Il bordello

9°episodio: Conclusione

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    CONTENUTO EROTICO E SESSUALE
    QUESTO RACCONTO NON E' ADATTO AD UN PUBBLICO MINORE DI 18 ANNI
    SE SEI MINORENNE TI INVITIAMO A LASCIARE IMMEDIATAMENTE QUESTA PAGINA



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    Capitolo Nove: Confessioni

    Marco continuò a tartassarmi di messaggi per tutto il pomeriggio.
    Non mi piace discutere di certe cose tramite cellulare, ma, per non farlo innervosire, almeno mi presi la briga di essere accondiscendente e disponibile nelle risposte, in modo da chiudere il dialogo il giorno dopo.
    Le mie ultime parole a Marco erano state sincere ed ero relativamente sereno nel riprendere un’ennesima volta la questione. Anzi, potevo dire di essere fin troppo tranquillo pensando a ciò che avevo passato e ciò che avrei vissuto, molto probabilmente, quella sera e i giorni successivi.
    Pure l’automobile tentò di rovinare il mio buon umore; la batteria era inaspettatamente morta e dovetti impiegare quasi un’ora e mezza, tra cambi di autobus, per arrivare a Quinto.
    Neanche per farlo apposta, pochi secondi dopo la mia discesa dal mezzo pubblico, si mise a piovere a dirotto e la dovetti prendere tutta per i due chilometri che mi separavano dal bordello.
    Correndo e imprecando contro la sorte, arrivai a destinazione in circa dieci minuti con la lingua che toccava il fango, bagnato fradicio e gelato fin dentro le ossa.
    Fortunatamente, mi ero preparato con largo anticipo ed erano ancora le ventidue e trentacinque.
    Alla porta, neanche a chiederselo, mi aspettava Marco, già bello e pronto; non aveva la solita espressione da snob, ma il suo viso ricalcava un’aria più spontanea e più naturale per un ragazzo della sua età.
    “Ti chiedo ancora scusa” esordisce lui tutto di un fiato, ignorando che fossi inzuppato e voglioso di scaldarmi all’interno dell’edificio.
    “Marco, non è colpa tua. Ho fatto uno sbaglio e non ti dovevo coinvolgere” risposi cercando di non esasperare la situazione.
    “Ma, ma... Non penso sia così. Se no perché me l’avresti chiesto?”;
    “E’ una storia lunga e non voglio annoiarti con le spiegazioni. Voglio che tu sappia che io non ho niente contro di te e spero possiamo rimanere amici” conclusi ammirando la mia tranquillità nel riuscire a esprimere frasi così corrette in un momento di tale coinvolgimento emotivo.
    “Sì, certo…” rispose subito lui, poi aggiunse: “Però io veramente avrei voluto tentare...”.
    “Io non sono il ragazzo giusto per te, è meglio così”;
    “Come fai a dirlo? Dovrei essere io a deciderlo…”
    Ti prego, non complicarmi le cose, pensai.
    Dovevo cercare di stemperare i toni quindi divagai così: “Dai Marco, non rovinare la tua reputazione con questi sentimentalismi. Sei un coatto!” gli sorrisi e gli diedi una pacca energica sulla spalla.
    Quest’intervento così fuori luogo e stupido, da poter essere rovinoso, ebbe gli effetti sperati perché Marco non tentò di riprendere con gli stessi toni il discorso.
    “Pensi che in futuro non potremmo riprovare?”;
    “Penso di no, ma spero che possiamo comunque rivederci”;
    “Quindi hai veramente intenzione di andartene?” mi fece, mentre io già mi avviavo verso la scalinata.
    “Sì. Non l’hai detto a nessuno, vero?” chiesi girandomi.
    Marco mi fece cenno di no con il capo, infine lo lasciai da solo alla soglia d’entrata, ad assimilare con calma quest'ultima esperienza.

    “Ehi Nicolò! Ma è vero che te ne vai?!”.
    Che cazzo succede?
    Mi voltai verso la voce stridula proveniente dal salotto. Era Lorenzo.
    Mi guardai attorno, sperando che la voce del ragazzino si fosse dispersa nel vociante via vai della sala; fortunatamente, solo Vincenzo e Marco, seduti alla rispettiva destra e sinistra di Lorenzo sul divano, mi prestavano attenzione.
    “Sss” feci a Lorenzo: “Non urlare” e mi avvicinai a loro.
    “Ma allora te ne vai?” fece Lorenzo.
    Guardai Marco: “Suppongo sia stato tu a spifferare tutto” dissi in tono severo.
    Marco volse lo sguardo sul pavimento e arrossì leggermente: “Non credevo che fosse un segreto, comunque l’ho detto solo a loro”.
    “Perché vai via già? Sei arrivato solo da un mese” chiese Vincenzo.
    “Meglio così. Anzi, dovreste smettere anche voi”;
    “Non ci penso nemmeno, perché dovrei?” sbottò Lorenzo altezzoso.
    “Perché questo non è luogo per dei marmocchi come voi. Alla vostra età dovreste fare altro” feci insolente.
    “Tu non devi dirci cosa bisogna fare. A me piace stare qui”;
    Cercai di apparire più comprensivo; mi sedetti sul tavolino basso davanti a loro e dissi: “Ascoltate: lo fate per denaro? Lo fate per divertimento? State prendendo troppo le cose alla leggera. Qui rischiate grosso. E se si venisse a sapere, sareste nella merda”.
    I due finsero di ignorarmi.
    “Un giorno vi ricorderete di me e delle mie parole” e gli ammonì comicamente con il dito, rilassando la situazione.
    “Non credo proprio. Non ci serve la tua morale” bisbigliò Lorenzo imbronciato.
    “Ragazzi non avete bisogno di stare qui per scopare” dissi sorridendo: “Siete due bei ragazzi e troverete un sacco di gente che vi sbava dietro anche fuori”.
    Poi aggiunsi, sempre per stemperare: “E vedrai Lorenzo che troverai qualcuno disposto a farsi pisciare addosso pur di scopare con te”;
    “E basta con sta storia!” urlò Lorenzo cercando di sferrarmi un calcio da seduto che io prontamente schivai alzandomi in piedi; gli altri due ridevano divertiti.
    “Oppure perché non convinci Vincenzo e vi mettete insieme voi due?” aggiunsi indicandoli con le dita.
    Neanche avessi detto qualcosa di scabroso, che i due sgranarono gli occhi e mi riempirono di disgustosi insulti, come quando a un bambino piccolo si dice di dare un bacetto sulla guancia a una bambina e questi vengono alle mani.
    Io rido e rincaro la dose: “Perché no? Sareste così carini insieme” e arruffai pesantemente i capelli, mentre questi cercavano di staccarmi la mano.
    “Non pensi Marco che formerebbero una bellissima coppia?”.
    Marco che se la godeva di gusto ripose: “Madonna” e subito fu riempito di pizzicotti e morsi dell’asino dai due che gli saltarono addosso.
    Divertito, gli lasciai soli e m’incamminai di sopra.
    Quando giunsi davanti alla porta chiusa dello spogliatoio, sentì le urla di Jury e Davide che, all’interno, stavano litigando.
    Rimasi qualche secondo ad ascoltare fuori, senza riuscire a comprendere il filo del discorso. Poi, poco dopo, uscì Davide scuro in volto che, senza neppure accorgersi della mia presenza, scese velocemente i gradini.
    Entrai incrociando il volto di Jury; questo, evidentemente, si aspettava il ritorno del compagno ed era pronto a gridare ancora.
    “Cos'è successo?” feci io chiudendomi la porta alle spalle e dirigendomi verso il mio scompartimento.
    “Ma niente, le solite cose…” divagò Jury.
    “Dai dimmi” gli feci mentre mi cambiavo rapidamente.
    “Ma no, niente di particolare. Ultimamente Davide si sta comportando in un modo che non mi piace. Non ti sei accorto che fa un po’ il prezioso?”.
    Non mi lasciai trascinare dai suoi discorsi. Mi sedetti a suo fianco e, prodigo quella sera di buoni consigli, decisi di aiutare, in un modo o nell’altro, quel ragazzo che aveva il merito di avermi iniziato a tutto questo.
    “Senti Jury, non so perché avete litigato, ma voglio chiederti una cosa. Tu ami Davide?”
    Io non usavo essere così esplicito e diretto, ne assumere quel ruolo, ma neanche Jury si aspettava di sentirsi dire quelle parole.
    “Come scusa?” domandò per rendersi conto di aver sentito bene.
    “Tu lo ami?” ripetei;
    “Come può dire una cosa del genere?“;
    “Mi vuoi dire che non provi niente per Davide?” senza aspettare una sua risposta, aggiunsi: “E’ vero che io vi conosco poco e non ho nessun diritto di permettermi di dirvi questo, però, nel poco tempo che sono stato con voi, mi sono accorto di come t’illumini quando arriva lui”.
    Dovevo essere stato convincente visto che Jury era ammutolito, quindi conclusi: “Se provi qualcosa per lui, non lasciartelo scappare”.
    Quasi inaspettatamente, Jury rispose basso: “Io non so se lui pensa quello che penso io”.
    “Secondo me sì, ma non si può esserne certi. Jury, se questo può renderti più felice, buttati. Non aspettare all’infinito. Davide non si permetterà mai di trattarti male”.
    Sorpreso di me stesso e alquanto fiero, uscì a effetto, lasciando, così come Marco, anche Jury rimuginare sulle mie parole.

    Se speravo in una sera come quella precedente, dovetti presto ricredermi. Se il sabato era stato da far pietà, il giorno dopo, se pur non c’era la solita trafila di persone, sicuramente non subentrò una sensazione di solitudine.
    Poco dopo le ventitré, arrivò Tommaso, il biondo che aveva fatto sesso con Marco la mia prima sera, che scelse me.
    A breve fummo nella camera due, ma io avevo la testa da un'altra parte, non badavo molto agli ammiccamenti del tipo, né avevo voglia di fare sesso con lui.
    “Mi hanno parlato benissimo di te, penso che ci divertiremo stanotte” sibilò Tommaso seduto davanti a me sul letto.
    Lo guardai per un istante e poi dissi: “Mi dispiace, riprenditi pure i tuoi soldi” e uscì velocemente dalla scena, lasciandolo imbambolato a guardare il corridoio.
    Nel salotto erano quasi presenti tutto il team, Flavio compreso.
    “Cosa ci fai ancora qui?” domandò vociante Alfredo.
    Lo ignorai: “Ehi Flavio, dammi le chiavi della tua macchina che devo andare”.
    “Che cosa?” fece Alfredo.
    Flavio mi sorrise e rispose: “Eh sì. E poi pensi di lasciarmi qui a marcire? Vengo con te” e si alzò dalla poltrona.
    Alfredo lo guardò sognante: “Che diamine sta succedendo?”.
    Anche Flavio ignorò il padrone e allungò la mano a Marco: “Tu pensi di rimanere qui? Su alzati”.
    Questo, imbarazzatissimo, che non pensava di essere coinvolto, si alzò lentamente.
    “Dai Marco veloce. Non c’è tempo da perdere” feci io.
    E ci dirigemmo verso lo spogliatoio a cambiarci, mentre tutti, Alfredo in prima fila, ci guardavano senza capire.
    Presto tornammo giù vestiti ordinariamente. Alfredo, adesso, ci aspettava in piedi, bloccando il passaggio verso l’uscita, pronto a una ramanzina.
    Approfittammo per salutare gli altri ragazzi: “Beh, questa è l’ultima volta che ci vediamo qui” esordì io con il sorriso sulle labbra: “Mi mancherete”.
    Senza chiedersi tanti perché, quasi tutti accennarono almeno un timido saluto.
    “Prima o poi organizziamo qualcosa, ok?” aggiunse Flavio.
    “Sei invitato anche tu” feci a Thomas, che m’ignorò.
    Guardai i loro volti, uno a uno, soffermandomi prima su Lorenzo e Vincenzo, poi su Jury e Davide.
    Jury rispose al mio sguardo prendendo la mano di Davide. Quest’ultimo sgranò gli occhi sorpreso e girò la testa verso l’amico che gli sferrò un bacio a stampo sulle labbra per poi guardarmi nuovamente ridente e arrossato.
    Io gli sorrisi. Poi affrontai Alfredo.
    “Si può sapere perché pensate di andarvene?” sbraitò lui, che in pochi giorni vedeva stravolto l’ordine generale del suo sistema. Il suono della sua domanda non appariva troppo crudele; Alfredo non aveva reali poteri su di noi e non poteva ostentare troppo nei nostri confronti per quella decisione.
    Colsi questo limite per ignorarlo ancora una volta e cercai di passare dall’altra parte del corridoio.
    “Non ti devo spiegazioni” risposi duro.
    Alfredo mi lasciò passare e Flavio era pronto a seguirmi.
    “Non mancarmi di rispetto, ricordati che qui io sono un’autorità e non ti permetto di…”;
    “Ahah ancora per poco” lo interruppi sprezzante: “Avrai presto mie notizie”;
    “Che cosa?”;
    “Sei sordo idiota?” provocai io sghignazzante.
    Il suo volto divenne paonazzo e cominciò a tremare per la rabbia; era meglio girare i tacchi.
    Quando anche Marco tentò di scavalcare il muro umano di Alfredo, quest’ultimo gli prese il polso:
    “Tu dove pensi di andare?! Voi non vi muovete di qui!” sbraitò arrossato.
    Alfredo se la prendeva con il più debole, non era perdonabile.
    Con una rapidità felina, Flavio strattono il braccio di Marco liberandolo dalla presa e spinse Alfredo: “Non toccarlo schifosa merda!”.
    Alfredo, che non si aspettava una reazione, così come il resto della platea silenziosa, rischiò di scivolare all’indietro, poi, recuperato l’equilibrio, esclamo paonazzo: “Ora basta!” e si diresse minaccioso verso di noi.
    Senza perdere altro tempo, cominciammo a correre verso l’auto e Alfredo cercò di starci dietro.
    Eravamo più rapidi di lui, ma sarebbe bastato il tempo per prendere l’auto e fuggire?
    Io ero il primo della fila e cercai con gli occhi la Punto grigia di Flavio. Presto riuscì a riconoscerla: era parcheggiata davanti alla strada, come se fosse pronta alla fuga. Che Flavio abbia pensato a questa eventualità?
    Ero arrivato dalla parte a fianco del conducente; avevo corso come un forsennato sotto la pioggia battente. Flavio e Marco erano più indietro e, incredibilmente, Alfredo era distante pochi metri.
    “Muoviti, cazzo!” incitai.
    Marco arrivò e poi Flavio. Questi prese le chiavi tremante e cercò la serratura. Il tremore complicava l'inserimento della chiave. Alfredo era a circa dieci metri da noi.
    “Cosa aspetti?!” urlai;
    “Cazzo… Cazzo!” ansimava Flavio;
    “Calmati! Ti prego… Inserisci quella chiave!” supplicava Marco.
    Tutto successe in una frazione di secondo: “Merda! Mi sono cadute!” esclamò disperato Flavio conscio che quei secondi sarebbero stati fatali.
    Impallidì e guardai Alfredo a pochi metri da noi: ora erano guai seri.
    E invece ci fu il colpo di scena; Alfredo scivola sul fango e cade rovinosamente, incapace di rialzarsi.
    Guardiamo increduli l’uomo rantolare nel fango. Ringraziamo il cielo per lo scampato pericolo.
    Flavio prende la chiave e la gira: siamo dentro, la macchina parte. E’ finita.
    Recuperiamo il fiato.
    “Destinazione?” domanda Flavio con voce ancora tremante.
    “Casa di Nicolò”.
    “Allora c’è tempo. Approfittane per spiegarci tutta la storia dal principio”
    “Certo, ve lo devo. Meritate una spiegazione dettagliata e minuziosa. Farò tanta fatica da credere che non la racconterò mai più così bene, quindi, aprite le orecchie”.
    E cominciai a raccontare.

    …….


    “… E questo è tutto”.
    “Sono sorpreso” commentò Flavio che era rimasto in rispettoso silenzio per tutto il tempo del racconto: “Sono sorpreso. Sapevo che sarebbe potuto succedere. Ma da te… Che tu sia stato in grado di tenere segreto tutto questo…”;
    “Si vede che mi sottovaluti” risposi divertito.
    “E quindi, cos’hai intenzione di fare adesso?” domandò;
    “Che cosa vuoi che faccia? Dirò tutto ”;
    “Ne sei sicuro? Non pensi alla fine che faranno gli altri ragazzi?”.
    Certo che ci avevo pensato.
    “Cercherò di nascondere alcune cose, ma non posso far di più. Lo sai che mi dispiace, ma servono delle prove e quindi...”;
    “Ma Nicolò! In qualunque caso, anche se loro non rischiano niente, saranno sempre coinvolti. Dopotutto, alcuni di loro sono diventati nostri amici con il tempo, e, sinceramente, a nessuno di loro auguro il peggio. Per quanta stima possiamo avere, per alcuni di loro sarà un trauma, per altri la vita sarà segnata per sempre”.
    “Per fortuna siamo tuoi amici” irruppe Marco: “Ma se non fossimo con te ora, su quest’auto, avresti coinvolto anche noi?”.
    Sulle parole dei due avevo già riflettuto a lungo, ben prima. Ma quando certi discorsi vengono pronunciati nella dimensione della realtà, il loro effetto è sempre assordante.
    “Certo che no Marco. Vi avrei avvertito di sicuro, ma, ripeto, io capisco tutto quello che mi avete detto, però… Non vorreste vedere anche voi Alfredo e Alessandro nel posto che meritano?”.
    “A parte che poi è tutto da vedere; non sarei troppo fiducioso…” commentò Flavio.
    “Che cosa devo fare? Dimmi tu allora”;
    “Io non lo so. È una decisione difficile e che lascio comodamente a te, però ricorda quello che ti ho detto. Anche se è vero… Sarebbe meglio che Alfredo e Alessandro non possano più nuocere ad altri…”.
    Appoggiai la testa sul finestrino e cercai di distrarmi guardando fuori: l’insegna diceva “Mestre”. Eravamo arrivati nella cittadina vicino a Venezia, a circa mezz’ora da Quinto, la città dove viveva Nicolò.

    “Ecco, quella è la casa” disse Flavio quando, qualche minuto dopo, fummo davanti all’abitazione.
    L’edificio era una villetta circondata da cespugli verdi e preceduta da un giardinetto di erba inglese rigorosamente in ordine.
    “Come fa a permettersi questa casa? Non vive più con i suoi, giusto?” domandai con un pelo di invidia.
    “No e non farmi commentare” rispose Flavio.
    Pensai che, effettivamente, non avrei probabilmente più avuto la possibilità di conoscere il parere del mio amico.
    “Che cosa farete adesso?” chiesi.
    “Beh, di certo, volenti o nolenti, non possiamo tornare indietro. Comunque non facciamo drammi. Qualcosa da fare lo troveremo. Ho messo via molti risparmi da questa esperienza. Ce la caveremo”.
    Flavio, che come me era uno studente universitario, avrebbe poi optato per la fuga. Per quanto riguarda Marco, che chiaramente va ancora a scuola, la situazione è un po’ diversa. Ma questa è un’altra storia.
    “Dai Nicolò, non aspettare oltre, che se no mi commuovo” ruppe il silenzio Flavio cercando di non far sentire il peso del saluto.
    Aprì la portiera e scesi dall’auto, poi mi rivolsi ancora verso l’interno: “Questo è un addio?”
    “Penso sia un arrivederci” concluse Flavio.
    Marco mi salutò facendomi cenno con la mano; chiusi la portiera e gli lasciai partire.
    La pioggia si faceva più fitta e scrosciante, ma non mi mossi fino a che l’auto non girò l’angolo per sparire nel buio della notte.
    Ora era il momento di dare una svolta definitiva, era giunto il momento di prendere una decisione e attaccarsi a essa con ogni mezzo: suonai alla porta di Nicolò.
    Dopo una decina di secondi sentì qualcuno camminare scalzo dall’altra parte, un passo leggero, poi la sua voce:
    “Chi è?” chiese sospettoso e preoccupato.
    “Sono Nicolò”. Attimo di silenzio.
    “Cosa ci fai qui a quest’ora?” domandò, sempre da dietro la porta: era mezza notte passata.
    “Dai, aprimi”.
    Nicolò mi aprì. Poi, mi pose, con voce adirata e sguardo duro, la stessa domanda.
    “Sono qui perché ho bisogno di parlare con te”.
    “Hai bisogno? E quando avevo bisogno io, tu dov’eri?” ribatté.
    “Mi fai entrare o mi vuoi lasciare prendere tutta la pioggia?”;
    Per un attimo avrei creduto che avrebbe sbattuto la porta. Invece, mi fece entrare.
    “Chiudi la porta e appendi la giacca lì”.
    Osservai in lungo e in largo la sua casa: era molto spaziosa e arredata con gusto. Essa comprendeva una scala a chiocciola, un camino, ora acceso, mentre i muri erano bianchi ed erano appesi dipinti e arazzi.
    “Ma come minchia ti puoi permettere tutto questo?” domandai io cercando di rompere il ghiaccio.
    “I miei sono divorziati e mi viziano” rispose freddamente sedendosi sul divano: “Mi stavo guardando la seconda serie di Dexter, quindi puoi far presto e andartene?”.
    Non nascondo di aver preso un pugno nello stomaco, ma ero consapevole che avrei potuto subirne altri, quindi cercai di abituarmici.
    “Ti ho chiesto scusa mille volte...”;
    “Cosa ci faccio delle tue scuse? Mi hai umiliato. Te ne rendi conto?”;
    “Non era certo mia intenzione. Avevo bisogno di tempo…” cercai di sembrare accondiscendente.
    “Si, infatti hai preso il tuo tempo, quindi hai dato una risposta. La verità è che se ti fossi andato bene lo avresti detto subito”.
    “Non è così. Le persone hanno bisogno di tempo per capire. Non ti avevo mai pensato in quei termini”.
    Nicolò mi guardò per una frazione di secondo, poi si mise a fissare nuovamente la tv con l’episodio sospeso.
    “Non me la fai Nicolò” disse: “Ti conosco abbastanza per capire quando sei sincero”.
    “Sono serio!” dissi io adirato per il fatto che fosse così saccente: “Cosa sono venuto a fare secondo te qui?”;
    “Che ne so. Hai rimorsi di coscienza?” commentò Nicolò senza impegnarsi troppo in una riflessione.
    Era davvero convinto di ciò che diceva o voleva solo fare il difficile?
    “No, Nicolò. Sono venuto qui perché ti devo delle spiegazioni, ma prima ti devo confessare una cosa...”;
    “Ah ecco” irruppe: “ Sentiamo dai. Cosa ti sei inventato questa volta?”.
    Non gli badai e dissi: “Innanzitutto io non sono venuto al bordello per soldi. Sono un informatore”
    Nicolò mi degnò del suo sguardo.
    “Sono stato incaricato di verificare se a Quinto lavorassero minorenni e, ora che lo so, posso avvisare un mio amico che è agente di polizia”.
    “Si, adesso mi vuoi far credere che fai parte della polizia?”;
    “No, non sono un poliziotto. Io, come ti avevo già detto tempo fa, faccio l’inserviente per mantenermi gli studi, ma non ti avevo detto dove lo facevo”.
    “E sentiamo… Perché l’hai fatto?” chiese Nicolò poco convinto;
    “Facevo un piacere a questo mio amico”;
    “Beh, perché sei rimasto tutto quel tempo? Hai visto subito cosa c’era. Non serviva farsi coinvolgere in quel modo”;
    “Non lo so...”;
    “Si vabbè dai. E’ una stronzata” concluse interrompendomi;
    “Prima di entrare al bordello, ero etero”.
    “Cosa?” rispose, stavolta veramente sbalordito.
    “Ma quante palle mi stai raccontando? Sei fuori di testa?”;
    “E’ tutto vero”.
    Non penso che Nicolò si fosse più degnato di preoccuparsi del bordello, del quale non ci metteva più piede da qualche tempo; si era concentrato sull’altra verità, in altre parole che “ero etero”. Ma fu dura recuperare la fiducia del mio amico e dovetti insistere a lungo per farmi credere. Ma alla fine ci riuscì.
    “Quindi, quando io ti ho chiesto... Sai cosa, tu eri etero?” domandò perplesso;
    “No” mi affrettai a rispondere: “Ero già bisex in quel momento”.
    Nicolò si portò la mano sul volto.
    “Ti giuro. Sono cambiato”;
    “Non si diventa gay Nicolò!” sbraitò lui: “Non si è mai sentita questa cosa. Io lo sono da quando sono nato, al massimo può esserci un periodo in cui ne diventi consapevole, non uno in cui lo diventi. Invece ne parli come se fosse una cosa così” e schioccò le dita.
    “Cosa ti fa essere sempre così certo di quello che dici?”;
    “E’ così”;
    “Tu pensi di saper tutto. Allora avevi immaginato che io sarei venuto qui?”;
    “No”.
    Era la risposta più accondiscendente che avevo ricevuto fino a quel momento: mi avvicinai a lui, fregandomene di sua qualsiasi possibile reazione evasiva.
    Quando notò che mi ero affiancato, gamba a gamba, cercò di allontanarsi, ma io gli afferrai la coscia con la mano sinistra e la tenni con fermezza.
    Dissi: “Si sincero con me. Dimmi che non provi niente”;
    “Non provo più niente” rispose lui;
    “Ora dimmelo guardandomi negli occhi!”.
    Il mio cuore batteva forte sul petto; non avevo mai fatto una cosa del genere, ma avevo lavorato tanto.
    Nicolò non si aspettava di certo tutta questa insistenza e tenacia, tutto quello che avevo fatto fino a quel momento lo sorprendeva sempre di più. Mi affrontava con orgoglio, ma senza mai guardarmi in volto, senza riuscire a eludere a pieno i suoi sentimenti. Cercavo di spingere lontano il suo rancore e per farlo dovevo spingermi io stesso.
    Nicolò alzò lo sguardo, le sue pupille tremavano: “Sei ridicolo, sei troppo abituato a non sentirti mai dire di no” bisbigliò.
    “Per favore!” gridai. “Non serve a nulla” aggiunsi senza smettere di guardarlo in volto, mentre lui aveva nuovamente abbassato lo sguardo: “Per favore, fallo per noi”.
    Nicolò non mi guardava, ma ora solleva le sopracciglia e batteva nervosamente le dita sulle gambe: per la prima volta avevo parlato in plurale, includendo me e lui.
    “Non posso più crederci… Come posso dopo che…” disse lui sottovoce.
    “E’ stata paura. Sono stato stupido. Molto stupido” lo interruppi.
    Mi guardò negli occhi per la prima volta.
    Gli sorrisi spontaneamente: “Puoi perdonarmi?”;
    “Non capisco perché insisti tanto…” chiese lui abbassando nuovamente lo sguardo.
    Chiusi gli occhi e lo abbracciai; Nicolò sobbalzò e mi bisbigliò: “Cosa fai?”.
    “Non è chiaro?” risposi timidamente: “Nicolò… Io ci tengo a te” dissi deglutendo imbarazzato.
    “Senti, capisco che tu voglia fare la pace e tornare amici. Ma non puoi venire qui, raccontarmi storie così e fare questo” disse sofferente, con sempre meno convinzione;
    “Non funziona così. Non possiamo tornare amici” dissi senza badare alle sue parole;
    “Ma di che parli?”;
    “Non dire altro” lo interruppi e smisi di abbracciarlo.
    E così fece. Nicolò non parlo più e mi guardò, aspettando la mia prossima mossa.
    “Da ora possono accadere solo due cose: o ci mettiamo assieme o non ci vediamo più, non c’è una terza via. Io fra tre secondi ti bacerò, sarà l’ultima cosa che mi vedrai fare, se mi bloccherai, e ti giuro su Dio che non mi farò mai più vedere. Ma se fra tre secondi rimarrai qui fermo e in silenzio, non ti lascerò più”.
    Nicolò mi osservò in uno strano silenzio.
    “Uno…” cominciai a contare lentamente;
    “Due…” deglutì sperando che non mi schivasse;
    “Tre” e lo baciai.
    Un breve bacio che mi fece assaporare le sue morbide labbra. Mi staccai e lo guardai. Nicolò era incredibilmente serio, scuro in volto. Non mi dava la sensazione di avermi assecondato, ma semplicemente di essere stato fermo, a vedere alla fine dove volessi andare a parare.
    Invece non era così. Perché in un lampo mi baciò ancora. E finalmente ci lasciammo andare senza freni inibitori, in un mix di lacrime e gioia.
    Dimenticammo per qualche momento tutte le nostre frizioni, i problemi e le titubanze.
    Ci baciammo, con gemiti liberatori. Questa volta le nostre lingue fecero conoscenza, sempre meno timide.
    Le mie mani accarezzavano i suoi riccioli, le sue erano sulle mie guance: quel momento era bello come mi aspettavo, se non di più, perché sudato e faticato.
    Guardai il mio primo ragazzo e gli sorrisi: “Posso dirti una cosa?”;
    “Cosa?”;
    “Mi sono sempre chiesto: le tue labbra sono rifatte? Sono così soffici e anche ora… Mi viene voglia di leccarle” e gli diedi una profonda leccata orizzontale.
    “Che stupido…” sorrise.
    Lo toccai per conoscere le sue forme: il suo corpo era lanciato e sodo.
    Anche lui cominciò a farmi suo, a prendere coraggio; sentivo la sua ingordigia, la sua voglia repressa in quelle mani delicate e indagatrici.
    “Nicolò” sussurrai: “Sei così bello…”.
    “No?” rispose lui: “Guarda” e si alza in piedi.
    Prima si leva la t-shirt mostrandomi il suo petto glabro, poi si toglie i pantaloncini lasciando trasparire il pacco.
    Nicolò si girò mostrandomi il suo sedere coperto: era veramente sodo, la sua parte più sensuale.
    Lo incitai a togliersi tutto. Visto che non si sbrigava a farsi vedere, chiesi impaziente: “Ma che aspetti?”;
    “Mi vergogno” mi fece girando il viso dall’altra parte.
    Lo trovai tenero; mi alzai in piedi, mi levai il maglione e la canottiera, infine jeans e calzini, rimanendo in mutande.
    Il mio membro era visibilmente in tiro e lo appoggiai da dentro le mutande al sedere di Nicolò. Lo abbracciai da dietro, accarezzandoli il petto turgido.
    “Facciamolo insieme” dissi.
    Nicolò si girò e prese il mio intimo, io il suo.
    Nicolò contò e le togliemmo contemporaneamente. Ora finalmente eravamo completamente nudi, uno davanti all’altro.
    Lui ammirò soddisfatto il mio pacco, in attesa di un mio giudizio sul suo.
    Il suo membro era barzotto, meno prosperoso del mio, ma deliziosamente liscio, pulito e glabro.
    “A quanto arrivi?” chiesi.
    “Venti”
    “Ma che bellino” feci con voce infantile e lo accarezzai goliardico.
    “Beh, il tuo è… Ciao” rispose lui segandomelo lentamente.
    “Pensa Nicolò, da adesso è tutto tuo. Bello eh?” feci io lussurioso.
    Nicolò si avvinghiò su di me baciandomi con grande foga. Aspettava questo momento da tanto tempo.
    Anch’io feci la mia parte; avevo sempre trovato Nicolò una personalità coinvolgente, attirato dai suoi modi un po’ bizzarri, ma ora mi accorgevo, sempre con più convinzione, di quanto mi piacessero le sue forme.
    Nicolò mi spinse sul divano, facendomi sedere, poi si mise a cavalcioni su di me, strusciandosi con il petto e con il membro sulla mia faccia e sull’addome.
    “Che fai?” bisbigliai io solleticato e divertito;
    “Non ti piace?” disse sorridendo e cominciò ad accarezzarmi la pelle con le sue dita affusolate, guardandomi con i suoi grandi occhi azzurri e facendomi rabbrividire ed eccitare sempre più.
    “Non ti piace?” ripeté;
    “Se mi piace?!” e lo lanciai al mio fianco, fiondandomi sul suo membro.
    Nicolò era pronto, ma io mi fermai:
    “Posso farti una domanda? È normale che due fidanzati si… Insomma… Facciano questa precisa cosa?”;
    “Ma che domande fai?”;
    “Non so…”;
    “Certo che a volte esci con delle sparate e mi chiedo se tu sia stupido”.
    Presi a succhiare, rumoroso e sguaiato. Leccai il glande minuziosamente, entrando alla ricerca di qualcosa; leccavo per lungo l’asta, poi ingoiavo tutto.
    Nicolò godeva e gemeva sommessamente. Penetrava con la mano i miei capelli; era troppo eccitante pensare che quel ragazzo, uno dei miei migliori amici, ora era il mio partner, il mio primo partner.
    Non mi ero reso conto a lungo di quanto fosse carino e sensuale. Di quanto fossimo affiatati. Lo consideravo un mio pari.
    Salì a baciare i suoi addominali e poi a leccare la corona dei capezzoli. Nicolò baciava la mia fronte e lasciava fare.
    Arrivai per l’ennesima volta alla sua bocca e ricominciammo a scambiarci effusioni.
    Nicolò si sdraiò ed io su di lui: le gambe e i piedi erano incrociati, così come le nostre braccia dietro alle nostre spalle, incapaci di muoverci se non nelle nostre bocche.
    Continuammo a baciarci per molto tempo; i nostri corpi si scaldavano a vicenda, o meglio, s’insudiciavano a causa della temperatura sempre più elevata.
    Le luci della sala erano molto basse e soffuse regalandoci un’atmosfera di quiete e di dolcezza che noi riempivamo con le nostre effusioni.
    Poi volli di più e liberai il mio braccio sinistro da sotto i capelli di Nicolò e gli alzai il bacino in modo di infilare il medio dentro di lui.
    “Vuoi già?” chiese lui arrossendo;
    “Da morire” risposi io preso.
    Nicolò mi diede una mano alzando da se il coccige ed io ci infilai gradualmente il dito lubrificato solo dal sudore.
    Intanto continuavamo a baciarci, mentre il dito sprofondava. Nicolò non si lamentava, ma sentivo il suo fastidio nel sobbalzare con la lingua dentro la mia bocca.
    A un certo punto entravo con estrema facilità, quindi, decisi di cambiare posizione.
    Un minuto dopo io ero sotto di lui, sdraiato supino e lui prono su di me con la faccia davanti al mio membro.
    Cominciò a ingoiare con foga: sentivo le sue labbra carnose sul mio scroto e poi sui miei testicoli: era l’unico, oltre al ragazzo di Flavio, capace di tanto.
    Sentivo bagnare il mio membro di uno strato caldo di saliva, sensazione inebriante che raggiungeva i nervi con le mie gambe, sempre più incontrollate, che accompagnavano l’amplesso.
    Io ero concentrato sul suo sedere sodo; penetravo con due dita, poi quando fui soddisfatto, feci sedere Nicolò sopra di me.
    Mi destreggiai a una velocità lenta e costante, perché non volevo finisse mai.
    Inizialmente, fu una scopata lenta e silenziosa goduta fino al midollo, alla ricerca di un romanticismo: muscolo su muscolo, guancia su guancia, scambiando effusioni. Sudavamo copiosamente l’uno sull’altro e leccavamo senza ritegno il sudore dell’altro. Il suo membro sfregava sul mio addome. Non parlavamo neanche più, ma gemevamo sommessamente e goduriosi. Io ero lui e lui era me, ognuno il prolungamento del proprio corpo e della propria “anima” sull’altro. Finalmente mi sentivo pieno, preso in quello che non era più solo sesso. Due ragazzi così belli ma celebrali, che per trovarsi avevano dovuto passarne tante, ora si univano in natura, più e più volte, nella più semplice naturalità. E non volevamo mai smettere.
    Cominciammo sempre più a perdere il controllo di noi. Quando ci stancavamo di una posizione, la cambiavamo, ma senza mai staccarci l’uno dall’altro. I miei occhi erano solo per lui, i suoi solo per me. Dopo essere stati seduti l’uno sull’altro, lo posizionai a novanta sul divano e rientrai subito senza complimenti. Nicolò alto e slanciato, non diceva nulla e si faceva fare con grande trasporto. Lo ingroppai così per un po’, gemendo come un cane sul suo orecchio. Nicolò guardava la scena e sospirava profondamente, eccitato dal sentire i miei guaiti a cui si lasciava andare anch’egli nei momenti di maggiore trasporto. Poi lo girai ancora e mi misi le sue gambe sulle spalle. Ripresi, ma presto dovetti uscire perché quando vidi il suo viso famelico, i suoi occhi blu e la sua bocca carnosa, dovetti stringermi su di lui e lui si di me perché troppo ci desideravamo. Volevo sbatterlo, ma allo stesso tempo baciarlo e averlo sulla mia pelle, ma non potevamo coordinarci perché troppo presi l’uno dall’altro.
    Lo presi e lo scaraventai sul tavolo di legno ampio e basso davanti al divano. Gettai a terra alla buona ciò che c’era sopra, spaccando anche un bicchiere, e fui dentro nuovamente. Qui lui incrociò le gambe dietro la mia schiena, con il bacino che rimaneva perfettamente sollevato per ricevermi in profondità. Lo penetrai con particolare impeto, tanto che le gambe del tavolo traballavano pericolosamente. Questa volta non fui gentile, e misi tutta la mia forza nell’impeto furioso dell’orgasmo. Gemevo sonoramente, accompagnando il gesto, e ora anche Nicolò si univa con urla sottomesse di chi soffre e potrebbe svenire dallo sforzo un momento all’altro.
    Finimmo per scivolare sul pavimento. Infradiciandolo di sudore. Non ci alzammo neppure, perché non disposti a smettere di fare l’amore. Quindi continuammo l’amplesso li, lui sopra ed io sotto, poi lui sotto ed io sopra e così tutta la sera.
    Scoprimmo che lo stile selvaggio ci si addiceva di più. La prima volta che Nicolò venne, riuscì a fermarsi in tempo, si sedette sulle ginocchia ed io supino sulle cosce aspettai e lo presi in gola, mentre mi teneva tra le sue mani. Bevvi assetato. Poi mi alzai e fu il mio turno: gli presi i ricci, mi conficcai dentro e mi lasciai scendere nell’esofago. Ci piacque e ne volemmo ancora. Ci collocammo nuovamente in ginocchio uno davanti all’altro segandoci subito da soli. Ci guardammo contorti in smorfie di piacere che interrompevamo solo per baciarci. Ci coordinammo per venire insieme. Mi distesi supino e Nicolò prono su di me con il viso sul mio membro e il suo membro sul mio viso e venimmo ancora. Ci sedemmo e scambiammo le nostre sostanze in bocca, che in parte colavano con la bava dalle nostre labbra. La vita breve nel bordello ci aveva reso più deliberatamente porci.
    Ci quietammo un po’, poi Nicolò propose di andare in doccia e si alzò. Dopo pochi passi, la vista del suo sedere e delle sue lunghe gambe toniche mi fece perdere nuovamente il senno e lo aggredì alle spalle, obbligandolo a piegarsi a novanta sul muro. Se lui era un po’ più sazio e opponeva una tiepida resistenza, io avevo ancora tanta fame e lo volli senza ragioni. Alla fine, vinsi e lo ebbi ancora.
    Io gemevo sguaiatamente, un po’ esagerando, lui più silenziosamente, ma dal suo profilo lo osservavo e vedevo le sue labbra pronunciarsi sempre in un sorriso soddisfatto. Era felice, felice di essere così desiderato da chi amava. Allora lo presi e lo girai, issandomelo in braccio e tenendolo per le sode natiche. Nicolò, sorpreso, incrocia le cosce sui miei fianchi e mi guarda meravigliato.
    “Ma che fai?” chiede imbarazzato. Infatti Nicolò, che era alto grosso modo come me, e di fisico leggero ma ben formato, non era un peso così semplice da gestire per uno della sua stessa taglia, se pur io fossi più forte di lui. In quel momento di adrenalinico trasporto e desiderio, non c’era comunque alcun problema.
    Cominciai a riempirlo di complimenti.
    Nicolò, evidentemente non abituato a tutte quelle smancerie, girò il capo imbarazzato, non nascondendo il sorriso. Presi allora a baciarlo sulla guancia ripetutamente.
    “Nicolò dai basta, smettila!” diceva tra un bacio e l’altro, ma intanto rideva. Lo misi a terra e mi girai di schiena: “Dai, sali”.
    “Ma per chi mi hai preso, per un bambino?”.
    “Sali dai” insistetti indifferente. Alla fine, mi salì in groppa senza troppa convinzione. Presi le sue gambe sensuali e le saldai alle anche.
    “Dov’è il bagno?”
    “Di là. Non facciamo prima se mi metti giù?”
    “Smettila di fare i capricci” risposi e lo portai in doccia, dove continuò la nostra serata.

    -


    Martedì mattina , ore sette, Massimo legò la sua bici di fianco all’entrata dell’ufficio, così come ogni giorno.
    In quel momento, giunsi in auto e scesi con affianco Nicolò.
    Massimo ci vide e ci salutò con la mano.
    “Beh tesoro, devo cominciare, oggi è il giorno”;
    “In bocca a lupo e fai così come abbiamo deciso. Non prendere iniziative”.
    “Crepi, ciao!” e gli lasciai le chiavi. Infine gli diedi un lungo bacio, tutto questo sotto gli occhi di Massimo.
    Ci salutammo ed io m’indirizzai verso l’entrata, mentre Nicolò entrò in auto.
    Appena entrato, Massimo mi corse comicamente dietro.
    “Scusa” mi fece: “Ti sei dimenticato di dirmi qualcosa?” chiese sbalordito.
    “Si, ho rivelazioni importanti da farti”;
    “Riguardano per caso una certa cosa che ho appena visto fuori? No, perché mi pare di aver visto bene”;
    “Ah tu dici quello” sorrisi: “Quello è il mio ragazzo, si chiama come me, Nicolò. Uno di questi giorni te lo presento”.
    Massimo mi guardava di sasso. Feci finta di niente e andai avanti: “Ma io ti volevo parlare del bordello. Ho le informazioni che ti servono, facciamo subito?”.
    “Si entra” mi fa lui, sempre guardandomi inebetito.
    Mi siedo sulla sedia davanti a lui e aspetto che anche lui faccia lo stesso, come di consuetudine.
    “Dimmi” mi fa cercando di concentrarsi.
    “Allora, cosa vuoi sapere?”;
    “Che domande... Ci sono o non ci sono minorenni?”
    “Si certo scusa. Beh, nel bordello…”

    Edited by ancient lover91 - 24/12/2016, 14:47
     
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    Ragazzo sei grande e io ti ammiro.Noi ti possiamo dare dei cosigli ma tu sei l'unica persona che possa finire questa storia nel come solo tu la sai scrivere.Il mio consiglio avendo letto tutte e nove le parti ed essendomi immedesimato in Nicolò inserviente della polizia sarebbe quello di raccontare tutta la verità facendo prevalere la colpa e la responsabilità su Alfredo e il cliente Alessandro.Facendo risultare i ragazzini e i ragazzi delle vittime innocenti incosapevoli di quello che andavano incontro esaltando il fatto che a loro piaceva si fare sesso ma che era l'adulto Alfredo a far esaltare in loro questo.Spero di leggere al più presto l'epilgo.Non lasciarci ora ti ammiro per dare a noi la possibilità di sentirci un po nostro il finale ma prendi tu in mano lultima volta il comando delle armi che sarebbe la tastiera per terminare il racconto.Sei forte
     
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    Ma se tutti i ragazzi risultassero innocenti come potrebbe essere incriminato il proprietario che non solo sarebbe assolto per mancanza di prove nel fatto che non ci sono minorenni, ma non potrebbe neanche essere incriminato per favoreggiamento dell'uso della prostituzione :)

    e poi, anche i ragazzi fossero considerati testimoni, saranno anni di processi senza dimenticare che la vicenda diverrebbe pubblica e la loro reputazione sarebbe compromessa per anni. :D

    Mi fa piacere che ti sia piaciuto e ti ringrazio x i complimenti.
    Non penso che ci sarà un seguito, diventerebbe una cosa infinita.Magari pensavo di fare un extra su un altro paio di personaggi, una cosa veloce di giusto un post, però prima voglio vedere se vale la pena, cioè se viene apprezzato da un pò di xsone ke mi facciano venir voglia di continuare. :D
     
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    Bene se te la senti potresti buttare giù un'ultima parte visto che hai lasciato un continuo nella nona parte e non una fine ,Tipo 9b e quindi rendere tutti noi partecipi di cosa dice Nicolò a Massimo raccontandogli tutto quello che lui vuole sapere ed essendoci monorenni ovviamente per la legge verrebbero incriminati e andrebbero a finire in un riformatorio ma Alfredo e Alessandro potrebbero essere accusati di aver portato dei minori a prostituirsi.Anche perchè sarà pur un racconto ma hai portato alla luce nudo e crudo quello che succede in un bordello quindi basta che tu dica a Massimo che in quel bordello vi sono minorenni,che lui fa fare una retata a sopresa e poi sarà la legge a decidere cosa è giusto e sbagliato per uno o per l'altro.Anche perchè uscendo da locale in quel modo Nicolò ha fatto uscire dal giro due ragazzi (Marco & Flavio) a cui ci teneva di più promettendo loro di farla pagare ad Alfredo e se loro non saranno nel locale se viene fuori un processo certamente possono dire quello che sanno contro Alfredo.Poi è andato a riconciliarsi con l'altro Nicolò mettendosi assieme e ciò Massimo ha visto con i suoi occhi ma essendo maggiorenni tutte e due tutto è legale.Ancient so che sarò stato confuso ma sei tu che sai scrivere meglio di me io ti ho dato solo degli spunti sempre se te la senti.Ovvio che io e tutti gli altri ci contiamo
     
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    Nico

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    Ancient, complimenti per questa serie di racconti uno più bello dell'altro!
    L'ottavo e questo sono quelli che mi sono piaciuto di più perché, oltre al sesso, sono emersi i sentimenti di Nicolò cosa che ho molto apprezzato. Il modo in cui scrivi mi piace e invoglia a continuare la lettura.
    Un consiglio: per quanto mi piacerebbe leggere un seguito penso che sia meglio terminare qui il racconto lasciando alla fantasia del lettore decidere cosa succederà :)
     
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    Grazie e seguirò il tuo consiglio :)
     
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  7. Prrri
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    spettacolare :D
    io non credo debba terminare.. non almeno come ci si aspetta... non con arresti o processi o quant'altro.. ma magari riprendere racconto e personaggi a qualche anno di distanza... potrebbe essere un idea.. o cambia storia e scrivine altri 9 episodi da paura come questi :D
     
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  8. hellscream
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    bello
     
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  9. atpac
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    dai non lasciare il racconto cosi è davvero buono!
     
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  10. oldmanny
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    bellissima la storia tra i due Nicolò, tanta dolcezza nel finale mi è piaciuta molto, ma ancora di più mi è piaciuto il finale -non finale, quel lasciare che ognuno dei lettori finisca a proprio modo il racconto.
    probabilmente dal punto di vista strettamente civico sarebbe auspicabile in finale con denuncia e quanto ne consegue anche se temo che come al solito gli unici a pagare sarebbero i più deboli.
    dal punto di vista del coinvolgimento come lettore sono più sulla linea di Flavio e Marco
    dal punto di vista emotivo una bella bastardata nei confronti di Alfredo ed Alessandro (in modo che ci rimettessero solo loro due) me la sarei aspettata e sicuramente la auspico.
    Su un eventuale post mi piacerebbe leggere qualcosa sul destino di yuri e davide come sul proseguo del rapporto dei due Nicolò.
    Comunque l'autore sei tu, quindi ogni scelta è lasciata alla tu asensibilità
     
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  11. hot91
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    Fine perfetta per una serie di racconti perfetti! Spero davvero che pubblicherai altri episodi perchè mi piacerebbe sapere come si sono evolute le cose per gli altri ragazzi del bordello, magari se hanno fatto o meno tesoro dei consigli elargiti da Nicolò il suo ultimo giorno in quel posto! In conclusione, ancora complimenti, hai davvero un talento innato!
     
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    Crescere significa anche assumerci la responsabilità delle nostre scelte e dei nostri errori. Ma crescere significa anche puntare a migliorare ogni giorno, fosse anche di poco...

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    Non so come hai fatto mai sei riuscito a legarmi ai tuoi racconti....questi nove episodi sono stati fantastici e appassionanti e sei riuscito a farmi calare nei panni del protagonista...grazie mille e specialmete moltissimi complimenti.
     
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  13. Clod94
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    ho letto tutti gli episodi in un giorno :D un racconto divertente e spontaneo nonostante sia difficile dire "anche a me è successa una cosa del genere" :P
     
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    Crescere significa anche assumerci la responsabilità delle nostre scelte e dei nostri errori. Ma crescere significa anche puntare a migliorare ogni giorno, fosse anche di poco...

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    beh dai racconta allora!!! sai ne puo' uscire un bellissimo racconto :)
     
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  15. Clod94
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    CITAZIONE (piccino @ 5/11/2012, 23:26) 
    beh dai racconta allora!!! sai ne puo' uscire un bellissimo racconto :)

    dici a me? :blink:
     
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19 replies since 4/1/2012, 23:38   3530 views
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