Il bordello

8° episodio: Finalmente Marco

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    CONTENUTO EROTICO E SESSUALE
    QUESTO RACCONTO NON E' ADATTO AD UN PUBBLICO MINORE DI 18 ANNI
    SE SEI MINORENNE TI INVITIAMO A LASCIARE IMMEDIATAMENTE QUESTA PAGINA



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    Capitolo Otto: Primo amore

    La mattina di quel sabato 21 gennaio 2012, fu fredda e plumbea, come tante in quel periodo. Una di quelle giornate che si trasmettono nell’animo.
    Così, come ogni mattina al sabato, alle sette mi apprestavo a iniziare il mio servizio all’ufficio di Massimo; quando entrai, come di consuetudine, stava bevendo il suo caffè accanto al termo e leggeva il giornale.
    “Buongiorno” mi accolse senza alzare lo sguardo dalle pagine;
    “Ciao” risposi con il mio solito tono assonnato di prima mattina.
    Feci qualche passo, poi mi fermai davanti a lui a poca distanza: “Non mi chiedi se ho novità?”.
    “Ha senso che lo faccia?” rispose piatto e ironico.
    “Uomo di poca fede” sorrisi.
    “Hai veramente delle novità?” mi chiese senza troppa convinzione, continuando a sfogliare il quotidiano.
    “Ho degli aggiornamenti di qualche tipo” risposi vago.
    Massimo non mi degnò di particolare attenzione e ne rimasi deluso; avevo preparato uno spettacolino ad hoc e mi aspettavo maggior partecipazione da parte sua.
    Lasciai perdere la parte “scenica” e dissi: “Insomma, l’ultima volta che sono stato lì, ho parlato con un ragazzo accompagnatore…”;
    “Era minorenne?” m’interruppe Massimo.
    “E lasciami parlare!” sbottai io divertito.
    Massimo chiude il giornale e, finalmente, mi presta attenzione.
    “Come dicevo, ho parlato con questo ragazzo che non è minorenne. Ha vent’anni” presi spunto raffigurandomi Nicolò nella mente: “Ho cominciato a farmelo buono, a creare un buon rapporto e mi sono lasciato promettere che stasera ci incontreremo. Così, per parlare del più e del meno” e feci una sorta di occhiolino a Massimo.
    “Eh, sono stato bravo Max?”;
    “Non gli hai detto per caso che sei una spia, vero?”;
    “Che domande”;
    “Non gliel’hai fatto neanche supporre?”;
    “Stai offendendo la mia intelligenza” risposi fingendomi adirato.
    “Bene, bravo” e riprese a leggere il giornale.
    “Bravo? Solo bravo? Ti ho trovato un testimone e tu mi dici bravo?”;
    “Che cosa volevi? Un premio? Forse ti stai dimenticando da quanto tempo sei li”.
    “Forse ti stai dimenticando che io ti sto facendo un piacere”.
    “Un piacere costoso Nicolò. E comunque, io non ho ancora uno straccio di prova. Quindi…” e si mise il giornale aperto davanti alla faccia: “fino a ora sei stato un autentico fallimento”.
    Non c’era minimamente cattiveria nella sua voce; voleva disinteressatamente provocarmi.
    “Guarda Massimo” e simulai un fastidio nella mia voce: “Ringrazia che non sei una donna se no ti avrei già presa a ceffoni” e ci mettemmo a ridere pensando alla battuta di Peter Griffin.

    Ora, magari, vi starete chiedendo perché io abbia compiuto un’ennesima recita, prendendomi gioco del poliziotto, invece di raccontare tutte le mie disavventure e tutte le verità di cui aveva bisogno. Ne avevo il dovere oltre che il diritto, no? Beh, ho i miei motivi.
    Secondo voi avevo paura? La tipica paura di chi è violentato? Di chi ha timore ad ammettere la sua umiliazione? O la paura di eventuali ripercussioni? No.
    Forse sono un cretino? Probabilmente. Ma avevo due motivi chiari, due motivi personali che avevo maturato, nel bene e nel male, nella mia parentesi con Alessandro, due motivi che mi spingevano a tornare ancora quella sera.


    Erano le ventidue e quindici. Mi preparai psicologicamente ad affrontare Nicolò.
    Quando entrai nel piano bar mi sorpresi di non trovarlo seduto a bere il suo solito drink. Non era l’unico a mancare; quel sabato c’era una scarsa affluenza nella sala, ma era ancora presto. Quindi decisi di aspettarlo lì e, intanto, ordinai un mojito.
    Aspettai fino a che mancarono venti minuti alle ventitré, lasciando che il drink aiutasse il mio spirito a prepararsi all’imminente discorso con il mio amico, ma di Nicolò non vi fu traccia. Eppure, mi sembrava di aver visto quasi tutti i miei compagni salire e scendere dalle scale. Invece, la clientela rimaneva rada. Qualcosa non andava; aspettare oltre sarebbe stato inutile. Scolai il secondo mojito e mi diressi verso lo spogliatoio, dove trovai il solo Flavio.
    “Ben arrivato” fece ironico;
    “Ero giù da mezz’ora” risposi piatto.
    “Allora saprai già delle novità” sentenziò lui, quasi mi avesse letto nel pensiero.
    “Ho notato che c’è poca gente sì, come mai?”;
    “Dovresti intuirlo” rispose.
    Come faccio a intuirlo? Intuire cosa? Pensai innervosito dal suo modo di fare.
    “Non lo so” mi limitai a dire.
    “Ma allora non sai niente?” disse. Non risposi, ma mostrai con i gesti il mio disappunto.
    “Strano però, dovresti esserne al corrente più di me” poi si affrettò ad aggiungere, notando il mio fastidio sempre più grande nei confronti dei suoi messaggi criptati: “Comunque, da oggi, la nostra squadra si è ridotta a dodici elementi”.
    “Sono andati via due di noi?” domandai retoricamente e sorpreso.
    “Esatto. Francesco e Nicolò” e, al nominare quest’ultimo, mi mandò una frecciatina con lo sguardo.
    “Perché dovrei sapere il motivo del loro ritiro?” chiesi cercando di apparire puramente sincero.
    Flavio rimase in silenzio per alcuni secondi, ma il suo sguardo mi diceva di non fare lo gnorri.
    “Beh, ti ricorderai cosa ha combinato Alessandro a Francesco l’ultima volta, no? Tu non c’eri?”.
    Come potevo dimenticare? Il dolore, l’umiliazione mia e dei miei compagni, le urla strazianti provenienti dalla stanza accanto alla mia, infine, lo sguardo di Francesco perso nel vuoto.
    “Più che visto, l’ho vissuto” risposi, continuando a pensare alle sue urla.
    “E’ già tanto se quel poveretto ha trovato la forza di chiamare Alfredo e dirgli che non sarebbe più venuto”.
    “Che fine ha fatto quel bastardo?” chiesi.
    “E’ scappato, ma sono sicuro che fra due o tre mesi lo ritroveremo di nuovo”.
    “Non può passarla liscia” commentai;
    “E’ sempre così Nick, cosa possiamo fare noi? Comunque Alfredo ha spiegato ad alcuni clienti stretti la situazione e, questi, si sono fatti da parte. Sai anche loro sono amici di Alessandro. Per questo, oggi, anche se è sabato, c’è poca gente. Alfredo sta cercando nuove persone”.
    Non stetti troppo a sentirlo, ma pensavo e ripensavo sempre ad Alessandro.
    “Fidati Flavio, la pagherà”;
    “Lascia perdere ti ho detto. È una causa persa. Ti avevo detto o no che è lui il motivo di molti ritiri? L’hai visto con i tuoi occhi”.
    “Te lo giuro Flavio, non la passerà liscia, ha finito di divertirsi” insistetti.
    Mi scrutò più attentamente per capire se fossi credibile o se parlavo a vuoto.
    “Presto ti dirò tutto” aggiunsi.
    “Stai facendo sul serio?” chiese lui ancora indeciso.
    “Qualche giorno. Qualche giorno e ti dirò ogni cosa”.
    “Se hai qualcosa da dire perché non me la dici adesso?”;
    “Non è ancora il momento. Ma, ti ripeto, è questione di poco tempo e ti rivelerò alcune cose su Alessandro e sul bordello”.
    Ora Flavio era seriamente preoccupato: “Che cosa vuoi dire? Nicolò, non è il momento di giocare. Che cosa significa? Adesso stai chiamando in causa me e anche il mio ragazzo”.
    Sorrisi, cercando di tranquillizzarlo: “Stai calmo. Noi non rischiamo niente, io, te, i nostri amici, niente. Non lo permetterei mai” e infine: “Nei guai ci andranno solo alcune persone. Innanzitutto Alfredo. E poi non risparmierò Alessandro. Maledirà il giorno in cui mi ha incontrato”.
    Flavio continuava a scrutarmi molto nervosamente. Io capivo il suo stato, capivo che non era facile essere messo in discussione da qualcosa di cui s’ignorava: non c’è niente che non faccia più paura di un nemico che non si conosce, ed io, in quel momento, ero una sorprendente minaccia. Eppure, così come speravo, Flavio, invece che bombardarmi di domande, decise di lasciar perdere. Almeno per il momento.
    “Ok, mi devo fidare. Dopotutto, se mi dici che Alfredo andrà in merda, non posso che approvare la cosa, anche se non ci credo molto. Quando vorrai, sarò pronto a sentirti. Ora andiamo prima che siano gli altri a insospettirsi” e scendemmo cercando di divagare su altri argomenti: purtroppo, arrivando a parlare dell’altro ritiro.
    “Ho chiamato Nicolò l’altra sera e mi ha risposto che si era stufato di venire, senza un motivo particolare. È possibile che tu non sappia nulla?”;
    “Ancora! Io non so niente!” risposi a mo’ di cantilena.
    “Tu non sai mai niente!”.


    Quella sera, così come si preannunciava, fu magra; alle due e un quarto non mi ero mai mosso dalla poltroncina, così come alcuni di noi, mentre la maggior parte degli accompagnatori era stata chiamata in causa una volta soltanto e, nel momento di massima, le due e quindici per appunto, eravamo ben sei in sala, più Alfredo ad aspettare non si sa chi.
    Non che il far niente m’infastidisse, tutt’altro: la mia trasgressività si era spenta, la mia voglia malsana si era come esaurita, e tutto ciò era avvenuto l’ultimo mercoledì, durante la traumatica esperienza in camera con Alessandro.
    Vi ricordate quando vi ho parlato, durante il rapporto tra Kevin e Alessandro, che io sentivo, in qualche modo, una sensazione diversa rispetto alle precedenti? Un rapporto più romantico, più intimistico e che provai un piacere diverso e ancora più intenso? Ebbene, avevo riflettuto su ciò, e la mia tesi era stata rinvigorita dalla violenza subita successivamente. Due esperienze così diverse, così agli antipodi, mi avevano fatto distinguere due tipi di relazioni che terminavano nel sesso: quella che nasceva nella libido e quella che era concepita dall’amore.
    Banale vero? Sì, ma vi giuro che, per me, questa era una cosa nuova: se prima potevo solo supporla dal continuo sentito dire, ora la provavo sulla mia pelle, e la cosa è ben diversa.
    La relazione sessuale che nasce dalla libido è sostanzialmente il sesso che avviene per una passione narcisistica, biologica e istintiva il cui scopo è il piacere fine a se stesso, lo sfociare di una passione comune in un rapporto riproduttivo.
    La relazione che parte dall’amore, invece, ha bisogno di una componente diversa, ovvero il piacere disinteressato verso l’altro, verso lo stare con l’altro, e per “altro” è inteso la persona che, in qualche misura, si distingue dagli altri individui.
    Tornando a parlare come si mangia, insomma, io per vent’anni ho sempre fatto sesso per libido, poi ho cominciato a percepire i sentimenti di Nicolò, poi ho visto il rapporto, tra cui quello di Kevin e Alessandro, e il mio rapporto con il sesso si è un po’ modificato, ma nemmeno io saprei spiegare in che modo.
    Il punto era che io non avevo più nessuna intenzione di fare l’accompagnatore e, come molto probabilmente avete sempre intuito, la decisione di andare ancora era dettata da due persone: Marco e Nicolò e uno di loro non c’era; ben venga che non debba far nulla.

    Alle due e trenta, entrarono tre vecchietti arzilli vestiti comicamente in smoking bianco.
    “Certo che non finiscono mai di stupirti qui” dissi ridendo rivolto a Flavio mentre questi si avvicinavano al gruppo.
    “Sei scemo Nicolò? Questi tre sono i migliori di tutti” rispose divertito l’amico.
    “Come?”;
    “Loro sono tre ricchi zitelli da far schifo e, purtroppo, vengono pochissimo qui. È una fortuna che ci siano proprio oggi”.
    Immaginai, nolente, Flavio avere rapporti sessuali con quei tre, rabbrividì. Poi, come sembra aver preso gusto a fare quella sera, mi lesse nel pensiero.
    “Loro non scopano mai con noi; in genere ci portano nelle stanze e si mettono a chiacchierare, ci offrono da mangiare e da bere, ci raccontano le loro storie. Ripeto: sono i migliori”.
    “Ah bene, allora oggi pagheranno la merce nuova” dissi.
    “Eh no, cazzo” rispose Flavio indispettito: “Non mi rubi i clienti”. Fu la prima volta che vidi Flavio manifestare iniziativa e interesse verso dei clienti e ne rimasi quasi basito.
    “Ehi vecchio campione! Le azioni come stanno andando?!” chiamò Flavio rivolto a uno dei tre, cercando di attirarli a sé.
    “Adesso ti racconto Flavio” rispose il vecchietto che aveva riconosciuto il ragazzo: “Sono andate anche meglio di come pensassi”.
    “Abbiamo portato anche lo champagne per festeggiare” disse un altro di loro alzando le due bottiglie che aveva in mano, come se nessuno le avesse già notate.
    “Che vino è?” chiese Flavio, rivolto ora al secondo signore.
    “Barolo del 1955” rispose orgoglioso.
    “No! Sul serio?!” disse Flavio continuando la sua pantomima. Si rivolse verso Marco, il suo ragazzo, a suo fianco e disse: “Ma non era il Barolo il vino che ti ho fatto assaggiare l’altra sera a cena?”
    Marco non rispose; non era in grado di sorreggere la recita del partner.
    “Tipo del 97’ Marco, giusto?”;
    “Si” rispose timidamente.
    “Ah del 97!” esclamò l’ultimo dei tre: “Flavio ma non ti abbiamo insegnato niente? Questi vini sono d’annata, non puoi consumarli così presto”.
    “Eh ma sai, costava poco” rispose a testa bassa Flavio, cercando di ottenere la loro compassione.
    “Ma smettila Flavio, sai che non mi piacciono questi discorsi. Mi rattristano” continuò l’uomo con le bottiglie: “tra l’altro non è che sto vino sia un granché. Ne volevamo due del 77’ ma non ne avevano, sti qua. Ma io dico come si può…”. Penso sia chiaro che , per 77’, intendesse 1877.
    “Dai Flavio vieni con noi che ti racconto com’è andata la storia e porta anche il tuo paperino” disse il primo vecchietto a cui Flavio si era rivolto all’inizio.
    “Agli ordini” rispose Flavio e i cinque lasciarono lentamente la sala.
    Bisognava dire che i tre avevano un aspetto bizzarro e simpatico e Flavio aveva fatto bene a prenderseli per se e per il suo ragazzo: soldi facili.
    Ora, oltre a me e Alfredo, erano rimasti in sala: Marco, Jury e Davide, tutti e tre impegnati in una discussione animata.
    Rigo era il più vicino alla mia postazione, ed era il momento di agire.
    “Marco… Bps… Marco…” sussurrai al vicino. Marco mi degnò d'attenzione.
    “Devo parlarti in privato” gli feci.
    “E’ urgente?”.
    Ci pensai: “Non è urgente, ma non so se avrò un'altra occasione”. Rimanere nel vago è sempre un’arma seducente.
    “Ok Nicolò, vediamo. Reggimi il gioco”. Poi si rivolse ad Alfredo: “Devo andare in spogliatoio”.
    Alfredo che stava facendo gli affari suoi con il suo Iphone rispose: “Che cosa vuol dire che vai in spogliatoio? Quante volte ti ho detto che non si sale prima delle cinque?”.
    “Alfredo mi viene da vomitare. Io e Nicolò andiamo in bagno”.
    Certo che se la sua scusa doveva essere quella, per lo meno poteva sforzarsi di fingere di sentirsi male!
    Alfredo levò per un attimo lo sguardo, per poi riprendere a smanettare sul telefono.
    “Non mi sembra che tu stia male” sentenziò.
    “ Ti devo gettare sul tappeto?” rispose brusco.
    “E poi perché dovrebbe venire anche lui?” e indico me con il pollice verso.
    “Ehm…” Marco aveva difficoltà a inventare una scusa credibile.
    Vista l’assurdità del momento, dissi questo: “Ho fatto il corso da bagnino, conosco ogni sorta di protocollo Bls”. Per dire la verità, non ho mai fatto il bagnino, esiste un solo protocollo basic life support e il bagnino è Flavio.
    “Ah sei bagnino! Ma non credo che Marco morirà affogato nella tazza del cesso! Comunque se ci tieni tanto vai, ma fra dieci minuti dovete essere qui!”.

    -

    “Che goldone” sentenziò Marco durante il tragitto sulle scale.
    “Si… La tua scusa faceva schifo”;
    “Sì perché la tua?” rispose divertito.
    “Abbiamo guadagnato non più di venti minuti” dissi;
    “Ma va. Che cosa vuoi che gli interessi a quello li? Potremo star su tutta la sera e non alzerebbe il suo grosso culo per venire a cercarci neanche se girassero voci sulla mia morte”.
    Beh dai, era simpatico. E veritiero.
    Entrammo e ci sedemmo uno accanto all’altro sulla panchina.
    “Allora mi dici cosa c’è?”
    Era il momento. Lo ammetto, avevo le palpitazioni.
    “Beh allora…” la prima cosa che pensai era di dirgli che non fosse nulla di serio e importante, ma facendo così mi sarei sminuito.
    “Non voglio fare tanti giri di parole” dissi cercando di reggerli lo sguardo.
    Lui mi fissava ingenuamente incapace di comprendere il mio stato d’animo.
    “Ti ricordi la sera che sono venuto?” chiesi.
    “Non ricordo la sera, ricordo che sei venuto” rispose divertito. La domanda era proprio insulsa.
    “Ma ti ricordi che quella sera hai fatto sesso con un uomo biondo, alto…”. Che stupido, pensai, come poteva ricordarsi con una descrizione così generica?
    “Uhm, non so. Penso tu parli di Tommaso. Xe un gran fio quello! Bravissimo!”;
    “Si ok, ma non è questo il punto… Io quella sera ti ho visto dalla televisione di Alfredo...”.
    “Ah si? E ti è piaciuto?”;
    Eccome se mi era piaciuto.
    “Sì, abbastanza”.
    “E, e… Cosa ci facevi da Alfredo?”;
    “Anche questo non è importante, il punto è…” m’interruppi cercando le parole migliori.
    “Penso di essere rimasto colpito” conclusi, scandendo le parole.
    “Non capisco” rispose sincero Marco.
    “Marco penso di essere, come dire, interessato a te” non riuscì a spingermi oltre.
    Marco non si aspettava di certo una mia dichiarazione e rispose con tono grave: “Cioè, ci stai provando con me?”.
    Mi sentì enormemente ridicolo. Il tono che aveva usato aveva sottolineato la situazione in cui un vent’enne, che tra l’altro fino a un mese prima pensava di essere indiscutibilmente etero, ci provava con un ragazzo, per lo più di sedici anni.
    Cercai di accorciare il tiro: “Diciamo che mi piacerebbe… Insomma… Provare a uscire con te”.
    Marco percepì la risposta come una completa affermazione alla sua domanda e sorrise compiaciuto.
    “Wow… E’ fantastico” disse.
    “Lo è?” domandai con gli occhi luccicanti per la gioia.
    “Non avrei mai immaginato che io potessi piacerti”;
    “Quindi?”;
    “Nicolò, va bene. Come dici tu… Proviamo”.
    Ero al colmo della felicità: per la prima volta mi ero dichiarato a un ragazzo e questo ci stava; se prima pensavo che fosse una delle situazioni più ridicole in cui fui protagonista, ora mi complimentai con me stesso per aver scelto le giuste tappe per la riuscita della mia causa.
    "Veramente non me l’aspettavo” disse lui;
    “Anch’io” risposi senza badarli troppo, distratto dalla mia gioia interiore.
    “Cioè tu Nicolò… Sei il migliore” continuò.
    “Non esagerare adesso” risposi imbarazzato;
    “No no, sul serio. Sei davvero il migliore di tutti qua dentro, cioè sei fantastico. Tutti quelli che mi parlano di te mi dicono che sei un dio a letto che conosci tante posizioni, che le fai una meglio dell’altra, che sei coinvolgente come pochi”.
    Marco pensava che, in questo modo, mi stesse omaggiando. In realtà, non faceva che rovinare la mia felicità. In sostanza, continuava a evidenziare la mia fama da playboy che, di per se, era positiva, ma a me non importava. Io volevo essere considerato un ragazzo in un altro senso, un ragazzo da apprezzare per altri tipi di doti.
    Certo che i miei comportamenti avevano fatto di tutto per portarmi a questo punto; speravo solo che almeno Marco potesse non citarli.
    Di certo, non potevo incolpare lui per questo; gli avrei insegnato ad apprezzarmi per altri motivi, così com’ero io curioso di conoscere ogni aspetto di quello che poteva essere il mio primo fidanzato, ma contavo sulla pazza idea che avrebbe capito tutto questo senza che io l'ho spiegassi.
    Chiedevo troppo.
    “Mi fa piacere sapere che hai un gran rispetto per me in quel senso, ma io vorrei creare un rapporto di tipo diverso, capito? Basato su altri discorsi”. Non volevo essere un bacchettone, ma qualcosa dovevo dirli. Odiavo essere io a fare quei discorsi, quando, nella mia vita, gli avevo sempre orgogliosamente subiti.
    “Si certo Nick, ma io volevo solo...”;
    “Ho capito” lo interruppi: “Lo so che sono il migliore” e sorrisi consenziente.
    Marco rispose al mio sorriso e si creò una prima intesa.
    Ci fu una lunga frazione di tempo in cui lo guardai, così, senza motivo, e lui lo stesso.
    Ci guardavamo sorridenti e imbarazzati, incapaci di cominciare un nuovo discorso o fare qualcosa. Fu lui, incredibilmente, a prendere un iniziativa: mi abbracciò, sempre rimanendo seduto.
    Non risposi subito all’abbraccio; la situazione era insolita: solo ora mi chiedevo cosa avrei dovuto fare in un momento del genere.
    Il mio sguardo era fisso sulla sua vestaglia rossa, uguale alla mia, o meglio, sull’apertura che mi permetteva di guardare il suo petto. Sia ben chiaro, era casuale che guardassi dentro.
    “Cominci sempre così quando un ragazzo ti si dichiara?”. Trovai la forza di scherzare.
    “Ahah, si” rispose divertito.
    Trovai il coraggio e incrociai le mie braccia dietro la sua schiena. Chiusi gli occhi e assaporai il momento: finalmente Marco, finalmente potevo toccare il suo corpo sodo, potevo inebriare il mio olfatto con il suo odore potente che percepì sin dal primo giorno. Potevo farlo mio, era mio.
    Tutto era nuovo, tutto era ancora poco delineato nella mia mente ancora in un limbo di sensazioni.
    “Quanti ragazzi hai avuto Nicolò?” irruppe lui;
    Perché chiedermelo in quel momento?
    “E’ importante?” chiesi senza smettere di abbracciarlo, guancia a guancia.
    “No, assolutamente” rispose lui più dolce: “Era solo curiosità...”;
    “Nessuno, tu sei il primo”;
    “See…”. Marco sciolse di un po’ la sua presa per potermi guardare: “Dai, sii serio”.
    Fui un po’ infastidito dalla sua reazione, ma tranquillamente risposi: “Sono gay da poco, è la verità”.
    Non avevo nessuna voglia di spiegarli tutto il mio percorso, avrei riservato quella rivelazione per un momento più opportuno, ora volevo godermi il momento.
    Mi accorsi che Marco era ancora un po’ dubbioso, ma non diedi troppo conto, così come per il fatto che mi guardasse a un palmo dal naso. Fissai il suo viso dai tratti duri; mi sorrideva appena e potevo vedere l’arcata superiore della sua bocca, i suoi denti allineati, bianchissimi, i suoi occhi umidi e scuri, le sue labbra color pesca: ci baciammo.
    Presto le nostre lingue si conobbero. Sentivo una sensazione di freschezza nella sua bocca; Marco baciava benissimo, le sue labbra erano vellutate e dentro la mia bocca, la sua lingua regnava sovrana. Avrei voluto continuare a lungo, ma non li.
    Approfittai di uno di quei momenti in cui prendevamo il respiro per alzarmi.
    Gli presi le mani nelle mie e lui mi guardò senza capire, rimanendo seduto.
    “Su dai, andiamo di sotto prima che Alfredo cominci a sentire dei sentimenti umani che assomigliano alla preoccupazione”;
    Marco mi sorrise e si alzò, poi allargò le sue braccia e le mise attorno al mio collo per baciarmi ancora: “Cosa t’importa? Restiamo qui”. Continuava a baciarmi per convincermi a cambiare le mie intenzione, ma io insistevo: “Perché non vieni a casa mia stasera?” proposi.
    “Non posso. Mia mamma pensa che sia in giro fino all’alba con i miei amici”. Marco mi sorrise un po’ imbarazzato; in fin dei conti, aveva solo sedici anni.
    “Avremo presto l’occasione per riprendere, ho il tuo numero”;
    “Dai Nicolò facciamo adesso”.
    Come? Voleva già passare al dunque?
    “Non dovremo aspettare ancora un po’?”;
    “Insomma” continuò lui avvicinandosi pericolosamente al mio corpo con il suo: “Perché essere così tradizionalisti?”.
    “Ma se poi non funziona?” piagnucolai io sempre meno convinto, asfissiato dal suo profumo e del suo calore.
    “Io sono sicuro che funzionerà” commentò lui.
    Le mie mani involontariamente si aggrapparono ai fianchi del suo petto, all’interno della vestaglia di seta. Il contatto con la sua pelle ruvida cancellò ogni mia resistenza.
    Marco soffiava; il suo respiro caldo sul collo accese i miei bollori faticosamente sopiti.
    Il mio silenzio fece intuire a Marco che ormai ero a un passo dalla perdizione: “Perché non mi fai vedere qualche tua tecnica che ti ha reso così popolare?” mi sussurrò all’orecchio sinistro.
    “Io non ho tecniche particolari, sono semplicemente una macchina del sesso” risposi ora voglioso, preso dalla situazione.
    Lo liberai dal suo vestito e lo strinsi a me: ora il suo corpo così sodo e lanciato potevo vederlo direttamente con i miei occhi e toccarlo quando volevo...
    Ci baciammo con più ardore, poi lo diressi a sdraiarsi sulla panca dello spogliatoio.
    Sciolsi il nodo del mio vestito e rimasi completamente nudo.
    Marco si alzò di scatto; non aveva capito che lo avevo appositamente disteso.
    Fu lui stavolta a stringersi addosso a me, muscolo su muscolo. La sua iniziativa mi piacque, sentire il suo membro sul mio, entrambi eretti. Era fantastico.
    Limonavamo con foga e, nel frattempo, esploravamo i nostri corpi con le mani.
    Non avrei pensato , appena un giorno prima, che sarebbe stato così facile trovarsi in quella situazione.
    Succhiai il suo collo con ingordigia, mentre lui accarezzava i miei capelli fluenti; non so se lui provasse ciò che provavo io per lui, ma al momento m’importava poco.
    Passò a succhiarmi i capezzoli e ora ero io ad accarezzare i suoi capelli mori, dal taglio moderno. Lo sentivo scendere lentamente verso le parti erogene, leccando ciò che incontrava.
    Come ci si deve comportare in questi casi? Devo lasciare che il mio ragazzo mi faccia quel servizio che, se fossero stati altri, non mi sarei neanche posto il problema? Per la prima volta, mettevo in discussione le basi. Mi sentì smarrito.
    “Marco, Marco! Sei sicuro di volerlo fare?” chiesi sinceramente.
    Marco non si sprecò neppure a riflettere un attimo: “Certo che voglio farlo!”. Sembrava molto sorpreso dalla domanda.
    Subito dopo, lo prese; ci sputò sopra e lubrificava con la saliva.
    Fin da subito mi piacque, però c’era qualcosa che non andava. Mi sarei aspettato un maggiore coinvolgimento. Inoltre, il problema non era l’atto in sé, fu il fatto che me lo facesse: non sarebbe dovuto succedere così presto. Era questo che non riuscivo a smettere di pensare.
    Lo allontanai dal mio membro, spingendo dalle spalle.
    “Cosa c’è?” chiese lui infastidito.
    Lo feci alzare per poi sdraiarlo nuovamente sulla panca e io sopra di lui.
    “Ma a te piace solo questo?” chiese sorridente, ma senza aspettarsi una risposta.
    Ricominciai a baciarlo passionalmente accarezzandogli il viso e il busto. Lui mi teneva la mano dietro la testa e penetrava in profondità con la lingua. I nostri corpi si agitavano e si scaldavano a vicenda, le nostre gambe erano avvinghiate tra loro incapaci di divincolarsi.
    Cominciai a scivolare lentamente sul suo corpo ancora fresco e ben presto fui davanti al suo membro: di nuovo mi trovai a riflettere sul da farsi.
    Era chiaro che Marco non vedeva l’ora, ma io continuai a temporeggiare.
    Che fare?
    Marco piegò le gambe e le allargò leggermente per saldarsi meglio, sempre in attesa.
    Approfittai della nuova posizione per accarezzargli ancora le gambe e i piedi.
    “Dai Nicolò, smettila di farti desiderare” pregò lui.
    Allora mi decisi e lo presi in mano: era perfettamente liscio e dritto, leggermente scuro.
    Diedi qualche timida leccata all’asta e Marco prese ad accarezzarmi la testa, invitandomi a insistere.
    Quindi, decisi di fare il suo volere e presi a ingoiarlo come potevo, riuscendo a prenderlo quasi tutto. sentivo un odore intenso di sperma, come di un ragazzo che ha abusato dei suoi genitali. Un odore che, in un momento come quello, ritenni appropriato.
    Proseguì rumoroso , producendo suoni gutturali e schiumosi.
    Marco, così come tutti i precedenti compagni, apprezzò notevolmente, gemendo e tremando.
    Finalmente aveva ciò che da un po’ stavo aspettando. Eppure non ero contento.
    Non mi andava che Marco gemesse così tanto.
    Non aveva senso, perché avrebbe dovuto smettere? Pensavo che questo fosse un ulteriore elemento che mostrasse la differenza tra me e lui, ovvero che io fossi innamorato di lui, mentre lui era innamorato del mio corpo e della sua idea che si era fatto su di me. Oggettivamente, faceva quello che tutti i ragazzi avrebbero fatto al posto suo. Solo dopo compresi che il problema ero io.
    Quindi smisi presto e Marco rimase sorpreso.
    Prima che potesse neanche lamentarsi, gli alzai leggermente il bacino e penetrai con la lingua. Marco, senza neanche farselo chiedere , alza il coccige per farmi entrare meglio. Infilai l’indice lubrificato.
    Avanti e indietro, Marco godeva e gemeva senza mai fermarsi. Solleva il suo busto dalla panca tenendolo alzato parallelo a essa, sostenendosi con braccia e gambe.
    Effettivamente, in quella posizione invitante, il mio dito si muoveva ancora più agevole. Era come muoverlo nel vuoto. Aggiunsi il medio.
    Le mie dita s’inumidivano al suo interno e golosamente leccavo via tutto.
    Poco delicatamente presi le sue caviglie e gli feci cadere le gambe sulla panca ma Marco non si lamentò, anzi appoggiò anche i gomiti.
    Spinsi le sue gambe verso l’alto e lui le piegò, rimanendo a penzoloni.
    Tutte e due aspettavamo solo una cosa e non mi feci aspettare. Presi le sue gambe e le appoggiai sulle spalle, infine entrai lentamente.
    A ogni centimetro, un gemito di Marco squarciava l’aria e io lo accompagnavo con i miei sommessi dovuti alla gioia per quello che stava accadendo.
    Quanto fui dentro per buona parte, cominciai lentamente a spingere.
    “Spingi! Spingi!” mi incitava Marco e io cercai di soddisfare il suo volere; lentamente sprofondai.
    Poi aumentai l’impeto: le sue urla si fecero più convinte. Il suo sudore era come una colla, ma comunque faticavamo a mantenerci stabili sulla panca. Osservavo beante le sue espressioni, il suo corpo in tutta la sua grazia.
    Non ero mai stato in grado di resistere al suo viso da coatto del tipico bello e stronzo.
    Bello e stronzo che mi desiderava quanto io desiderassi lui, ma in modo differente.
    Ripensai a quanto fortunato ero di poter essere appetibile per qualsiasi giocattolo volessi possedere, anche uno così speciale come quel ragazzino.
    Infilai improvvisamente le mie braccia sotto le sue ascelle bagnate: ora lo obbligavo a una posizione massacrante, tanto che fu obbligato ad allargare le gambe al massimo possibile.
    Senza uscire, lo alzai dalla schiena facendolo sedere, infine, spostai le mie gambe sotto di lui.
    Eravamo seduti l’uno sull’altro, Marco su di me, così come Kevin e Alessandro qualche sera prima.
    In quella posizione mi sentivo in uno stato di parità con il mio compagno; in fin dei conti, io e lui non eravamo molto diversi, né nel carattere, né come stile di vita. Solo che io ero più grande, più esperto e più maturo di lui.
    Grazie al peso del suo corpo, ora ero dentro del tutto.
    Invece di aumentare la mia prepotenza di percosse, cercai di controllarmi e penetrarlo in profondità ma con andatura costante.
    Sono convinto che Marco si aspettasse di essere sfondato, ma credo che apprezzasse il mio self control che avrebbe permesso di prolungare di molto la nostra prestazione.
    Sperai sempre fino all’ultimo che Marco comprendesse il mio intento, il mio sforzo nel rendere più dolce e romantica la nostra prima volta. Ne fui convinto quando, a un certo punto, come me, smise di gemere selvaggiamente, lasciando che solo i nostri lunghi respiri e il movimento dei nostri corpi rompessero il silenzio.
    Smettemmo anche di baciarci: Marco si avvicinò di più, tanto che la mia guancia destra appoggiava sul suo petto grondante di sudore, così come il mio. Sentivo il suo battito pulsare sul petto, tradendo la sua calma apparente. Lui appoggiò il suo mento sopra la mia testa che teneva delicatamente nelle sue mani. Io gli tenevo le mani dietro la schiena e lo stringevo a me.
    Pensai che Marco finalmente cominciasse a comprendermi, come avrei con calma potuto spiegargli tutti i miei dubbi, tutti i miei turbamenti. Era magnifico, avevamo raggiunto quella che io ritenevo la perfezione, ma poi… Tutto ebbe fine.
    “Guarda allora che fine avevano fatto! Sti due qua!” una voce alticcia e disarticolata ci sorprese alle spalle, la voce di Flavio.
    Mentre Marco aveva la visuale pulita della porta, io dovetti girarmi per osservarli.
    Flavio e Marco erano aggrappati l’uno all’altro e si avvicinavano lentamente, barcollando.
    Flavio doveva aver bevuto parecchio, perché Marco, che appariva più sobrio, lo sosteneva a fatica.
    “Flavio non reggi proprio un cazzo” dissi io cercando di non far trasparite il mio malumore. Ero uscito da Marco, ma continuavamo a rimanere abbracciati in quella posizione.
    “Non dire minchiate Nicolò” ribatte il mio amico alterato dall’alcool: “Non cambiare argomento. Allora è per questo che Nicolò non te lo fili? Perché ti fai Marco?”. L’alcool spesso è il siero della verità.
    “Quindi è così” bisbigliò il ragazzo di Flavio.
    “Si è così, ora stiamo insieme” rispose con nuova dolcezza Rigo, poi mi schioccò un bacio sulla guancia destra.
    Ero sorpreso dal suo cambiamento, potevo averlo contagiato così presto?
    “Ma continuate pure ragazzi, continuate” fece Flavio: “Noi rimaniamo qua a guardare” e si mise a ridere come un ebete.
    Era chiaro che non diedi peso alle sue parole, e mai gliel’avrei date in quel momento, visto che era completamente sbronzo.
    “No, Flavio. Noi abbiamo finito” risposi.
    “Come abbiamo finito?!” fece Marco, sorprendendomi ancora una volta.
    “Proseguiremo il discorso un'altra volta” gli bisbigliai dolcemente all’orecchio in modo che sentisse solo lui.
    “Eh no dai!” continuò lui: “Chi se ne frega di loro, continuiamo!”.
    “Marco è tardi e non è più il momento...” non mi stette ad ascoltare.
    “Perché non facciamo una cosa a quattro, eh?” propose l’alterato Flavio.
    “Non scherzare” feci io;
    “Non scherzo affatto”. Guardai il volto del suo ragazzo e poi quello di Rigo: avevano voglia.
    Sperai di sbagliarmi, ma Rigo si allontanò da me e si sedette sulla panca.
    “Perché no?” concluse lui raggiante. Nel suo volto gli leggevo la convinzione che la cosa si sarebbe fatta.
    “Perché no!” risposi rivolto a Rigo, ancora incredulo. Mi stavo arrabbiando; ero deluso, ma non volevo spiegare a Rigo tutto ciò davanti agli altri.
    Marco si sedette accanto a Rigo, alla sua sinistra, mentre Flavio si mise accanto a me.
    “Sarà divertente” concluse Rigo.
    “Certo” aggiunse Flavio che , in un secondo si levò l’accappatoio, mi girò e mi schiocco un bacio.
    Lo guardai con occhi spalancati, sentivo l’odore di vino invadere i miei sensi.
    Volli allontanarlo e dovetti toccare il suo corpo sodo. Ma l’ubriaco era più forte del previsto e la sua lingua cercò di penetrare nella mia bocca, riuscendo nell’intento. Lasciai che il mio amico esplorasse l’interno.
    “Che fai non rispondi?” chiese Flavio staccandosi finalmente dalle mie labbra.
    “Non sai quello che stai facendo” gli dissi cauto.
    “Certo che lo so” e sorrise: “Sto baciando il mio amico Nicolò e mi piace da matti” e mi prese il volto tra le sue mani ricominciando a limonarmi.
    Per quanto non desiderassi ciò, non volevo respingerlo e umiliarlo davanti agli altri. Era pur sempre un mio amico e non era in sé. Inoltre, baciava bene…
    Per qualche secondo mi lasciai trasportare e penetrai con la punta della lingua la sua bocca. In un attimo lui cominciò ad accarezzarmi i capelli e io a tastare il suo corpo sodo, mentre i due continuavano a guardarci.
    Per una frazione di secondo le punte dei nostri membri si toccarono. Flavio prese in mano il mio e cominciò a segarlo lentamente.
    Tornai in me e lo allontanai bruscamente: “Flavio, non facciamo qualcosa di cui poi potremmo pentirci”.
    L’improvviso allontanamento risvegliò un briciolo di razionalità: “Si sì, meglio finirla qua” rispose lui a voce bassa, poi si accasciò sulla panca.
    Non stava bene, i primi segnali di conati lo stavano colpendo e io non avevo nessuna intenzione di assisterlo.
    In quel momento avevo il pieno controllo delle mie facoltà, non ero né eccitato ne emozionato: ero freddo, come mai prima d’ora e soprattutto avevo capito. Ora avevo una visione più chiara delle cose.
    Mi alzai in piedi e mi rivolsi verso Marco, il ragazzo di Flavio.
    “Che ore sono?” chiesi;
    “Dovrebbero essere circa le quattro”;
    “Bene. Oggi penso che me ne torno a casa prima”.
    “Vengo con te” disse Rigo.
    Lo guardai un attimo: era sorridente e convinto che tutto fosse a posto.
    “No” risposi: “Tu non vieni”.
    Il sorriso di Marco si spense: “Perché no?”;
    “Penso che tra noi non possa funzionare, mi dispiace”. Fu dura riuscire a pronunciare quelle parole.
    “Che cosa dici? Ma sei stato tu a…”;
    “Non posso stare con un ragazzo che non mi capisce” lo interruppi: “Ma come puoi chiedermi di fare l’amore in quattro? Si vede che non ci arrivi”.
    “Io...”;
    “Non ci siamo neanche messi insieme e tu già pensi a questo? Non sei pronto per quello che intendo io, forse non lo sarai mai”.
    Rigo rinunciò a ribattere e fu di certo la cosa migliore. Sarei stato capace di arrabbiarmi con lui, per la prima volta.
    Ero sincero, con me stesso e con lui, tra me e Marco era già finita, semmai fosse cominciata.
    Non posso non ammettere che mi fu doloroso, dopo averlo tanto desiderato per lungo tempo, ma la mia non era certo una sconfitta. Ora mi era chiaro cosa volevo e come raggiungerlo.
    “Ci vediamo domani” conclusi vestendomi, dei miei indumenti ordinari.
    “Domani ci salutiamo Nicolò” bisbigliò Flavio con le sue energie residue.
    Lui aveva capito qualcosa.
    “Certo Flavio, domani concludiamo tutto, ma mi raccomando, acqua in bocca”.

    Edited by ancient lover91 - 24/12/2016, 09:01
     
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    Splendido come sempre e sei stato puntuale buon anno ancient spero che dopo l'ultima parte di questo racconto tu continui a scrivere sei grande!!!.Hai la capacità di far entrare la gente nei personaggi che tu presenti nei tuoi racconti,spero di leggere al più presto l'ultima parte se ho tenuto a mente il numero delle parti di questo racconto.
     
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    Buon anno anke a te!
     
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    bello
     
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  5. oldmanny
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    molto bello, mi spiace che si stia avviando alla fine, ma ogni cosa prima o poi finisce
     
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  6. hot91
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    Fra tutti , questo è uno dei + belli! *-*
     
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    Capitolo 8 aggiornato
     
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