Il bordello

10° episodio: Da carnefice a vittima

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    CONTENUTO EROTICO E SESSUALE
    QUESTO RACCONTO NON E' ADATTO AD UN PUBBLICO MINORE DI 18 ANNI
    SE SEI MINORENNE TI INVITIAMO A LASCIARE IMMEDIATAMENTE QUESTA PAGINA



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    Capitolo Dieci: Da carnefice a vittima

    Era da molto tempo che non mi capitava di dormire così bene.
    Nell'ultimo mese, tanti avvenimenti avevano reso la mia vita un covo d’inquietudini. Tutto era cominciato quasi come un gioco. Quando decisi di aiutare un amico di famiglia, da cui lavoro come inserviente part time, a risolvere un caso. Non avrei mai pensato di uscirne tanto cambiato.
    Fu così che m’immischiai la prima volta negli affari di un bordello, dove lavoravano alcuni ragazzi omosessuali. Catapultato in un mondo a me sconosciuto, ben presto mi accorsi di non esserne così distante come credevo. Vissi dei momenti molto intensi ed emozionanti, anche quelli che potrebbero essere considerati a bocce ferme, delle vere follie. Io, sempre così sicuro di me, capì come, in realtà, non mi conoscessi così bene. M’innamorai nel giro di poco tempo di diversi ragazzi, cosa che non potevo credere possibile. Alla fine, scelsi come mio partner uno di quelli che inizialmente non rientrava nel novero dei candidati, ma che avevo considerato subito solo un semplice amico. Dopo un periodo travagliato, la sera precedente suggellammo il nostro rapporto, passando una notte meravigliosa insieme. Dormì come un ghiro per tutta la mattina a suo fianco e quando mi svegliai, cominciammo a discutere sul da farsi.
    Infatti, se il bordello fu un’esperienza piena di risvolti positivi, era pur sempre quello che era. Quel palazzo dall’aspetto nobile era il regno di uno squilibrato che aveva fatto di ragazzi molto giovani la sua fonte di ricchezza. Se per i suoi ospiti metteva a disposizione tutte le migliori comodità possibili e immaginabili, presentando il suo epicureo regno, la casa del piacere, per i suoi ragazzi ogni giornata era vissuta senza certezza. Per Alfredo Elmo, non c’era differenza tra cliente e cliente, l’importante era che pagasse. Che cosa intendesse fare con i suoi ragazzi era indifferente. E tutto ciò non era sufficiente: in cambio di una somma di denaro cospicua, i suoi ragazzi erano praticamente obbligati a rischiare la loro salute in tutte le situazioni. Eppure, un sistema che funzionò così per molto tempo non fu messo mai in discussione. Perché? Avrei voluto proprio su questo avere presto delle risposte. Perché nessuno interveniva?
    Solo quando si sospettò una presenza grave all’interno di quel posto, qualcuno decise di indagare timidamente. Se era ritenuta tacitamente accettabile l’esistenza di un bordello nella cittadina di Quinto, lontano e nascosto dal centro della città, non era tollerabile la presenza di ragazzini minorenni che lavorassero per lui. Ecco che allora fui mandato, senza troppo impegno, a buttarci un occhio. E li rimasi intrappolato. Io stesso divenni uno di quei ragazzi. E, ahimè, consapevole di ciò. Ritenni comunque che questo sarebbe potuto essere un problema sormontabile. Da un punto di vista personale, ci avevo guadagnato qualcosa. Ora però era arrivato il momento di fare sul serio. Era arrivato il momento di far si che l’impero di Alfredo crollasse.
    Quando ne parlai con Nicolò, nessuno dei due metteva in dubbio che tutto ciò dovesse terminare, ma il modo con cui questo doveva avvenire ci metteva in totale disaccordo. Già in passato aveva manifestato una scarsa avversione verso la ritorsione al bordello, ma avevo pensato che tutto sarebbe cambiato quando avrebbe saputo come stavano le cose.
    “Non posso credere che intendi fargliela passare liscia” ripetei io a Nicolò. Era già mezzogiorno, ma non ci eravamo ancora alzati da letto dopo quell’intensa notte. Il clima tra di noi era disteso e rilassante ma ora i discorsi vertevano su tutt’altri argomenti.
    “Semplicemente penso che la tua strada non sia la migliore per tutti e nemmeno la più nobile” rispose lui disteso tra le lenzuola bianche e con la mia nuca sul suo addome.
    “Che cosa intendi?” chiesi guardandolo in volto.
    “Pensaci bene. Tu stesso hai detto che in questo modo non è possibile non coinvolgere tutti. E poi c’è una cosa che sottovaluti, il fatto che tutti siano dalla tua stessa parte. Quello che hai fatto è obbiettivamente folle: non solo sei stato una spia, ma ti sei ridotto a fare quello che facevano loro. E tutto questo è difficile da comprendere per chiunque”. Poi si alzò in piedi per la prima volta, completamente nudo nella sua incantevole bellezza.
    “Perché l’ha fatto? Perché si è fatto coinvolgere? Perché è andato a letto con tutti quegli uomini se era semplicemente un informatore? Come possiamo fidarci di una persona così? Questo ora tutti si chiederanno” continuò.
    “E quale sarebbe la risposta?” chiesi io, che non avevo considerato profondamente la questione.
    “Non ce l’hanno. Ma non è tutto. Tu dai per scontato che saranno tutti dalla tua parte”;
    “Mi dici perché dovrebbero difendere quell’uomo?”;
    “Non difendono quell’uomo Nicolò svegliati. Difendono loro stessi”.
    La mia testa stava andando in fumo: “Senti Nicolò, è chiaro che non vorrebbero essere coinvolti, ma che altro dovrei fare?”.
    “Ne dovremmo parlare con Alfredo” concluse lui.
    Risi, sorpreso e amareggiato. Non ci potevo credere. Mi misi seduto sul letto, le mani tra i capelli, e dissi:
    “Ma stai scherzando? Mi spieghi perché stai difendendo quell’uomo? Hai dimenticato quello che ci ha fatto, di come ha abusato di noi in ogni modo?” mi alzai indignato e camminai veloce verso di lui. Quando fui a pochi centimetri dal suo volto, dissi:
    “Lo sai che il mio primo rapporto sessuale con un uomo è stato con lui? Te lo ricordi questo?”.
    Quando glielo dissi la prima volta al bordello, Nicolò era rimasto impassibile. Lo stesso fece ora, semplicemente abbassando il capo.
    “Io non so con te cosa ha fatto ma se pensi…”;
    “Non ho dovuto farlo” m’interruppe. “Sono stato uno dei suoi primi ragazzi”.
    Non avevo pensato che non gli avessi mai chiesto come tutto era iniziato per lui. Quindi rimasi ad ascoltare.
    “Ho lavorato quasi due anni. Lo scoprì quasi per caso. Avevo diciotto anni e al tempo volevo riempirmi le tasche di soldi. Volevo guadagnare senza alcuno sforzo, quindi scoprì dell’esistenza di quest’uomo che faceva lavorare qualche ragazzo in casa sua in cambio di tanti soldi”.
    “Quindi all’inizio non sapevi?” chiesi timidamente, molto incuriosito della sua storia.
    “Sapevo benissimo. Quattrocento euro, duecento a testa. Non è mai cambiato da questo punto di vista. Al tempo non aveva molti ragazzi; aveva cambiato ubicazione da poco, non so dove e non so se lo facesse anche prima; era un uomo più disponibile e gentile, anche più magro se vogliamo dirla. Tutti avevano più o meno la mia età, ma nessuno era minorenne. Al tempo era ricco, ma meno di adesso. Non abusò mai di noi”.
    “Quindi non vuoi denunciarlo perché hai avuto la fortuna di non essere violato da lui?” chiesi malizioso.
    “Dico che è peggiorato nel tempo… Smania di potere. Quando ha introdotto i primi minorenni, i suoi clienti si sono fatti vedere sempre di più”.
    “Chi furono i primi…”;
    “Kevin” rispose senza lasciarmi terminare.
    “Pensava di sfruttare i ragazzi più disagiati, quelli che avessero avuto più bisogno di denaro. Non credeva sarebbe riuscito ad avere così facilmente ragazzini benestanti, bramanti di soldi facili, come Lorenzo e Vincenzo ad esempio”.
    Rimasi in silenzio a riflettere su tutte quelle cose che Nicolò non aveva ritenuto in passato fosse il caso di riferirmi.
    “E così è diventato sempre più avido. Sicuramente gli ha dato alla testa, ma…”
    “Ascolta Nicolò, dimmi chiaramente cosa hai intenzione di fare. So che hai già pensato a qualcosa, è inutile che ci giriamo intorno” finalmente presi la parola. Se fino allora era riuscito a tenere per se tutto questo, allora sicuramente sapeva anche altro e probabilmente aveva pensato a un’eventualità del genere.
    “Credo che dovresti andare dal tuo amico poliziotto e dirgli che non lavorano minorenni. Io parlerò con Alfredo e gli dirò quello che sta accadendo. Lo obbligherò a chiudere i battenti”
    “Tu non devi fare questo…” risposi sconvolto: “Perché noi non avviseremo Alfredo. Lo coglieremo sul fatto!”.
    Nicolò non si scompose e, con naturalezza, cominciò a vestirsi.
    “No, non lo faremo. Cosa ti passa per il cervello?” disse: “Immagina la scena: entrano le forze dell’ordine con un mandato, sopra ci sono i nostri amici che stanno scopando, cosa ti sembra?”.
    Non dissi nulla, effettivamente mi ero fatto prendere troppo. Dopo la prima sera, dove tra di noi si era accesa la passione più sfrenata, il timbro del nostro rapporto era tornato meno idilliaco, ma più accattivante, per certi versi infantile. Era questo dopo di tutto che mi aveva attratto di lui quando lo conobbi. Infatti, Nicolò non era per nulla un ragazzo gentile e sensibile, seppur fosse particolarmente acuto. Nicolò era un ragazzo a suo modo esuberante, più di me. Ecco perché mi sorprese quando invece disse:
    “Questo è quello che faremo, lo metteremmo alle strette. Sì, è vero: lui se la caverà, ma tutto avrà fine”.
    “Ma non è giusto…” dissi sconsolato sedendomi sul letto. Nicolò aveva preso in mano la situazione. Non ero certo avesse totalmente ragione, ma ero convinto che ne sapesse troppo più di me. Erano due anni che lavorava per Alfredo, io un mese. Conosceva tutti meglio di me, io con molti avevo a malapena avuto un dialogo. Era vero che davo scontato che tutti si sarebbero messi dalla mia parte. Avevo sempre avuto la tendenza ad amicarmi le persone solo dopo averci parlato un po’, ma questo non doveva valere per il resto del creato.
    “Nicolò tutti vorremmo giustizia” disse dolcemente sedendomi al mio fianco: “Sarebbe bello. Ma fidati di me, in questo modo complicheremmo la vita di tutti, a partire dalla nostra. Io credo che la cosa più importante sia la sicurezza nostra e dei nostri amici, per questo dobbiamo fare così”.
    Mi accarezzò la guancia e sorrise arrossato: “Finalmente ora sei con me. Possiamo costruire qualcosa… Perché dovremmo complicarci subito la vita?”
    “Dalla prima volta che ti ho visto avrei voluto fare questo…” continuò, poi mi diede un bacio profondo sulla bocca. Io rimasi impassibile, lasciando fare. “Facciamo come dico: vai dal tuo amico e digli che non lavorano minorenni. Sui dettagli ci ragioniamo dopo”.
    Non risposi neppure. Nicolò si alza e lascia la stanza. Da lontano grida: “Vediamo… Dov’è finito il telefono? Alfredo mi sta chiamando da giorni per convincermi a tornare!”
    Ricordai che anch’io avevo sentito il telefono squillare ma non avevo risposto. Presi i jeans e sfilai il cellulare. Sul display c’erano molte chiamate senza risposta: una era di mia mamma, che evidentemente doveva chiedermi se avevo mangiato o se mi ero svegliato morto quella mattina. Le restanti erano le numerose di Alfredo e Flavio. Quest’ultimo mi aveva anche lasciato alcuni messaggi su Whatsapp. La maggior parte era testuale: il filo conduttore era che Alfredo lo stesse chiamando con insistenza a lui e a Marco. Inoltre, a lui aveva mandato anche alcuni messaggi scritti, cui chiedeva perché fossi scappato e di rispondere immediatamente. Tra i messaggi di Flavio per me c’era anche un messaggio vocale delle ore quattro e cinque di mattina, dalla durata di pochi secondi. Lo ascoltai:
    “Nicolò non so che state facendo, ma per piacere rispondi al più presto! Alfredo è incazzatissimo. Tra me e Marco ci ha chiamato almeno venti volte e continua. Più ci penso e più credo che siamo in un casino enorme! Non avremmo dovuto risponderli così… E’ in grado di andare avanti per sempre… Chiamami appena puoi”. Tutte queste parole erano state pronunciate con voce concitata, mentre in sottofondo il nulla. Evidentemente era già a casa da solo.
    Lo chiamai, non rispose. L’ultimo accesso risultava circa alle cinque di quella mattina.
    “Chi stai chiamando?” Nicolò era tornato.
    “Flavio. Mi ha chiamato tutta la notte, ma penso ora stia ancora dormendo… Ha detto che era molto preoccupato di cosa potesse fare Alfredo”.
    Guardai Nicolò e gli chiesi: “Anche lui ha iniziato con te al bordello? Dicevi che andavate alle superiori insieme”.
    “No, glielo dissi io una sera. Circa un anno dopo”;
    “Eppure fino a che non sono arrivato io, come mai tu e lui eravate quelli più grandi?”
    “Poco alla volta gli altri hanno smesso di venire e Alfredo ha cominciato a chiamare sempre ragazzi più giovani”;
    “E a chi smette di lavorare per Alfredo… Cosa succede?” chiesi io preoccupato.
    “Come cosa succede?” rispose lui stupito per la domanda.
    “Sì, insomma… Non si fa più sentire?”.
    “Che io sappia sì. Perché dovrebbe farsi sentire?” mi domandò ancora stupefatto.
    Strinsi le spalle. Allora lui commentò divertito: “Nicolò non farti venire delle paranoie inutili. Senti, ora andiamo a mangiare qualcosa, poi pensiamo a cosa scrivergli per contattarlo”.
    Nel giro di poche ore, fu Nicolò a prendere le redini del gioco. Io divenni solo il messaggero.


    Dopo pranzo, decisi sul da farsi, Nicolò chiamò Alfredo e accese il vivavoce.
    “Ciao caro” esordì Alfredo con la sua voce roca e fastidiosa.
    “Ciao Alfredo” rispose Nicolò.
    “Scusa per le chiamate di ieri a tarda ora. Ma ho avuto dei problemi qui a lavoro…”
    “Alfredo so tutto” interruppe Nicolò.
    Nessuna risposta.
    “Ieri è venuto Nicolò e mi ha detto cosa è successo”;
    “E’ li?”;
    “No, non è qui. E’ tornato a casa”;
    “Ah…”;
    “Ascolta, mi ha detto che è dispiaciuto per quello che è successo. Era arrabbiato, ma non voleva arrivare a tanto. Mi ha chiesto di poterti incontrare questa sera, in modo da chiarire tutto”.
    “Perché non mi ha chiamato lui direttamente allora…” commentò lui con una lieve flessione nella voce.
    “Vuole ci sia anch’io. Sa che con me hai un rapporto migliore”.
    “Come vuole” ;
    “Facciamo alle ventuno da te?”.
    “Va bene. A stasera…”
    “Ciao Alfredo...” e la conversazione terminò.
    E così sarebbe stato. Quella sera sarei andato ancora una volta da Alfredo, l’ultima volta. Sarebbe stato un incontro decisivo; non era quello che mi sarei aspettato, ma Nicolò mi aveva convinto a scegliere quella strada, a giocare con trasparenza, con le nostre sole forze, senza coinvolgimenti. Questo non significava che però Alfredo non avrebbe dovuto pagarne le conseguenze.
    Quella sera fummo puntuali. Alfredo mi accolse con freddezza, riversando qualche riverenza al mio compagno che fu ancora una volta pregato di tornare. Salimmo le scale, seguendolo nel suo ufficio. Alfredo era vestito modestamente, come la prima volta che lo conobbi. Evidentemente, non sentiva il peso di quell’incontro. Pensai a quanto fosse stupido per non avere la minima idea di quello che stava rischiando. Invece, il palazzo, così stranamente buio e silenzioso, sembrava che trattenesse il respiro, in attesa dell’evolvere degli eventi.
    “Io rimango qui fuori, risolvetela tra di voi” fece Nicolò.
    “Come vuoi, ma non credo ce ne sia bisogno” rispose tranquillamente Alfredo che apparentemente non capiva la situazione in cui si trovava.
    Fui invitato ad accomodarmi davanti alla scrivania, mentre Alfredo chiudeva la stanza dietro di noi. Ora eravamo soli.
    Ricordai le due uniche volte in cui mi trovai in quell’ufficio. Furono tra i momenti peggiori della mia vita. Questa volta però sarebbe stato diverso.
    “Vuoi da bere?” chiese Alfredo che si era servito un whisky liscio e solo ora si accingeva lentamente a sedere.
    “No grazie” risposi secco, aspettando che si accomodasse.
    “Allora Nicolò… Sembra che tu sia venuto per offrirmi le tue scuse. Ti anticipo già che, anche se può non sembrare, non sono così arrabbiato come potresti credere. Ieri sera mi sono lasciato prendere, ma capisco che non avrei dovuto prendere Marco in così malo modo e…”
    “Non sono venuto per scusarmi” interruppi perché stufo di sentire la sua voce e desideroso di cominciare il discorso che avevo preparato.
    Alfredo mi lanciò un occhiata di ghiaccio e rimase in attesa.
    “Mi dispiace che Nicolò non ti abbia subito detto che sono qui per darti un avvertimento” dissi con freddezza.
    “Un avvertimento? Un avvertimento di che cosa?”;
    “Quando ieri ti ho detto che avresti sentito parlare di me, non stavo scherzando”.
    Aspettai una sua reazione. Alfredo mi guardò torvo, ma non si mosse.
    “La mia intenzione era quella di denunciarti, ma ho deciso di darti una possibilità…”;
    “Denunciarmi? Denunciarmi dici?” Alfredo rise sotto i baffi. Non credeva che ne avessi le palle?
    “Perché dovresti denunciarmi?”;
    “E lo chiedi anche?” questa volta fui io a sorridere.
    “Ascolta bene. Io non sono quello che tu credi. Sono un informatore della polizia” dissi senza giri di parole.
    Quando sentì la parola “polizia” i suoi occhi ebbero un piccolo sussulto, ma, nel complesso, Alfredo non perse il controllo e aspettò che finissi di parlare.
    “Non serve dire cosa potrebbe aspettarti. Ma...” e qui mi fermai, sempre più sciolto, per creare un po’ di suspense.
    “Ho deciso di darti la possibilità di venirne fuori” conclusi.
    “E come hai intenzione di fare?” Alfredo mi ascoltava assorto e intanto si sistemava sulla seggiola, sorseggiando il suo whisky invecchiato. Pensai fosse molto bravo a fingere tranquillità.
    “Cosa mi riserva il destino secondo te?” domandò Alfredo ridente. M'innervosì; come poteva prendermi alla leggera in quel momento?
    “Forse non capisci in che situazione sei” dissi sorridendo malignamente: “Non accetto più questo tuo tipo di atteggiamento nei miei confronti. Stai attento a come parli”. Una ventata di orgoglio mi gonfiò il petto. Da molto aspettavo di rispondergli così. Alfredo stette in silenzio e rispose con lo stesso sorriso di prima.
    “Quello che fai qui, non è tollerabile. Usare ragazzi minorenni è ancora più intollerabile”.
    “Quindi vuoi che smetta di usare i minorenni?”;
    “Non hai capito. D’ora in avanti hai chiuso! Quando uscirò da qui, dovrà solo importarti buttare giù questo posto e sparire”.
    Silenzio.
    Alfredo non si esprimeva, quasi in attesa di qualche altra istruzione da parte mia. Che arrivò.
    “Se non sarà così, prenderò il mio telefono, Nicolò prenderà il suo telefono e testimonieremo” e conclusi.
    Alfredo era interdetto, ancora in attesa ma questa volta parlò.
    “Tutto qui?” chiese con sincerità.
    “Non è tutto qui”;
    “Bene” rispose, innervosendomi nuovamente.
    “Dovrai pagare per quello che hai fatto. Innanzitutto, voglio che tu dia una buona uscita a tutti i ragazzi minorenni del bordello di dieci mila euro”.
    “E a te che interessa?”;
    “Poi…” continuai ignorandolo: “Voglio che butti giù questo posto. Inoltre, dovrai donare cento mila euro a enti benefici a favore dei bambini, scegli tu quali, così espierai in minima parte le tue colpe. Se così sarà, domani, quando andrò dalla polizia, dirò che non c’è nulla in questo posto di illecito. In ogni caso parlerò, dimmi tu se vuoi che canta”.
    “Io non dispongo di queste cifre” disse ridendo. Sembrava incredibilmente divertito.
    “Non prendermi in giro. Ho fatto delle mie ricerche, hai un patrimonio dal valore molto superiore a questa cifra. Non intendo dopotutto accanirmi contro di te. L’importante è che tu lasci in pace questi e altri ragazzi”.
    Più parlavo, più mi sentivo padrone della situazione. Eppure, anche Alfredo sembrava accogliere con discreta tranquillità le mie parole.
    “Una domanda Nicolò se permetti” chiese alzando un dito con aria goliardica: “Perché ti interessa che io paghi questi ragazzi, cosa importa a te? Non sarebbe giusto sapere cosa ne pensano loro di tutto questo…”
    “Sono io che detto le regole adesso!” intervenni io infastidito dal suo atteggiamento: “Dopo quello che gli hai fatto, di come gli hai usati…” ma mi fermai, perché Alfredo continuava con imperterrita tranquillità a parlarmi sopra.
    “Cosa ne penseranno del fatto che gli hai presi per il naso per tutto questo tempo? Non saresti curioso di saperlo?”;
    “Non credo che tu sia la persona più indicata per farmi la morale”;
    “E tu perché ti sei fatto usare da me per tutto questo tempo?” chiese, questa volta davvero incuriosito.
    “Ora basta. Non sono qui né per discutere, né per contrattare”;
    “E invece tu quanto vorresti per il tuo silenzio?” intervenne lui.
    Mi guardai attorno. Nicolò mi aveva detto di non chiedere nulla. Ma non ero del tutto convinto. Anche noi avevamo fatto la nostra parte, e avevamo subito diversi abusi. Quindi questa volta decisi di testa mia.
    “Trenta mila euro” dissi.
    “Uh…” fece lui con una smorfia: “Non chiedi molto” commentò con celata tranquillità. Infine batte le mani sulla scrivania e si alza.
    “Va bene Nicolò, penserò alla tua proposta e ti farò sapere”
    Stava scherzando? Come poteva pensare ancora che questa fosse una trattativa? Era già diretto verso la porta quando io dissi per fermarlo:
    “Non credo di essere stato chiaro. Questa cosa si è decisa qui e adesso. Il bordello non aprirà un giorno di più”
    “Devi darmi il tempo di pensare!” disse Alfredo alzando la voce per un attimo. Aveva il pomello in mano, ma non aprì: “Dopotutto, quello che sta succedendo sta stravolgendo la mia vita”.
    Non dissi nulla. Sì, non potevo negarlo, e ne ero felice. Però concedergli un po’ di umanità, anche a un uomo come lui, pensai fosse possibile.
    “Sei stato molto gentile per quello che hai fatto” prosegui lui: “Venire qua a dirmi questo prima di andare dalla polizia, perché non sei andato dalla polizia giusto?”.
    “No”;
    “Appunto… Dicevo… E’ un gesto nobile e coraggioso che ho apprezzato. Quello che chiedi per te non è molto e…” s’interruppe come se stesse soffocando qualcosa di spassoso “chiedere qualcosa per i più bisognosi è encomiabile. Direi comunque che ho già deciso”.
    Non capì perfettamente quelle parole, ma non insistetti oltre. Durante il tragitto verso l’uscita, Alfredo non mi parlò più, né mi guardo. Si rivolse solo a Nicolò dicendo:
    “Mi hai mentito. Avevi detto che era venuto qua per scusarsi”. Nelle sue parole non c’era rabbia, ma percepì dell’amarezza.
    “Bugia a fin di bene” rispose pacato Nicolò. E così ci congedammo.
    Lasciai la casa con Nicolò con un po’ di amaro in bocca. Avevamo vinto, grosso modo, ma l’atteggiamento di Alfredo mi aveva lasciato di stucco. Avrei voluto trovarmi una persona scoraggiata e tremante o rabbiosa e incontrollata. Ma come spiegarsi invece quel comportamento?
    Nel tragitto in macchina con Nicolò alla guida, rivelai tutto quello che ci eravamo detti e le mie impressioni. Omisi solo la parte in cui chiedevo soldi per me. Nicolò mi rincuorò ancora una volta, dicendomi di fregarmene di qualsiasi atteggiamento perché tanto avevamo ottenuto il nostro scopo. Quindi, più sereno e con un peso in meno nella coscienza, chiamai Flavio per parlargli degli ultimi avvenimenti, dato che ancora non lo sentivo dalla sera precedente.
    “Uhm non capisco… Non risponde eppure vedo che si è collegato su Whatsapp…”;
    “Evidentemente ha avuto problemi suoi, vedrai che quando vorrà si farà sentire”.
    “Sì, ho capito Nicolò. Ma diamine, sa che è qualcosa di particolarmente importante, perché non mi richiama? Ieri notte l’ha fatto”;
    “Boh, tipo strano…” rispose Nicolò alzando le spalle.
    Un altro tassello del puzzle era ora al suo posto. Decisi che quella sera avrei nuovamente dormito da Nicolò, mentre la mattina dopo avrei dichiarato il falso a Massimo. Non che questo non mi rendesse nervoso. Era ormai un mese che lo facevo, ma questa volta era più grave. Prima nascondevo semplicemente la mia omosessualità, ora stavo modificando la realtà di qualcosa di ben diverso. Stavo mentendo a favore di un pappone che utilizzava dei minorenni. Capite dunque le mie difficoltà. Nicolò attualmente era la mia ancora di salvezza. La sua presenza mi dava forza.
    “Sei stato grande” continuava a ripetere Nicolò nel viaggio verso casa. Io, stanco ed emozionato, non mi ritenevo “grande”, perché il merito era stato in gran parte suo. In breve tempo, aveva preso in mano la situazione e aveva fatto prendere una piega differente che ci stava proteggendo tutti. Se non ci fosse stato lui, ora tutto sarebbe stato più difficile. Lo ammirai molto per questo. Nella restante parte del viaggio, non potei che smettere di guardarlo. Sembrava un ragazzo mite e inoffensivo, ma era bello, affascinante e intelligente. La forza potevo mettercela io, lui era il mio cervello. A un certo punto pensai addirittura che gran parte del merito fosse suo e che io avessi solo recitato una parte. Non ce l’avevo con lui, sia chiaro, lo ammiravo solo sempre di più. E la cosa mi metteva molta adrenalina addosso, perché avrei voluto subito rimettere le cose come il giorno prima, con me al comando delle decisioni.
    E lo feci. Appena chiusa la porta di casa, fece appena in tempo a mettere le chiavi della macchina nella ciotola che lo presi deciso a possederlo. Nicolò stupito di tanto ardore disse:
    “Nico ma che fai? Non avrai mica voglia adesso?” disse sorridendo compiaciuto.
    “Si” risposi con molta semplicità senza aggiungere altro.
    “Domani devi svegliarti presto!” disse divertito e piagnucoloso. Non aggiungendo altro, subito cominciai a levargli ogni vestito mentre lo baciavo e gli succhiavo il collo. Poi, sempre tenendolo in braccio, lo porto, sbattendo qua e la, fino a letto, dove lo scaravento sulle coperte. Nicolò mi guarda inebetito, stupito da tanto improvviso ardore.
    Mi apro la cerniera dei jeans e gli sbottono; senza aspettare altro, gli sollevo il bacino e comincio a penetrarlo, tenendoli le caviglie. Più battevo, più mi avvicinavo al suo ventre con il corpo; quindi sposto le mani sui femorali e le mie battute si fanno più corte e profonde. Nicolò si teneva godurioso l’indice destro in bocca, ammiccando con sguardo languido, come un bambino che ha combinato qualche guaio, mentre con la sinistra mi accarezza i pettorali, nascosti sotto il maglione invernale di lana. Me lo tolgo subito, così che lui possa toccare la pelle nuda, questa volta con più vigore. Mi fermo per poco e gli lecco lungamente il petto e i capezzoli, poi mi avvicino alla bocca con la testa, che lui stringe ora fra le mani:
    “Non mi piace che credi di prendere il comando” dissi guardandolo negli occhi e intanto avevo già ripreso a fotterlo.
    Lui mi fissa con le sue morbide labbra semi spalancate. Io ne rimango estasiato e lo bacio con tanto di lingua.
    “Mettiamo le cose in chiaro…” proseguo affannato e sempre più eccitato: “Io e solo io comando…” poi non riuscì ad aggiungere più nulla, in preda a un fenomenale orgasmo.
    “Va bene…” rispose lui sottovoce e coinvolto.
    Dopo poco, esco e mi posiziono alla sua sinistra, gli giro il bacino dalla mia parte e lui mi da le spalle. Gli mollo un ceffone sulla natica, poi entro nuovamente. Sorpreso, Nicolò spalanca la bocca e rimane così, guardando in direzione della mia mano che l’aveva colpito.
    “Hai capito?” dico con tono autoritario.
    “Si…” risponde lui sommesso.
    Altro ceffone. Faccio passare velocemente la mano intorno al suo coccige e lo stringo nella mia presa con il braccio destro. Subito aumento la potenza delle mie batture.
    “Hai capito?!” ripeto.
    “Si!” risponde ancora lui questa volta con più impeto e ridendo come reazione per la sorpresa e la forza che ci mettevo. Infatti, le mie battute erano sempre più prepotenti e irrispettose. Nicolò ora chiudeva gli occhi e teneva il mento sollevato. Poco dopo cominciò a gemere a bocca spalancata, mentre le sue gambe e i piedi erano contratte ed estese dallo sforzo.
    Appoggiai l’orecchio sinistro alla schiena e aumentai ancora la mia potenza. Ora lo stringevo con entrambe le braccia, chiudevo gli occhi e mi godevo il momento, annusando il forte odore inebriante del suo corpo sudato. Prima sempre più rapido, poi alla fine diminuisco la frequenza delle battute, che però si fanno involontariamente più profonde. Non ero lontano dal venire, ma mi accorsi che il ferro della cintura dei jeans mi stesse tagliando il fianco sinistro e che non potevo più sopportare quel dolore.
    Dovetti dunque uscire improvvisamente da Nicolò, alzarmi e sfilarmi i pantaloni. Quando mi siedo, Nicolò si alza sopra il letto, intenzionato a mettersi sopra di me ora completamente nudo. Io appoggio la schiena sul bordo del letto e aspetto che salga. Nicolò sceglie di posizionarsi seduto sopra di me; allora tengo il mio membro in mano e aspetto che venga sopra. Poco prima di entrare, lui lo prende con la mano sinistra, io tengo i suoi fianchi. Ci coordiniamo ed entra accompagnato da un gemito di piacere. Comincio inizialmente a fotterlo tenendo la schiena distante, facendo il mio coccige punto di stabilità. Le mie battute sono forti e gemo sommessamente. Nicolò, durante l’amplesso, trova la forza di spostare i suoi piedi nudi sopra le mie cosce. Ora e totalmente sopra il mio corpo e la cosa mi piace da matti. Nicolò non è piccolo, anzi è leggermente più alto di me. Quella posizione era uno sforzo notevole, ma soprattutto, a mio modo di vedere, una chiara sottomissione che metteva in luce i ruoli della coppia. Continuai a batterlo con foga; sentivo i suoi piedi affossare nelle mie cosce, le sue mani stringermi gli avambracci per sostenersi. Vedevo la sua meravigliosa e linda schiena imperlata.
    Ero assetato di lui. Volli dunque palparlo e assaporarlo, quindi mi avvicinai fino ad attaccare la schiena con il mio petto. Appiccicai la mia guancia sinistra sulla sua e continuai a sbattermelo mentre gli tastavo il petto, soffermandomi in particolare sulle punte dei capezzoli. Il suo membro sbatteva di qua e di la, colpendo in specie il suo addome. I nostri respiri uscivano affannosi a pochi millimetri l’uno dall’alto. Nicolò si accorse di questa cosa e girò la testa per cercare di baciarmi. Io feci lo stesso e, in qualche modo riuscimmo senza che dovessi smettere di batterlo. I nostri baci erano profondi e rumorosi, le nostre lingue fameliche. Continuammo così a lungo.
    Quando mi stancai di quella posizione, lo spinsi via. Cadde a cavalcioni sul letto. Subito fui dietro di lui e ripresi tenendolo per i fianchi. Cavalcai con impeto Nicolò, che si teneva saldo con le mani sul letto, oscillando per le battute. Il suo sedere, leggermente tenuto sollevato, mi permetteva di entrare con estremo piacere e facilità. I miei testicoli lo colpivano come un sonaglio, inebriando la stanza di quel rumore.
    “Sono pronto… Sto per venire!” urlai eccitato;
    In un battito di ciglia, Nicolò si stacca e si gira. A gattoni, infila la bocca e il mio membro entra fino in gola. Faccio appena in tempo a realizzare la cosa che vengo d’improvviso come mai prima d’ora. Infatti, dopo i primi profondi schizzi, continuo a venire imperterrito. Nicolò colpito in profondo nella gola dai primi getti, rischia di soffocare, tossisce e si allontana di un paio di centimetri. Però resiste e metà del mio cazzo è ancora dentro la bocca mentre io sto continuando a venire. Gli ultimi getti sono copiosi ma deboli, tanto che invece che spruzzare, escono a flutti che non si staccano dal mio glande e scivolano dalla cappella, lambendo anche le labbra di Nicolò e gocciolando dal mento.
    Ahimè, sotto la sua bocca, appoggiato in malo modo sul letto, erano rimasti i miei jeans beige che rimangono imbrattati inevitabilmente dal mio copioso sperma.
    “Cazzo!” urlo quando me ne accorgo: “Come minchia faccio domani?”;
    “Non ti preoccupare ti presto i miei” fa lui che aveva già ingoiato veloce e alzandosi con la mano sul suo uccello.
    “Ma i tuoi sono tutti aderenti e mi fanno il pacco enorme. Verrò preso per un erotomane” e mi inginocchio sul letto, aspettando che mi venga in bocca. Nicolò prende la mia testa da dietro con la mano sinistra, mentre con la destra continua a segarsi indisturbato a un palmo dal mio viso. Dopo una decina di secondi, mi viene sul viso e sui capelli. Io chiudo gli occhi di scatto e apro la bocca per raccogliere gli schizzi. Negli ultimi istanti, mi entra in bocca. Sento le ultime gocce scendere dalla cappella. E ripulisco tutto.

    Edited by ancient lover91 - 22/1/2017, 00:19
     
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