La Cagna

coinvolgimento interiore

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  1. sweethole
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    ATTENZIONE
    CONTENUTO EROTICO E SESSALE
    QUESTO RACCONTO NON E' ADATTO AD UN PUBBLICO MINORE DI 18 ANNI
    SE SEI MINORENNE TI INVITIAMO A LASCIARE IMMEDIATAMENTE QUESTA PAGINA



    ===========Mi piace quando mi vengono nel culo, nelle viscere.
    La sensazione interiore di bagnato, di umido, mi fa impazzire.
    Mi sento femmina posseduta, sottomessa, totalmente ed incondizionatamente disponibile.
    Schiava.
    Quando mi schizzano dentro sono in loro potere, in quel momento si lasciano andare abbandonati e mi schiacciano sotto il loro peso, avverto gli spasmi, spero sempre siano tanti, ognuno di questi uno spruzzo di goduria, di puro piacere.
    Vorrei fossero fontane, ruscelli.
    Quando i cani famelici si avvicinano al culmine, aumentano il ritmo ansimando ed i grossi pali di carne si muovono freneticamente dentro di me, nel mio buco da tempo violato, il cervello si apre, libra, ogni fibra del mio corpo attende l’agognato premio, mentre il mio piccolo, insignificante e superfluo pendaglio gocciola di gioia.
    Questo fin dalla prima volta, quando il cacciatore mi ha catturato.
    Ha preso possesso della sua giovane preda, l’ha addestrata e le ha rotto il culetto inviolato, implacabilmente, con forza e senza alcuna pietà, incurante delle sue grida di dolore, la lama incandescente si è aperta la strada, liberandosi copiosamente nel suo intimo dopo molti colpi infuocati, ordinandole di trattenere nel profondo di se il bianco nettare, il più a lungo possibile.
    Il dolore poi il piacere.
    Il suo seme ha marcato il definitivo possesso.
    Subito dopo volle usare la mia bocca, dovetti bere ed anche questo fu bellissimo, appagante.
    Da quel momento, ogni volta devo ripulire il suo membro, con la mia lingua, è una questione di principio, l’igiene è importante. Le brave e sottomesse cagnette si comportano così.
    Mi ha tolto ogni traccia di mascolinità, mi ha battezzato con i suoi umori e da allora ho un nuovo nome, dolcemente femminile, adoperato però mescolato ad epiteti degni della più putrida delle donne di malaffare.
    Pretende abitini succinti, da troia di classe, tacchi a spillo, mutandine minuscole tanto dal risultare inutili, cose minute con le quali può sbattermi per ore senza intralcio, con facilità, poi trucco pesante e capelli lunghi o, quando è in vena di vezzosi, carnevaleschi giochi, parrucche colorate.
    A volte mi fa aiutare nella preparazione da fidate amiche, esperte e consenzienti.
    Io mi mantengo tonica, levigata, liscia e pulita. Creme e sofisticati unguenti si rivelano determinanti.
    Da allora, ho conosciuto molti altri che mi vogliono nello stesso modo.
    Il cacciatore non è geloso, anzi. E’ il mio padrone ed io sono la sua cagna, ma gli piaccio puttana, perennemente in calore.
    Comincio a godere ore prima, quando so che verrò usata, che ci sono cazzi smaniosi che mi attendono. Meglio se enormi. Ma anche piccoli, basta che siano stalloni instancabili, accompagnati da una mente perversa. Ben altro, oltre al cazzo, fanno entrare nel mio corpo.
    Al richiamo il mio buco inizia a fremere, a pulsare, a bagnarsi, a bramare di essere sfondato, vilipeso, maltrattato.
    Loro si impossessano di me anche più di uno per volta, in squadra, mi acconcio e mi faccio trovare, poi vengo penetrata ogni dove, manipolata. Meglio se coinvolta in multipli giochi erotici, estremi, impensabili per i comuni mortali.
    Dilatazioni impossibili. Flash luminosi davanti agli occhi mentre il mio antro diventa una caverna, una galleria per sbuffanti treni, piacevolmente dolorante.
    Infine mi donano il loro seme, con un po’ di delusione quando questo viene disperso, non assorbito dal mio culo o dalla mia bocca, bevanda agognata.
    Ogni volta diverso, non esiste un cazzo uguale all’altro, un padrone uguale all’altro, un amplesso uguale all’altro.
    Quando torno da lui mi ordina di raccontargli cosa ho fatto, sono felice di obbedire perché gli brillano gli occhi dall’eccitazione.
    Mi scopa con forza, mi colpisce sul culo, mi chiama zoccola, fogna, vacca sfondata, vuole sapere in quali modi sono stata presa, a quali pratiche ho dovuto sottostare, quanta sborra ho bevuto, quanti cazzi si sono svuotati dentro di me.
    Devo strisciare.
    Mi piscia in faccia.
    Da anni.
    E’ bellissimo.
    Dopo mi ricompongo, esco da lì, torno al mio precedente ed ormai falso nome, la giacca e la cravatta sono una maschera, un’armatura, un nascondiglio.
    L’altra vita mi attende, del tutto ignara.=============================================
     
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