
    “Una volta mi hai detto che in questo bordello… Che poi il termine bordello non so se sia il più adeguato… Vabbè… Mi hai detto che gira molta gente potente. Cosa intendevi?”.
    “Senti Nicolò, non posso parlare di questi argomenti con te” disse senza pensarci tanto.
    “Sai qual è il lavoro che faccio. Ufficialmente, se sapessero che ti ho chiesto di fare questa cosa, rischierei anche il posto…”
    “Eppure ti sei spinto tanto. Perché? Perché hai voluto indagare? Avevi qualche prova?”.
    “No Nicolò… E’ una cosa personale…” mi rispose con voce ora più bassa.
    “Personale? Hai detto che il problema era la gente importante che…”;
    “Sentimi bene” m’interruppe. “Che ci sia gente importante che ci giri attorno è un dato di fatto, perché alcuni personaggi noti che noi conosciamo sono stati visti dalle sue parti. In un posto del genere, è normale trovare esponenti d’élite della società civile. Ma se non siamo mai intervenuti direttamente, neppure inviando una singola squadra in borghese, è per altri motivi di cui non intendo parlarti”.
    Mi arresi. Tutto sembrava molto ingarbugliato, ma ciò che era importante per me era capire se la mia informazione fosse in contrasto con altre. Così sembrava, in parte. Ma sembrava anche che le altre informazioni fossero “deboli”. Quindi mi tranquillizzai e smisi di insistere. Anche perché Massimo non avrebbe parlato.
    “Va bene. Ma quindi il motivo personale cosa centra?”.
    Massimo sorrise: “E’ molto semplice Nicolò. Nei mei anni di servizio, mi è capitato spesso di sentire storie di abusi su minori che si sono dimostrate veritiere. Non puoi immaginare quante… Sinceramente, è una cosa che non riesco a tollerare. Ho visto tanti di quei ragazzi abusati che non sono più tornati indietro…”
    Poi mi guardò: “Non puoi immaginare l’umiliazione che questi ragazzi hanno provato o che proveranno quando capiranno”.
    Max era molto coinvolto nell’argomento e lo lasciai digredire.
    “Non potevo tollerare un altro caso del genere e ho deciso di intervenire. Non potevo farlo attraverso i canali ufficiali perché… Perché diciamo che non ne avevo le prove. Quindi ho mandato te. Sapevo che non avresti rischiato nulla…”.
    Più lo ascoltavo, più il dispiacere per quello che gli stessi facendo aumentava. Sapere che questa fosse una causa che avesse tanto preso a cuore e che gli stessi mentendo spudoratamente mi dispiaceva moltissimo. Non pensai neppure per un attimo di fare dietrofront, ma mi ero immedesimato considerando quello che succedeva realmente nel bordello. Pensai a Rigo, a Marco, a Lorenzo e a tutti gli altri che ogni giorno venivano abusati in cambio di soldi. Quanto si rendevano conto di questo? Eppure tutti potevano essere definiti ormai maturi per capirlo…
    “Sapere che non accade nulla di tutto ciò e che le voci sono infondate, mi rasserena molto” concluse.
    “Non ti facevo una persona così sensibile Max” dissi ridendo, cercando di stemperare la conversazione.
    “Ti sembra una cosa su cui scherzare?” disse lui con voce irritata. Ma sapevo benissimo che facesse solo finta.
    “No vecchio mio, intendevo dire che non pensavo avessi un lato buono” e gli feci un occhiolino.
    Massimo fece una smorfia di dissenso e poi disse: “Va bene, va bene… Direi che abbiamo finito, no?”;
    “Direi di si”;
    “Non hai altro da dirmi sull’argomento?”;
    “Non mi sembra…”
    “Ok… Se ci fosse qualcosa… Anche qualcosa che ora ti sfugge, sai che puoi avvisarmi in qualsiasi momento”.
    “Non credo Max, comunque va bene”. E tutto finì, Max riprese il suo lavoro ed io le mie faccende, com’era sempre stato prima di allora.

    Tutto tornava alla normalità, o almeno quasi. Scrissi a quello che era il mio nuovo compagno, un compagno che la mia famiglia non si sarebbe mai aspettata di vedere al mio fianco, ma che in qualche modo un amico di famiglia aveva già conosciuto. Per il momento, non avevo voglia di parlarne ai miei, ancora troppo preso dalla storia del bordello a cui ero appena uscito, e dissi a Massimo di non farne parola fino a quando non sarei stato pronto.
    Scrissi un messaggio a Nicolò, in cui dicevo di passare a prendermi e che tutto era andato come aveva previsto. Quella giornata sarebbe stata di festa.
    Dopo essere passato a fare qualche spesa, trascorremmo la mattina fino a pranzo nel mio appartamentino a Padova. Ero riuscito a trovare un bilocale a prezzo basso; i miei pagarono l’affitto completamente nei primi mesi, poi riuscì a contribuire a metà della spesa quando cominciai a lavorare per l’ufficio di Massimo. Non era un granché: aveva semplicemente una piccola cucina con tavolo cottura, la brandina in cui dormivo e, con il tavolo su cui mangiare, l’armadio e un paio di credenze, c’era appena lo spazio per passare. L’altra stanza era il bagno. Il lato positivo e fondamentale per la mia igiene mentale, era poter vivere da solo. Quindi anche quel posticino poteva bastare. Con Nicolò avremmo dovuto stringerci un po’, ma non c’era problema, sebbene lui era abituato a ben altri fasti. In ogni caso, si sarebbe fermato solo mezza giornata.
    Dopo un pomeriggio passato in giro per la città, lo accompagnai alla ferrovia e ci lasciammo con la promessa che lui avrebbe contattato Alfredo per dargli conferma di quello che era avvenuto e che io invece avrei parlato con Flavio, che tardava a farsi risentire.
    Fu inutile. Non rispondeva né ai messaggi, né alle chiamate. La cosa che sempre di più m’irritava era che si collegasse pure online. Perché faceva così? Non si rendeva conto di quanto fosse importante la cosa e di quanto fosse sgradito il suo comportamento?
    Aveva semplicemente scritto in tutta la giornata un messaggio in cui diceva che anche secondo lui era una buona idea quello che avevamo deciso di fare. Poi più nulla.
    Alle ventuno di sera passate, quando ormai ero deciso che quello sarebbe stato l’ultimo tentativo di chiamarlo, ecco che finalmente risponde al telefono.
    “Ciao Nicolò…”. La sua voce è disturbata dal traffico cittadino, inoltre il suo tono è basso e sommesso.
    “Cazzo era ora. Sono due giorni che cerco di parlare con te… Non si sente niente, si può sapere dove sei?”
    “Mi dispiace Nicolò…” una pausa.
    “Sono fuori città”.
    “Dove sei?” ridomandai.
    “Non posso esserti di aiuto, mi dispiace. Ti spiegherò un'altra volta… Ciao…”;
    “Aspetta cosa vuol dire?” domandai preoccupato. Aveva già chiuso il telefono.
    Cosa stava succedendo?
    Non demorsi e cercai di ricontattarlo. Il telefono squillava, ma non rispondeva. Ora ero sicuro che non rispondeva appositamente, ma perché?
    Perché?
    Per la prima volta, cominciai a preoccuparmi sul serio. Sentivo che c’era qualcosa che non andava: prima un Alfredo troppo calmo di fronte alle mie parole, poi i silenzi di Max alle mie domande, ora questo. Rimasi a rimuginare sul letto, poi volli parlarne con Nicolò. Lo chiamai, ma nulla. Non si connetteva sul cellulare da più di venti minuti e, anche se erano ancora le ventidue e trenta, sapevo che sarebbe andato a letto presto perché mi aveva già detto che era stanchissimo.
    E lo ero anch’io, quindi decisi di coricarmi, ancora vestito del giorno precedente.
    Senza la presenza del mio compagno affianco, passai le prime ore della notte in preda all’angoscia. I cattivi presagi mi accompagnarono nel sonno in cui caddi, un sonno pieno di incubi e che non mi riposava. A un certo punto, credetti di sentire addirittura un rumore provenire da dentro la stanza e mi svegliai.
    Era notte fonda. Mi sedetti sul letto: stavo sudando. Ero conscio che fossi solo molto ansioso per gli ultimi avvenimenti e che quei rumori fossero nella mia testa. Comunque mi alzai scalzo e mi diressi verso il bagno per potermi sciacquare la faccia e rinfrescarmi un po’. Aprì la porta e ciò che trovai mi fece sobbalzare inorridito.
    Un’ombra gigantesca era di fronte a me:
    “Ragazzino sarebbe stato meglio che non avessi visto” fece in tempo a dire, prima che io realizzassi che non si trattasse di un sogno.
    Stavo per urlare, ma qualcuno mi sorprese da dietro, coprendomi la bocca con un fazzoletto e premendo sulle narici.
    Solo gemiti incomprensibili uscirono dalla mia gola. L’uomo mi bloccava, obbligandomi a respirare quel forte odore che invase le mie narici e arrivò al cervello. E presto mi addormentai.

    -

    Intontito, sentì il rumore delle ruote sull’asfalto.
    Aprì gli occhi, ma non vidi nulla. Ero sotto una coperta, mentre sotto la mia testa ciò su cui mi appoggiavo si mosse.
    “Credo si sia svegliato” una voce che non riconobbi parlò.
    “Fai silenzio ragazzino” disse una voce poco distante, dal timbro africano. Evidentemente, il conducente dell’auto o qualcuno che l’affiancava.
    “Non ti succederà nulla, stai tranquillo. Però per ora aspetta e non dire niente”. Era nuovamente la voce più vicina a parlare, quella dell’uomo su cui la mia testa riposava. Mi accorsi solo ora che, anche volendo, non avrei potuto parlare. La mia bocca era soffocata da qualcosa di morbido e ingombrante.
    Ora che il mio corpo non era più così intorpidito, sentì che le mie mani erano legate dietro la schiena con del nastro adesivo.
    “Presto sarà tutto finito” disse un'altra voce ancora che questa volta non mi era del tutto nuova, ma che al momento non riconobbi. Quanti erano?
    L’auto procedeva senza soste. Probabilmente doveva essere molto tardi e le strade erano deserte. Dove mi stavano portando? Chi erano quei tizi?
    Qualche minuto dopo, l’auto parcheggiò, le portiere si aprirono ed io fui portato fuori a braccio, con la coperta ancora sul volto. Il tipo che mi stringeva il braccio era sicuramente alto e forte, lo percepivo dalla sua presa possente che non cercai in alcun modo di irritare, camminando a tentoni.
    Dopo che una porta si aprì, entrammo in un luogo silenzioso. Qui fui obbligato a seguire l’uomo alla cieca per le scale. Un'altra porta mi fu aperta ed io fui catapultato dentro e fatto sedere. Solo ora mi fu finalmente tolta la pesante coperta.
    Una luce accecante m’impediva la vista. La stanza era totalmente illuminata ed io non riuscivo a recuperarla subito. Notai solo che, a mio fianco, l’uomo alto e grosso indossava un passamontagna nero.
    “Ok, puoi andare. Aspettatemi fuori”.
    Era la voce fredda di Alfredo.

    -


    “Ciao Nicolò” esordì in tono calmo e compiaciuto. Era vestito come il giorno precedente. Accanto a lui, la consueta fischietta di liquore.
    “Cosa signi…”;
    “Stai zitto. Non voglio sentire una sola parola. Devi solo ascoltare quello che ho da dire e non ci saranno problemi” m’interruppe subito sempre mentendo un tono disteso ma minaccioso.
    Io, incredulo e spaventato per quello che mi stava accadendo, non riuscivo a capire e obbedì.
    Alfredo, le mani incrociate sulla scrivania, sorrise sornione, padrone della situazione.
    “Realmente, cosa credevi di poter fare?” disse sghignazzando.
    “Nicolo… Oh Nicolò…” e scosse la testa. Mi prendeva in giro.
    “Sei venuto qui, hai espresso le tue condizioni ragionevoli… Ma tu non hai capito con chi stai parlando” disse gesticolando con la mano sinistra.
    “Ora… Ascoltami bene… Hai fatto un grosso errore, ma, ti ripeto, i grandi uomini danno una seconda possibilità alle persone, sapendo che non ce ne sarà una terza”. Alfredo si permetteva anche di filosofeggiare.
    “Quando sei andato via così domenica, per un attimo, lo ammetto, ti ho quasi temuto. Certo, in realtà sapevo fossi impotente però… Ammetto che sei uscito di scena con le palle” si fermò e mi guardò per capire quale fosse la mia reazione alle sue parole. Appositamente, anche in una situazione grave e tragica come quella, si permise di mettere della suspense tra noi. Non mi temette un giorno della sua vita.
    “Poi sei tornato e mi hai minacciato di denunciarmi se non avessi accettato le tue condizioni… Ecco… A proposito delle tue condizioni, volevo farti sapere che non le accetto” e sorrise.
    Dopo l’iniziale terrore, tutta quella pantomima, tipica del suo ego che ben conoscevo, destarono nuovamente in me un senso di annichilimento verso la pochezza che quella persona m’infondeva nell’animo. Ero spaventato si, perché ero stato sequestrato ed ero solo, ma in tutti quei momenti in cui parlava, mi distraeva l’astio che provavo nei suoi confronti. E in quei momenti non lo temevo.
    “Ascoltami bene” ripete ancora una volta: “Devi ascoltarmi molto bene… Questo è quello che succederà…” si fermò perché aveva notato che avessi alzato la mano, come un alunno che voleva porre una domanda.
    “Si?” mi diede il permesso.
    “Dopo quello che mi hai fatto, l’unica cosa che puoi fare è uccidermi perché io ti denuncerò senz…”;
    “Smettila Nicolò… Basta ti prego…” m’interruppe ancora una volta lagnandosi: “Basta no? Sei ridicolo”. Nel suo tono non c’era alcuna considerazione. Capì, ora più che mai, senza sapere perché, che ancora una volta ero completamente nelle sue mani.
    “Ma ancora non ti rendi conto di quanto sei stupido?” e dicendolo si alzò in piedi e mi venne vicino.
    “Secondo te, perché nessuno ha mai indagato su di me? Perché nessuno mi hai mai denunciato? Lo capisci questo?”.
    Non risposi. Non sapevo perché.
    Avvicinò il suo viso al mio, mettendomi i suoi baffi a pochi centimetri dagli occhi e la bocca sul naso, tanto da sentire il fetore del suo alito.
    “Non sei l’unico informatore della polizia”.
    Rimasi sbalordito.
    Pensai e ripensai di chi stesse parlando, ma mi lesse nella mente: “Nessuno ti ha tradito. I miei informatori non sono piccoli topi come te… Pensavi che io non sapessi nulla di te? Che non mi fossi informato su di te, per chi lavori, eccetera eccetera, dopo che ti sei presentato qui?” disse lui allontanandosi da me e camminando per la stanza con le mani dietro la schiena.
    “L’ispettore Massimo Meggi. Un amico di famiglia. Tu? Un inserviente”.
    Non avevo parole, ero completamente frastornato e dimenticai di non avere il permesso di parlare.
    “Chi? Come lo sai?”
    “Oh caro Nicolò… Io so tutto. So tutto dei miei ragazzi. Tu eri un mio ragazzo, un po’ speciale, ma sempre un mio ragazzo”.
    Stetti in silenzio, senza più il coraggio di intervenire. Cosa ancora avrebbe potuto rivelarmi su di me?
    “Sei veramente un ingenuo a non capire… Non ci girerò intorno, perché a quanto sembra non ci arrivi. I miei informatori… Le mie informazioni provengono da dentro… Dalla polizia”.
    Mi sentì crollare il mondo addosso. Chi era veramente Alfredo? Finora si era presentato come uno squallido uomo perverso e approfittatore. Ma la sua follia era più grande. Comprendeva davvero un sistema così profondo? Con informatori e uomini che lavoravano per lui? Cosi pareva. Chi era davvero Alfredo?
    “Un lavoro così rischioso e tu pensi che faccia entrare tutti così? Ho sospettato subito di te… Un ragazzo che lavorava come inserviente per un uomo che non fa parte della mia rete. Eri fin troppo sospetto”
    Alfredo parlava assorto, come se il pubblico pendesse dalle sue labbra.
    “Eppure hai deciso di lavorare per me e di sposare la mia causa. Non sapevo cosa pensare. Non ho parole, te ne do atto. Ti sei spinto moltissimo per incastrarmi. Non sapevo che avrebbero potuto offrire bustarelle così elevate a un ragazzo… Ne valeva davvero la pena?”.
    Era questo dunque che pensava. Nessuno effettivamente avrebbe potuto credere alla mia irrazionale ragione. Era impossibile credere che un ragazzo si fosse prostituito per scoprire qualcosa di più su di se. Questo ero io.
    “Quello che non capisci, Nicolò, è l’entità del mio potere di cui non hai sospettato niente. E per questo penso che… Tu sia veramente molto ingenuo” e sorrise compiaciuto.
    Non dissi niente, perché aveva ragione. Pensavo effettivamente che fosse uno stupido. Non avrei creduto che invece sapesse perfettamente cosa facesse. Lavorava solo da due anni a Quinto, ma prima? Questo era un mistero.
    Alfredo si sedette davanti a me.
    “Cosa dovrei fare con te?”;
    Mi stava facendo una domanda? Non era possibile.
    “Questo ho pensato. Cosa fare con uno stupido che ha cercato di incastrarmi?” e guardò un attimo sopra di sé tenendosi il mento tra le dita della mano destra, come se ci stesse pensando in quel momento.
    “Ho pensato che per quanto sei stato ingenuo, hai avuto coraggio. Hai cercato di confonderti nell’ambiente e ci sei riuscito benissimo…” sorrise beatamente di nuovo: “Sai cosa c’è di incredibile? Che te, Nicolò, avevi veramente qualcosa. Non ti ho mentito al riguardo quella volta”.
    Stetti ad ascoltare, cercando di capire dove voleva arrivare.
    “Eri bello, affascinante e mi dissero che ci sapevi davvero fare”.
    Distolsi lo sguardo. Non volevolevo ricordare più.
    “Inoltre, eri un informatore”. Si stiracchiò e disse: “Un vecchio saggio diceva: gli amici vicini e i nemici ancora più vicini” e rise divertito. Poi smise:
    “D’ora in avanti, tu sarai un mio informatore”.
    “Vuoi che indaghi per te?” intervenni stupito;
    “Ma che indagare! Tu sarai i miei occhi e le mie orecchie, uno dei tanti. Niente di difficile, no? Ovviamente non finisce qui. Tu ricomincerai a lavorare per me; la mia squadra ha bisogno di te”
    Non potevo crederci. Era pazzo? Essere informatore e lavorare anche per la sua squadra? Non poteva dire sul serio.
    “Non sai cosa stai dicendo” dissi con rinnovato orgoglio. Per un attimo, Alfredo perse la calma a causa della mancanza di rispetto, che sempre mal tollerava; ma si quietò subito. Il suo tono però cambiò totalmente:
    “Ora te lo dirò chiaramente: sarai mio informatore e sarai un mio ragazzo. Se ti rifiuterai, se proverai solo a dire una parola alla polizia, o solo lo penserai, io verrò a saperlo. Quello che succederà a te, alla tua famiglia, al tuo cane, al tuo nuovo ragazzo Nicolò, so anche questo, agli altri ragazzi, alle loro famiglie, ai loro animali e così via, non puoi nemmeno immaginarlo. Te lo ripeto un’ultima volta: io ho complete informazioni su tutti voi. Non è la prima volta che qualcuno prova a mettermi il bastone tra le ruote. Prima di accorgersi veramente chi sono io, è già troppo tardi”
    Rimasi paralizzato dalla paura. Era vero, sapeva tutto. Era un uomo molto pericoloso e io mi ero messo inconsapevolmente nelle sue mani. Che ne sarebbe stato di me?
    “Tu Nicolò sei fortunato. Ho deciso di premiarti. Perché so che mi sarai molto utile qui”.
    Non dissi niente, mi limitai a fissare il pavimento.
    “Domani apriremo regolarmente, ma tu non ci sarai. Ho un compito da assegnarti, puoi portarti Nicolò con te. Anche lui dovrà riprendere l’attività, puoi comunicarglielo tu… Comunque gli parlerò anch’io” e smise di parlare perché quest’ultima affermazione sembrava averlo divertito parecchio.
    Quindi non solo io avrei dovuto pagare, ma anche Nicolò cui l’unica colpa era quella d'essere mio amico, prima che mio fidanzato. Ora eravamo nella stessa barca e stavamo affondando.
    “Ecco cosa farete” proseguì lui: “Purtroppo, anche a causa tua, ho perso alcuni ragazzi… Flavio e Marco, che devono essere rimpiazzati. Poi, per altri motivi, non lavoreranno più con noi Kevin e Rigo. Anche loro devono essere rimpiazzati. C’è un problema con Francesco. Lui vuole chiudere, ma non sono d’accordo… Mi serve”.
    Alfredo mi parlava come nulla fosse, come se non stesse accadendo nulla di insolito e come se tutti questi ragazzi fossero nient’altro che la sua merce, ma anche mio problema.
    “Ecco quindi cosa dovrai fare: mi porterai quattro nuovi ragazzi e dovrai convincere Francesco a tornare. Hai una settimana di tempo da cui sei giustificato per assenza nelle prossime quattro serate al bordello a partire da domani. Ah…” e sobbalzò come se avesse dimenticato qualcosa di importante: “Li voglio tutti con meno di diciotto anni”.
    “Minorenni?” dissi istintivamente. Ancora? Non aveva imparato nulla?
    Un sorriso largo e sinistro si stampò sul suo viso: “Tu ancora non hai capito, vero? Perché secondo te voglio assolutamente Francesco? Te lo dico chiaro: i minorenni sono la mia maggiore fonte di guadagno. Dover rinunciare a Marco è già una perdita sanguinosissima. Ma ho promesso e sono un uomo di parola. Ma non intendo perdere Francesco”.
    Non avevo parole. Alfredo era un pazzo, ma anche un genio del male, forse su scala ridotta, ma lo era. La tratta della prostituzione minorile della provincia e chissà cos’altro, era sua.
    “Vedi…” continuò ancora: “Quando ho scelto te, l’ho fatto perché eri incredibile. Vent’anni ok, ma che ragazzo… Non ho vergogna ad ammetterlo. Ho pensato saresti stato molto apprezzato e così è stato. Non mi sbaglio mai”.
    “No”.
    “Come?” domandò lui.
    “Non lo farò” dissi orgogliosamente, sperando in non so cosa.
    Alfredo sospirò e si alzò verso uno scaffale.
    “Nicolò, perché vuoi rendere le cose più difficili?” aveva preso il suo laptop. Lo aprì e si accese, era solo in stand by. Lo portò alla scrivania e sedette nuovamente.
    “Allora… Quale vuoi vedere?” chiese distrattamente.
    “Di che cosa parli?” chiesi ignaro.
    “Ecco… Guarda qui” e clicco due volte su un file. D’improvviso sobbalzai. L’audio era al massimo e si udivano due voci animalesche che riconobbi. Ebbi un brivido sulla schiena.
    Alfredo girò lo schermo.
    Da una telecamera nascosta posizionata in alto a destra si vedevano inquadrate alcune persone. Ad attirare l’attenzione erano due di loro, intente a scoparsi. La telecamera era collegata alle cimici, quindi anche l’audio era nitido. Le due persone si trovavano una sopra l’altra su una seggiola. Quello più grande, stava animalescamente cavalcando quello più piccolo. Il primo ero io, il secondo era Vincenzo, un ragazzino di quindici anni.
    Mi sentì mancare la terra sotto i piedi: io ero li, ma staccai la spina al cervello.
    “Bello vero? Davvero eccitante” disse sorridendo: “Guarda…” rimise lo schermo dalla sua parte e chiuse il video: “Ne ho altri anche della stessa serata” e cliccò ancora perché altre voci concitate squarciarono il silenzio. Mi girò il laptop e vidi che questa volta ero presente. Mi trovavo in bagno con un altro ragazzino, Lorenzo, di quattordici anni, dentro la vasca. E quella sostanza non era acqua, bensì piscio.
    “Ne ho altri di altre sere su altre camere, gli vuoi vedere?” domandò compiaciuto.
    Dunque era così, ero completamente fottuto. In ogni stanza, in ogni bagno, c’erano microspie e cimici nascoste, per di più con auricolare e io non mi ero mai accorto di nulla. Tutto quello che avevo fatto lì era stato registrato e chissà quanti file aveva nascosto in giro, anche lontano, a casa sua, nel web, nelle mail… Completamente fottuto.
    La prova schiacciante del fatto di essermi prostituito, di sapere che lavoravano dei minorenni era lì. Il fatto che ci avessi fatto l’amore era lì. E inoltre, tutto ciò che io dissi, tutte le mie perversioni erano lì. Ed ero convinto non fosse tutto.
    “Voglio farti vedere un’altra cosa ancora… Sai che anche nel mio ufficio... Aspetta… Ti prendo il punto preciso… Ecco…”.
    Un video partì, ma non mi fu mostrato, non c’era bisogno.
    “E invece tu quanto vorresti per il tuo silenzio?” disse la voce di Alfredo da dentro il computer.
    Suspense.
    “Trenta mila euro” rispondevo.
    E con questo ero finito.
    “Oh guarda… E questo? Lo riconosci?” Alfredo gira nuovamente lo schermo. Questa volta la scena mi era nuova: “A volte me lo riguardo perché penso che avrei voluto esserci anch’io”.
    Quattro voci ululanti riempirono la stanza, guardai il video: un giovane sulla ventina che riconobbi immediatamente e tre uomini molto anziani, tra i settanta e gli ottant’anni erano tutti presi a scoparselo. Due dei vecchi erano ai suoi fianchi e il ragazzo teneva un membro per mano e gli segava mentre veniva penetrato seduto su un altro vecchio, disteso supino sul tappeto. Nicolò, il mio ragazzo, era seduto completamente su di lui, con i piedi affossati nelle cosce. Come io e lui poco più di ventiquattro ore prima. Occhi sbarrati, gemeva più forte di tutti e tre gli anziani messi insieme. Sembrava godere particolarmente.
    “Cosa ne dici lo guardiamo per un po’? Dopo tutto, siamo cotti di lui entrambi” disse ridendo sotto i baffi. Poi spense il computer e lo pose lontano dalla scrivania.
    “Ne ho per tutti, non ti preoccupare, chi più chi meno. Se entro una settimana non avrò Francesco e altri quattro ragazzi minorenni di mio piacimento, questi video finiranno in rete e provvederò io stesso a renderli virali… Direi un video a testa per ogni ragazzo che non mi porterete, che ne dici?”
    Non dicevo nulla. Per la prima volta capì che per me non c’era più vita. Per Nicolò, che stava con me, non ce n’era.
    “Va bene…” dissi deglutendo, cercando di trattenere le lacrime.
    “Posso farti una domanda?” chiesi a bassa voce, con tutta la gentilezza che potevo.
    “Certo Nicolò, dimmi” rispose cordialmente Alfredo. Il puledro, che ero io, era stato domato.
    “Cosa ne è di Flavio e gli altri?”.
    “Flavio ha fatto la sua scelta… Condivisibile ma opinabile… Ha capito che non si può mettersi contro di me. E’ stato più intelligente di te. Abbiamo trovato un compromesso: il suo silenzio e quello di Marco, per la mia protezione su quest’ultimo. Flavio invece ha deciso di lascare la città, scelta sua…”
    Ecco dunque cos’era successo. Non avevo ragioni per non credergli.
    “Rigo se ne parlava da un po’. La nostra collaborazione è terminata. E’ stato redditizio a suo tempo, specialmente all’inizio, ma ultimamente non mi è piaciuta la sua crescita fisica; ho percepito che stava mettendo troppi muscoli e infatti stava diventando meno richiesto. Quindi, è meglio così. Per Kevin invece le cose sono andate bene. Ora è il ragazzo di Alessandro che non vuole, giustamente, che sia più scopato dagli altri. Cosa ne pensi? Giusto no?” e rise. Ricordava benissimo, invece, che aveva deciso un diverso destino per Nicolò e me.
    “Cos’è quell’aria abbattuta?” mi disse con voce modulata a modalità lattante: “Nicolò dovresti essere fiero di tutto ciò. Non capisci? Tu sei, per certi versi, il ragazzo più importante della squadra. Sei il selezionatore, sarai il ragazzo più vicino a me… Gli amici vicini, i nemici ancora di più… Ti metterai nei miei panni, per capire cosa significa. Che cambiamento no? Da vittima a carnefice” e rise ancora una volta.
    “E per motivarti di più nella ricerca di questi ragazzi. Ti darò, sia a te sia a Nicolò, duecento euro per ogni ragazzo trovato e che io, dopo aver esaminato, accetterò. Come se stessi lavorando qui. Ottimo vero?”
    “Abbiamo finito?” chiesi con gentilezza, sempre più disperato.
    Il volto di Alfredo si rabbuiò: “No, Nicolò lo dico io quando abbiamo finito. C’è un ultima cosa che ti devo dire, poi puoi andare a casa, anzi ti accompagneranno i miei ragazzi che ti hanno disturbato senza preavviso in tarda notte” e scoppiò a ridere.
    Certo che questa serata era stata per Alfredo meglio di un film comico. Con il sottoscritto protagonista indiscusso.
    “Direi che fino ad adesso ti ho praticamente solo premiato non lo pensi?”.
    Non dissi nulla.
    “Però vedi… Io non vorrei, ma è una questione di regole… Tu hai cercato di tradirmi e questo non va bene. Sono un uomo ragionevole e abbiamo trovato un accordo per essere ricompensato del danno che mi hai causato però…” prese fiato e disse: “Come mio informatore e mio dipendente… Nei confronti degli altri, devo darti una punizione”.
    Cosa? Cosa ancora?
    “Non io Nicolò. Io sono soddisfatto, mi hai fatto così divertire con la tua compagnia stanotte” e rise per l’ultima volta. Si alzò e aprì la porta:
    “Ti voglio presentare alcuni miei amici, alzati su… Potete entrare!”.
    I quattro energumeni che mi avevano portato sino a li fecero nuovamente la loro scomparsa, tutti e quattro mascherati di nero.
    Uno di loro, il più grosso, parlò e mi rivolse la parola sogghignando: “Ciao Nicolò, come va?”
    Non lo riconobbi subito da sotto il passamontagna. Quando lo feci, mi sentì svenire.
    “Non lo malmenare questa volta. Mi serve” disse con tutt’altro tono di voce Alfredo. Era tornato serio: “E anche voi”.
    Si rivolse verso gli altri, poi si accinse a lasciare l’ufficio.
    “Io vado a casa. Quando avete terminato, riportatelo dove vive”.
    Quando Alfredo si fu allontanato, tre di loro mi circondarono, uno era Alessandro. Io, che mi ero alzato come ordinato da Alfredo quando erano entrati, indietreggiai leggermente, spaventato fino al midollo da quei tre che mi recintavano con i loro centimetri. Inoltre, erano uno più corpulento dell’altro. Il quarto invece si sedette al posto di Alfredo, appoggiando le gambe sulla scrivania.
    “Dove eravamo rimasti?” disse Alessandro. Anche dietro la maschera, si poteva osservare il suo sorriso folle.
    “Se farai come ti diciamo, non ti faremo male” promise. Ma non c’era da crederli:
    “Spogliati” ordinò.
    Non ci pensai minimamente a fare resistenza: scappare era inutile e la mia unica, utopica speranza era credere che fare tutto quello che mi avessero chiesto sarebbe servito.
    Mi preparavo ad essere violentato, ancora una volta e con la sensazione che non sarebbe più finita.
    Piano piano, cominciai a togliermi tutti gli indumenti e appoggiarli alla sedia.
    “Non intendi partecipare Jack?” chiese uno degli altri al tipo seduto al posto di Alfredo.
    “Non mi interessa” rispose. Stava cercando di rilassarsi con gli occhi chiusi ed era completamente avulso dalla situazione.
    Quando fui completamente nudo, fui portato sbrigativamente al divano color canarino adiacente alla parete dell’ufficio. Mi fecero mettere a quattro zampe e subito Alessandro mi penetrò con il suo grosso dito indice. Sussultai vistosamente per il dolore. Come tipico di Alessandro, mi penetrò senza rispetto.
    Uno degli altri due uomini, che si era tolto le scarpe da ginnastica ed era rimasto in calzini, salì sul divano e mise il suo membro davanti alla mia bocca. L’uomo, di pelle nera, non era il più grosso, ma sicuramente il più alto dei quattro. Sfiorava i due metri o forse gli superava. Ciò che invece era certo era la grandezza spaventosa del suo membro: meno spesso di quello di Alessandro, ma anche più lungo. E fu in bocca.
    Voleva entrarmi più possibile, ma io, che non ero neanche particolarmente bravo a ingoiare, non riuscivo a tenerne neanche la metà. Per il bene della mia integrità fisica e dei miei polmoni, respingevo i suoi tentativi di entrarmi tutto allontanando il ventre con le mani, in modo che ne entrasse solo una parte. Mi impegnavo a soddisfarlo, in modo che si accontentasse. Succhiavo con ardore, sputavo sopra la cappella, leccavo asta e testicoli, cercando di farmi apprezzare.
    “Questo ragazzo è una noia, dai facciamo cambio” commentò. Quindi Alessandro smise di penetrarmi con il dito e passò avanti, mentre l’energumeno nero si mise dall’altra parte.
    Alessandro che, neanche a dirlo, era meno disponibile del nero, m’infilò il suo enorme membro e non sentì ragioni; dallo spessore sconsiderato mi arrivò in gola, facendomi rantolare. Non mi bada e continua. Quindi ingoio e tossisco quando la cappella colpisce la parte superiore della mia bocca. Come se non bastasse, da dietro mi sentì infilare in un sol colpo.
    Un cazzo di circa venticinque centimetri, in un sol colpo.
    Volli urlare, ma Alessandro mi teneva su di se. Volli divincolarmi ma la presa sui fianchi del nero e le sue battute erano troppo forti. Dunque, io, Nicolò, un ragazzo di un metro e ottanta abbondanti, ero solo un piccolo oggetto rispetto agli altri due. E la qualità di questo oggetto era essere un giocattolo sessuale.
    Sia Alessandro che il nero cominciavano a essere soddisfatti. Dopo qualche momento di assestamento, dove pensai addirittura di morire o soffocato o dalla fatica o a causa delle battute impetuose, anche se il mio corpo era tutti un fremito e tutto contratto dalla testa ai piedi, cominciai ad abituarmi. Il cazzo del nero mi penetrava profondamente con tutti i suoi centimetri, ma adesso che il mio sedere e le mie gambe si erano un po’ intorpidite, ne trassi quasi piacere. Meno dal membro di Alessandro, che però ora contenevo con mia grande sorpresa. A furia di ingoiare, avevo imparato a riceverlo fino in gola. A volte, Alessandro lo teneva tutto dentro e io resistevo anche qualche secondo. Quando usciva, il suo pene era ricoperto da bave colanti su tutti i suoi centimetri.
    Fu allora che pensai che l’unico modo per sopravvivere a tutto questo era lasciarsi trasportare.
    Ebbene si; decisi di godere di quello stupro.
    “Mmm… Questo ragazzo è proprio un amore” disse il quarto degli uomini di Alfredo. L’unico finora sempre silente. Meno alto e meno grosso degli altri, sembrava possedere un carattere più femmineo. Si distese sotto il mio membro e cominciò a trangugiarlo con la lingua.
    “Mmmm…” continuava a ripetere senza vergogna, leccando la mia asta orizzontalmente e mordicchiandomi i testicoli. Pareva il più gentile dei tre. Ora erano tre i perfetti sconosciuti mascherati che abusavano di me. Gli stavo soddisfando, con tutti i miei orifizi.
    Continuarono così per un po’, infischiandosi tutti di quanto faticoso fosse per me anche solo rimanere in equilibrio a quattro zampe con loro tre che facevano i loro sporci comodi. Il tipo sotto di me aveva già preso a ingoiare da un pezzo, quando Alessandro prese a spogliarsi completamente, ancora con il suo membro nella mia gola e tenendo solo la maschera. Per gli altri due, fu il segnale di time out.
    “Io vado ad aspettare in auto, vedete di non metterci troppo. E trattatelo bene quel povero ragazzino” Jack salutava i compagni e usciva di scena.
    Alessandro agitato mi fa alzare, si mette sotto di me e mi prende per i fianchi buttandomi su di lui. Scivolo e casco sopra il petto di pietra.
    “Scusa…” dico spaventato. Ma non era necessario; Alessandro non s’era neppure accorto.
    In un battito di ciglia è già dentro. Mi sistemo seduto più comodo possibile, con le gambe allargate e la punta dell’alluce che sfiora il freddo pavimento. Alessandro mi batte con grande impeto e i suoi enormi testicoli tamburellano sulle mie natiche, mente il mio sbatte sull’addome. Abituato al cazzo del nero, godo anche a quello di Alessandro e gemo vistosamente.
    Alessandro aumenta la frequenza delle penetrazioni; chiudo gli occhi e mi lascio andare in gemiti sommessi. Con la mano destra arricciata mi tengo malamente sul fodero del divano, mentre il mio braccio sinistro è attorno al collo di Alessandro. Questo, con la testa sotto la mia ascella sudata sorride assatanato e lecca le gocce scendere dallo scaggio sul mio petto e sul capezzolo. Intanto, il nero e l’altro si sono spogliati, tenendo anche loro solo il passamontagna. Il tipo bianco sale sul divano e cammina verso di noi, arrivando con il membro a pochi centimetri dal mio viso.
    Non aspetto neppure che mi dia istruzioni: lo prendo e lo infilo in bocca, cominciando un veloce pompino. Il cazzo non è particolarmente grande né grosso, ma rimango nauseato quando le mie papille ne percepiscono il gusto. Ha un sapore incredibilmente acido, mentre l’odore è fortissimo, di sperma e sudore. Sono costretto a lasciarlo perché un conato di vomito mi sale su. Dopo stringo i denti e lo rimetto in bocca: fa veramente schifo.
    Non demordo e continuo a tenerlo in bocca, sperando di abituarmi. Anche il tipo si aggrappa con le mani sulla mia testa e me lo tiene conficcato. Respiro solo odore acre e sono costretto a ingoiare un sapore che annullava la mia lingua per quanto forte fosse. Mi concentro e chiudo gli occhi: con la mano destro lo sego, sperando arrivi veloce, mentre salgo con i piedi sulle cosce granitiche di Alessandro. Ora sono completamente sopra di lui.
    I due godono molto soddisfatti e non si limitano a questo, ma lo manifestano:
    “Bravo, bravo mmm…” fa il tizio in piedi sul divano: “Ma quant’è bravo?”;
    “Bravo si…” interviene a sorpresa Alessandro: “Oggi si, veramente bravo”.
    Volevo dire “grazie” ad Alessandro, ma la mia bocca era occupata e sapevo che non sarebbe stata gradita una mia pausa neppure per un secondo. Allora, mi staccai per un attimo dal pene del tizio e cercai la bocca di Alessandro. Lui accettò l’incontro e venne verso di me. Ci baciammo, una, due, tre volte con tanto di lingua.
    Rimasi estasiato ed esterrefatto. Mi sembrava di essere tornati al momento in cui lo avevo visto fare l’amore con Kevin e l’avevo trovato fantastico. Ora ero io al posto di Kevin e mi piaceva da matti. Mi piaceva essere in quella situazione, tra uomini virili che mi volevano fottere. Non mi era mai successo, ora lo realizzai. Era la mia prima gang bang.
    Tornai sul membro del tipo, in modo che non si spazientisse per la situazione, anche se io preferivo di gran lunga limonare Alessandro. Arrivò anche il nero: anch’egli salì sul divano, e si mise nel poco spazio disponibile. Ora ero sopra ad Alessandro con il tipo bianco alla mia destra e il nero a sinistra. Mi feci stretto stretto e presi entrambi i membri, uno per mano, succhiando un po’ l’uno e un po’ l’altro.
    Ero in folle estasi. Chiuso tra tre giganti, ci avevo preso gusto. Fu così anche per loro, perché fu una gara per avermi. Prima mi fecero mettere a novanta con le mani sul muro. Poi, uno dopo l’altro, mi sbatterono li venendomi tutti dentro.
    Il primo fu Alessandro, con il suo grosso e spesso cazzo. Non poté fare a meno di schiacciarmi sul muro. Il secondo fu il tizio bianco, che invece mi rimise a novanta riempendomi di sdolcinati complimenti e baciandomi e leccando le spalle e la schiena. Infine il tizio nero, che per quanto fosse lungo il suo membro pensai mi avesse schizzato lo sperma nello stomaco. Quando finiva uno, entrava l’altro. Presto il mio sedere fu l’epicentro di lunghe colate di sperma, che scendevano lentamente sulle mie cosce fino ai polpacci. Molte gocce caddero sul pavimento di marmo.
    “Alfredo non sarebbe contento di trovare tutto questo lo sai Nicolò? Sai cosa devi fare” ordinò Alessandro.
    Allora m’inginocchiai sul pavimento, appoggiai le mani a terra e cominciai a pulire con la lingua. E così leccai i grumi di sperma.
    “Sei proprio uno sporcaccione!” disse il tizio bianco;
    “Faccio solo quello che mi dite” risposi educato per poi finire il mio lavoro.
    “Esattamente! Bravo, mi piaci sempre di più!” esclamò ancora lui. “Farebbe qualsiasi cosa gli ordinassimo. Cosa potremo fargli fare?” chiese rivolto agli altri due.
    Rimasi in attesa, ancora inginocchiato nudo sul pavimento, lo sguardo assente. Aspettavo il prossimo desiderio da esaudire e intanto rifiatavo un po’.
    “Non me ne frega un cazzo. Voglio solo scoparmelo” disse il nero.
    “Si, hai ragione” confermò Alessandro: “Ma il divano è scomodo e non voglio sbatterlo sul pavimento”
    “Mettiamo la coperta!” disse il tizio bianco.
    “Non cambierebbe un cazzo!” aggiunse il nero: “Ci penso io, vado a prendere un materasso!” e uscì dall’ufficio.
    “Beh, intanto che aspettiamo…” fa il bianco avvicinandosi ciondolante a me, fino a che il suo membro non mi fu a pochi centimetri. Alessandro fece lo stesso, posizionandosi a destra. Quindi presi a menarli e leccarli un po’ ciascuno, ancora in quella dolorosissima posizione in ginocchio.
    Ingoiavo prima Alessandro, poi, quando ero certo di avere il sapore del suo membro ben consolidato nelle papille, passavo a quello disgustoso del tizio bianco, che però dopo poco mi copriva con il suo nauseante sapore e odore.
    Fortunatamente, dopo poco arrivò il tizio nero che trascinava con se un materasso. Lo piegò per farlo entrare dalla porta e infine lo spinse vicino a me.
    Come un lampo fu sopra: “Su!” mi ordina famelico.
    Come prima con Alessandro, mi posizionai seduto sopra di lui, non prima di essere penetrato per l’ennesima volta. Anche lui era seduto, esattamente come me e Alessandro sul divano, con l’impercettibile differenza che ora le mie gambe erano piegate sul materasso e poggiavo i piedi su di esso. Per la seconda volta venivo sbattuto dal tizio nero; essere su di lui, mi faceva sentire piccolo piccolo. Stavo dentro le sue braccia, il suo corpo caldo e forte mi copriva con il suo odore potente e maschile. Essere posseduto da lui mi piacque. I suoi testicoli sbattevano vivacemente sulle mie natiche, le nostre lingue ora s’intrecciavano nelle nostre bocche con passione. Con una mano, la destra, mi teneva il pene in tiro e me lo segava.
    L’altro tipo non rimase indifferente e si sedette davanti a me. Smisi di limonare e lo guardai per capire cosa volesse fare. Il nero allora si mise a succhiarmi il collo a sinistra e io lo accompagnai godurioso accarezzandogli il viso con la mano destra.
    “Puoi metterti anche così guarda…” e prese le mie caviglie facendomi incrociare le gambe sul materasso.
    “Vedi?” disse sorridente e mi accarezzò le cosce delicatamente. Da lì potei osservarlo meglio, anche da mascherato. Doveva avere circa quarantacinque anni. Non doveva essere molto attraente; la testa era piena di stempiature, la pelle grinzosa, il fisico magro ma potente. S’intravedevano baffetti e pizzetto. Più lo guardavo e più mi rendevo conto che c’entrasse poco con gli altri da un punto di vista fisico, e allora perché era con loro?
    S’inginocchiò come in preghiera, prese il mio membro e cominciò ad ingoiarlo.
    “Vieni se vuoi” disse. Ma io in realtà ero lontano dal venire.
    “Accarezzami la testa” ordinò tra una leccata e l’altra. Così feci: cominciai a passargli la mano sinistra sulla testa chiazzata, tutto questo mentre continuavo a essere sbattuto dal tizio nero.
    Mentre ingoia, il tipo fa rumori acquosi rumorosissimi: lo sento cercare ingordo. Sento la sua lingua infilarsi nella cappella.
    “Mmm… Quanto vorrei averlo tutto per me…” e si alzò da quella posizione, avvicinando la sua testa alla mia.
    “Non vorrei condividerti con gli altri” mi sussurrò tenendomi dietro i capelli. Lo guardavo con occhi languidi, tenendo le labbra semi aperte.
    “Sei così bello” disse godurioso.
    “Anche tu…” risposi falsamente.
    “Chiamami Teodoro” disse coinvolto.
    “Va bene… Teodoro” e mi baciò infilandomi la lingua in gola. Quindi baciai anche l’ultimo uomo che mi mancava.
    Il tizio nero non smetteva mai di fottermi, anche se ora, a causa di Teodoro, era costretto a procedere più lentamente. Quest’ultimo invece si stringe a me, in modo che il suo pene e il mio potessero rimanere attaccati e sfregarsi l’uno sull’altro.
    Come per tutto il resto, subivo in silenzio qualsiasi cosa volessero, senza mai fiatare. La realtà era che avevo deciso da tempo ormai di lasciarmi fare, ma da un po’ provavo un eccitazione convulsa a essere il loro schiavo.
    Teodoro continuava a sfregarsi e limonarmi, il tizio nero a fottermi e succhiarmi il collo. Stretto tra la morsa dei due, gemevo sommessamente.
    Teodoro, che più passava il tempo, più mi sembrava il più squilibrato, a un certo momento si staccò, mi prese i piedi e cominciò a leccarmeli per poi passarseli attorno al cazzo e cominciare a segarsi sempre più rapidamente.
    Ma la mia bocca non rimase libera a lungo, perché ben presto Alessandro, dopo essersi fiondato sui miei pettorali, succhiandomi i capezzoli come se aspettasse che uscisse latte, mi baciò. Anch’io risposi al bacio, contento di riavere il suo sapore, piuttosto che quello fetido di Teodoro.
    “Ahh!” alla fine Teodoro venne così, semplicemente segandosi con le piante dei miei piedi e ungendoli tutti di sperma.
    Stanco e soddisfatto, si alza e prende una sigaretta, spostandosi verso la finestra.
    “Ragazzi Jack è stufo di aspettare! Vedrete che fra un po’ comincia a suonare… Vedete di accelerare”
    “Stai zitto” fa Alessandro: “Non sono ancora soddisfatto”.
    I due mi prendono in braccio insieme: mi sento una piuma. Il tizio nero è ancora dentro di me e mi tiene i fianchi, mentre Alessandro mi tiene i femorali e io sono aggrappato al suo collo. Con le gambe incrocio le cosce attorno ai suoi fianchi, fissandomi con i piedi sulle sue. Si spostano nuovamente fuori dal materasso, calpestando il pavimento. Io sono a mezz’aria rannicchiato tra i loro addomi: il mio pene è proprio al di sopra di quello di Alessandro, con la sua punta sulla mia base. Ma in realtà, Alessandro faceva solo da appoggio. In questo modo, il tizio nero poteva fottermi senza sforzi e sempre più animalescamente.
    “Aaah!” urlavo selvaggiamente di piacere misto a fatica, mentre il membro mi penetrava in profondità. Il mio addome contorto dagli spasmi, le braccia e gambe contratte su Alessandro. Questo sorrideva a trentadue denti; era contento di sentirmi fremere su di lui.
    Un getto incandescente mi invase il retto e accompagnai le mie emozioni con gemiti sguaiati.
    Come aveva profetizzato Teodoro, il clacson suonò per alcuni secondi. Jack era stufo.
    “Che rompicoglioni” fa Alessandro. Il tizio nero mi mette a terra uscendo da me. Un suono di stappo si ode comicamente e dal sedere esce immediatamente un filone di sperma.
    Alessandro mi fa inginocchiare sul pavimento e mi tiene la mano sinistra sopra la nuca. Si sega qualche decina di secondi, poi mi viene, tra i gemiti, schizzandomi sugli occhi. Infine, se ne va.
    “Mangia tutto veloce, anche quello che ti è caduto per terra” ordinò dandomi le spalle e camminando verso i due compagni, tutti ancora completamente nudi.
    Ovviamente eseguo. Prima mi pulisco la faccia e il mento con le mani, ingoiando lo sperma caldo dalle dita, poi lecco quello suo e del tizio nero caduti per terra.
    Alessandro non mi guarda neanche; l’importante per lui era solo che eseguissi gli ordini. Sento che confabula con gli altri due. Poi si danno un segno di assenso con il capo e vengono attorno a me.
    “Ho terminato. Pulito tutto” dico io nuovamente in ginocchio, guardandoli in volto in attesa di altre istruzioni.
    “Molto bravo” commenta Alessandro. Poi guarda gli altri e dice: “Pronti?”.
    Tutti e tre fanno un passo avanti e prendono il loro cazzo barzotto in mano puntandomelo chi sul petto, chi sulla fronte. Si lasciano dunque andare in una copiosa pisciata.
    Non so se intendessero stupirmi, ma non fu così. Ormai non era la prima volta che mi succedeva, stava diventando quasi una cosa comune.
    Questo pensai all’inizio, aspettando paziente che finissero. Ma con tre abbondanti pisciate, presto fui completamente fradicio dalla testa ai piedi prima che avessero finito.
    “Ringrazia” ordinò Alessandro.
    “Grazie… Grazie molte…” dissi servizievole;
    “No…” aggiunse Teodoro: “Devi dire: grazie Alessandro, grazie Teodoro…” mentre continuavano il loro servizio.
    “Grazie Alessandro, grazie Teodoro, grazie…”;
    “Ajene” suggerì chi chiamato in causa.
    “Grazie Ajene”.
    “Ma non c’è di che” rispose Teodoro.
    Indirizzarono il getto un po’ ovunque, in modo da non lasciarmi asciutto nessun centimetro del corpo. Dai miei capelli, il piscio cadeva copiosamente e qualcosa penetrò anche nelle mie orecchie che si tapparono un po’.
    Quando ebbero finito, ringraziai nuovamente.
    “Pulisci anche questo” ordinò Alessandro e cominciai. Era una follia: il pavimento era tutto allagato e anche se leccavo l’aspra urina per terra, io stesso grondavo e sporcavo di nuovo.
    Dopo un paio di minuti, scivolando qua e la con le mani, in cui fui costretto ad abbeverarmi, lo stesso Alessandro si spazientì, dicendo che avrebbero sistemato il resto domani mattina le donne delle pulizie. Dunque cominciarono a rivestirsi.
    A quanto pareva, avevamo terminato. Dopotutto, pensai, accettare gli ordini dei tre fu veramente la cosa più intelligente da fare. Non c’era dubbio obbiettivamente che fossi stato abusato e umiliato, ma averli assecondati mi aveva permesso di evitare di aizzarli, con conseguenze peggiori. Pensai anche che, se avessi lavorato seguendo pedissequamente gli ordini di Alfredo, avremmo potuto cavarcela.
    Mi diressi anch’io verso i miei vestiti.
    “No no no, cosa fai?” disse melenso Teodoro vedendomi nel mio intento: “Ma non vedi come sei sporco, non vorrai mica insudiciare tutti i vestiti?”.
    “Posso andare a farmi una doccia veloce?” sussurrai quasi stupito.
    “Nicolò…” disse balzettando sul posto: “Non c’è tempo. Asciugati un attimo e andiamo… Tieni” e mi porse un asciugamano.
    Cosa voleva dire? Non avevo vestiti di ricambio.
    “Ecco, raccogli i tuoi vestiti in questa busta. Non voglio che te li sporchi tutti”.
    Mi asciugai guardandomi intontito attorno e sperando non fosse vero. Guardai fuori dalla finestra. Le prime luci dell’alba cominciavano a salire, ma il sole ancora non era sorto.
    Mi fecero indossare solo la coperta con cui ero stato trasportato e con i tre, vestiti ormai da un pezzo, scendemmo le scale. Tenevo i miei vestiti nella mano destra, dentro la busta.
    Usciti fuori dalla porta, congelai. Completamente nudo e umido, mi sentì il petto battere all’impazzata. La mia pelle si drizzò: non c’erano più di due-tre gradi. Non mi fu permesso neppure di indossare le scarpe e i miei piedi nudi calpestavano la gelida e dura terra battuta che mi separava dall’auto.
    “Ma dai…” commentò Jack vedendo quello che mi stavano facendo e non aggiunse altro.
    Aprirono la portiere dietro e mi fecero mettere in mezzo. Poi, Alessandro, Ajene e Teodoro litigarono per i posti dietro.
    “Sei già stato dietro tu prima” disse Teodoro rivolto ad Ajene;
    “Anche te coglione” rispose lui;
    “Si, peccato che io non mi sia mai lamentato. Invece sei te che insisti sempre per stare davanti” replicò Teodoro.
    E così lui e Alessandro vinsero il premio di sedermi accanto, il primo a sinistra e il secondo a destra. Tutti ormai si erano tolti le maschere.
    Dopo poco che partimmo, le loro mani furono presto su di me. All’interno dell’abitacolo si stava bene, Jack aveva messo subito il riscaldamento al massimo.
    “Mi piace troppo questo ragazzo” commentò smielato Teodoro. Sia lui che Alessandro mi palpavano petto, gambe e testicoli, nuovamente eccitati per la situazione. Stupito, imbarazzato e infreddolito, fui solleticato dai loro tocchi e il mio membro si mise sull’attenti.
    Eravamo ormai sulla strada principale e qualche macchina cominciava a passarci accanto; ciò non impedì Alessandro di alzarsi sul posto e mettermi il cazzo davanti alla faccia. Ovviamente ingoiai, pur spaventato dall’idea di essere visto da qualcuno.
    “Non potete lasciarlo un po’ in pace quel povero ragazzo?” domandò Jack che guidava la macchina e ci guardò velocemente dallo specchietto retrovisore.
    “Ma che dici, Jack? A lui piace” rispose Teodoro: “Vero?”.
    Lasciai un attimo il pene di Alessandro e risposi:
    “Si”;
    Subito Alessandro mi strinse le guance con la mano, indirizzandomi nuovamente la bocca sul suo membro.
    Jack scosse la testa e disse: “Poveretto… E poi senti che puzza da fogna. Cosa gli avete fatto?”. Nessuno rispose.
    Teodoro abbassò la testa e cominciò a succhiare con ingordigia il mio membro, producendo suoni acquosi e gutturali.
    “Accompagniamolo fino alla casa dell’altro ragazzo. Non ho voglia di fare tutta la strada fino a Padova” commentò annoiato Ajene. Nessuno obbiettò.
    Teodoro aveva preso a smanettare il mio uccello. Dopo poco, sorpreso per il poco tempo passato, Alessandro venne in bocca e non potei nascondere un gemito di sorpresa soffocato dal suo membro. I flutti scesero nella faringe e fino a che non smise di venire non uscì. Poi ingoiai tutto e gli pulì la cappella.
    Alessandro non fece in tempo a risistemarsi seduto che mi accorsi che stavo cominciando a fremere più incontrollato e mi stavo accarezzando l’addome. Cominciai a muovermi incontrollato, stendendo gambe e piedi, poco dopo stavo per gettare, la prima volta in quella serata. Presi istintivamente la testa di Teodoro, che apprezzò, e venni.
    Venni copiosamente.
    “Mmm!” gemette Teodoro felice, che non ci pensava un secondo di togliersi dalla mia cappella. Gemetti incontrollato per tutta la durata dell’atto. Poi cominciai a riprendere fiato.
    Se fino a quel momento ero riuscito ad assecondarli ed eccitarmi io stesso, ora, tornato me stesso, fui presto disgustato nel sentire la lingua famelica di Teodoro sul mio glande a inghiottire tutto lo sperma rimasto rappreso.
    Ovviamente, eccitato e ingordo, Teodoro non era ancora soddisfatto.
    “Tienili le gambe che voglio venirgli dentro” disse ad Alessandro. Stufo, ma consapevole della stupidità di una resistenza lasciai che Alessandro mi girasse, facendo si che gli rivolgessi la schiena, mi posizionasse con il sedere in su e mi tenesse in alto le gambe con le mani sui femorali, allargando in questo modo anche l’ano.
    Mi vergognai tantissimo di quella posizione così esplicita ed eclatante, ma non dissi niente e nessuno si accorse del mio rossore in volto. Ero in posizione fetale, con i piedi appoggiati sul soffitto interno della vettura.
    “Oh oh…” commentò Teodoro bagnandosi le labbra con la lingua e guardando le mie parti intime.
    “Ti prego…” cominciai a dire, per poi fermarmi. Volevo supplicarlo a non farlo, ma poi compresi che era meglio non dirlo. Teodoro invece probabilmente pensò che lo pregassi di entrare presto. E lo fece, senza altri complimenti.
    Cominciò a battermi con insistenza, tutto dentro di me, salendomi sopra. La sua testa e quella di Alessandro erano vicine: la prima guardava me, la seconda disinteressata guardava avanti. Io, con la testa appoggiata sulle cosce di Alessandro, guardavo l’uomo sopra di me inebetito.
    Ciaf Ciaf
    Il rumore dei testicoli sulle mie natiche disturbava la musica in radio.
    “Alzalo un po’” disse Teodoro a Alessandro. Questi lo ascoltò e ora il mio viso era a un palmo dal soffitto dell’abitacolo, mentre allungavo le gambe e mi appoggiavo i piedi sui lati del finestrino dalla parte di Teodoro.
    Ora ero totalmente visibile dall’esterno. Con la luce dell’alba ormai sorta, vedevo sempre più veicoli attorno a me. Non ero mai stato così in imbarazzo. La paura di essere notato era tantissima e fui convinto, anche se non potevo appurarlo, che più di qualcuno mi avesse visto. Essere guardato così, nudo e violentato in tutta la mia nudità mi fece sentire un pezzo di sterco.
    Non potei che averne la certezza, quando il semaforo fu rosso e nella corsia a fianco a sinistra una vettura si fermò parallelamente a noi. All’interno della vettura c’era una donna e il suo bambino sul posto posteriore. Fu lui a notarmi per primo. Lo guardai, con una vergogna incommensurabile.
    “Lascia che guardino. Sei fantastico” commentò Teodoro accortosi indifferente della situazione.
    Ajene ci fece uno scherzo e tirò giù con il pulsante anteriore il vetro della nostra macchina. Tutti, Jack escluso, cominciarono a ridere.
    Teodoro aumentò appositamente le battute, penetrandomi volontariamente con violenza. Non l’aveva mai fatto per tutta la sera. Penetrato nel profondo, non potei evitare di gemere fortemente e selvaggiamente dalla sofferenza. Il bambino mi fissava con occhi sgranati, richiamando l’attenzione della madre. Era ancora troppo piccolo per capire cosa stessi facendo.
    Il vento gelido sferzava ora all’interno dell’abitacolo. Sempre più stanco, arrivai a toccare con i piedi il vetro aperto del finestrino, congelandomi le punte.
    “Ti prego parti” pensavo, ma quel semaforo era esageratamente lento. Ormai anche la madre del bambino mi aveva visto e inveiva qualcosa scioccata, forse intimando il bambino di non guardare.
    Teodoro mi prese su di se e, seduto su di lui, continua a fottermi. Io mi tengo appoggiato con le mani sulle sue spalle.
    “Saluta” disse divertito.
    Ora il mio viso era vicino al finestrino e potevo osservare il panorama: anche le macchine in coda a sinistra e dietro di me mi avevano notato. C’era chi rideva e chi mi guardava a bocca aperta, ma nessuno smetteva di osservare. Sperai nessuno mi riconoscesse. Sarei voluto sprofondare in un burrone; erano gli occhi spaventati del bambino quelli che più mi dolevano e io lo guardavo con le labbra semi chiuse in silenzio, sobbalzando dalle battute.
    Cosa pensavano di me? Che fossi un ragazzo sporco e sudicio? Che mi piacesse essere posseduto da uomini più grandi? Pensavo al contesto, la mattina in strada, dove tutti assopiti andavano a lavorare e studiare e poi c’ero io, che ero così misero da fare sesso sfrenato in quel momento e senza vergogna davanti a tutti. Ecco cosa credo pensassero. E mi sentì la cosa più insignificante sulla faccia del pianeta.
    “Saluta ho detto! Fai ciao con la mano!” ordinò rabbioso Teodoro, sempre più preso ed eccitato.
    “Ciao…” sibilai al bambino e feci un timido cenno con la mano destra, che lui ovviamente non rispose.
    Teodoro cambiò posizione, mettendomi a novanta e cavalcandomi da dietro. Ora la mia testa era addirittura quasi fuori dal finestrino, con i pettorali in bella mostra e i vapori del mio corpo che si innalzarono in cielo. Ma, finalmente, era verde e partimmo, lasciando le altre auto alle spalle.
    L’aria fredda sferzava il mio viso e qualche goccia condensata lambì i miei occhi, confondendosi con le mie lacrime.
    A un certo punto ci fermammo. Eravamo davanti la casa di Nicolò. Non scendemmo fino a che Teodoro non ebbe terminato e ci volle ancora qualche minuto. La radio ora era spenta e nell’abitacolo si sentivano solo i colpi dei testicoli sulle mie natiche, il movimento dei sedili e i gemiti di Teodoro.
    Dopo avermi gettato dentro, mi lasciarono uscire, rigorosamente nudo e con il sedere ancora colante di sperma, gettandomi addosso la busta dei vestiti che presi al volo. Congelato e umiliato, camminai veloce verso il campanello della casa di Nicolò. Quando mi vide scandalizzato per la scena a lui di fronte, aprì il cancelletto senza chiedermi nulla. Gli altri non erano ancora partiti; aspettarono che entrassi e mi salutarono sorridendo sprezzanti, Teodoro in testa.
    Entrato a casa, Nicolò mi coprì con le coperte e mi fece sedere sul divano.
    Raccontai tremante tutto di un fiato e, mentre lo facevo, lo vidi che, cercando di rimanere calmo, alcune lacrime gli solcavano il viso.
    Rimaniamo in silenzio per alcuni minuti a fissare vuoti il pavimento. Quando decisi di lasciarmi andare, piansi cercando le sue braccia, ancora nudo e puzzolente. Nicolò fece lo stesso: ci baciammo e piangemmo insieme per la vita che ci aspettava.
     
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