LIFE

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  1. hi.
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    Ragazzi, voglio condividere questo pezzo con voi, ditemi cosa ne pensate... sappiate che non ho mai raccontato a nessuno questa storia, voi siete i primi!
    Non l'ho ancora ricontrollato, di solito pubblico senza revisione, perché non riesco a sopportare l'attesa xP
    Domani credo che scriverò anche la seconda parte (nonché ultima)

    LIFE



    Prima parte




    Dove sarei ora?
    Dove sarei, se non fossi così labile?
    Starei meglio, o starei peggio?
    Starei camminando su una via fulgida, o era destino che piombassi nell’oscurità?

    Le mie convinzioni sono sempre state piuttosto passeggere, sovente mi è capitato di cambiare opinione su un argomento. Ciò avveniva per motivi banali, come il pregiudizio o la facilità di farsi condizionare, o l’azione impulsiva e non riflettuta. Con il tempo, però, ho imparato a non dire mai di no alle nuove avventure e alle nuove proposte, nemmeno a quelle che fino a qualche mese prima condannavo. È impossibile giudicare oggettivamente qualcosa senza buttarcisi dentro, accettare l’opinione della maggioranza non è altro che pigrizia, oppure paura. E io sono molto pigro, ma non voglio abbandonarmi alla viscida paura, sono troppo forte e troppo bravo a cavarmela in ogni situazione per lasciarmi comandare da questa schifosa.
    C’è stata una decisione, presa dopo aver combattuto con le opzioni che mi ero proposto, che non sapevo avrebbe definito più in là un nuovo me stesso, una decisione che ha cambiato una grande parte della mia esistenza in modo burrascoso. Sì, perché tutto è avvenuto grazie a essa, ma non in modo del tutto graduale.
    Ero al primo anno di liceo, avevo scelto un indirizzo che non era adatto a me, e me ne ero accorto già all’inizio dell’anno. Quindi, sono migrato verso ambiti più adatti alle mie capacità. Per farlo ho dovuto sostenere degli esami. Il giorno dello scritto ho incrociato un ragazzo, anche lui era lì per lo stesso esame. Eravamo solo noi due, nessun altro. Nel momento in cui l’ho visto, non so, sono rimasto impressionato, emanava un’energia particolare, non riuscivo a comprenderla, era strano, era lui. Lui. La matrice del mio cambiamento. La guida che mi ha scortato e che tuttora mi accompagna sui sentieri di questa terra, di cui non pensavo avrei mai varcato i confini. Qualche giorno dopo lo ritrovai nella mia stessa classe, ma non mi curai molto di lui e non feci molto per conoscerlo, anche se desideravo diventargli amico. L’ho detto, sono pigro. E questa pigrizia mi ha portato a compiere per l’ennesima volta il grande sbaglio di non farmi un’opinione mia su una persona. Infatti, ero solito passare il tempo con alcune amiche, che lo vedevano come una specie di esibizionista e che lo ritenevano antipatico, o che so io. C’è da dire, tuttavia, che non era per niente un esibizionista, anzi, a me pareva stare piuttosto sulle sue, parlava poco e soprattutto con i ragazzi, senza cercare amicizia tra il sesso debole. Me ne ero accorto, ma mi lasciai trasportare da queste opinioni e ebbi una scarsa considerazione di lui e cominciai a generare una forma di disprezzo nei suoi confronti, anche se in fondo riuscivo ancora a percepire quell’energia che sentii il giorno in cui lo vidi per la prima volta.
    Ci fu una serie di avvenimenti che mi portò a avvicinarmi a lui e a conoscerlo un pochino. Tanto per iniziare, in ottobre feci un acquisto, il mio primo smartphone, uno molto famoso e decisamente una moda. Quest’aggeggino permette di giocare a svariati giochi, e si sa, nessuno resiste a un po’ di svago. Il primo passo verso di lui fu appunto quest’acquisto. Infatti, il martedì, avevamo le ore di arti visive, e, come spesso capita durante queste lezioni, si ozia. Lui sapeva che possedevo quest’oggetto, come tutti gli altri, e un giorno mi chiese se poteva giocarci un po’, perché si stava annoiando. Inizialmente ero titubante, il cellulare era nuovo e non volevo condividerlo, ma non ce la feci e glielo concessi. Mentre io lavoravo, lo osservavo, si divertiva, e la cosa mi rendeva felice. Da quel giorno, lui poté usare il mio iPhone liberamente, anche se magari mi lamentavo per le continue richieste, glielo lasciavo sempre.
    Nel frattempo, però, non avevo cambiato molto il mio modo di atteggiarmi nei suoi confronti, spesso ero scontroso, ma sapevo che mi avrebbe comunque chiesto di poter giocare e sapevo che l’avrei lasciato divertirsi. Quest’abitudine dilagò, e si estese a tutta la classe, ma a quel punto non potevo dire di no agli altri e sì a lui, non sarebbe stato corretto, quindi quell’aggeggio divenne di uso comunitario, ma lasciai a lui la precedenza sul suo utilizzo. Se in due volevano giocare, e tra questi c’era lui, allora il primo era già deciso.
    Poi, in inverno, non saprei se prima o dopo le vacanze di Natale, mi svegliai una mattina e la neve ricopriva i tetti e le strade. Optai, perciò, di camminare fino a scuola, ma non per il tragitto che seguivo spesso, bensì per un altro alternativo, fu un caso. Ero immerso nella musica e nella camminata, quando d’un tratto sentii qualcuno che mi chiamava. All’inizio non capii di chi si trattasse, non riuscivo a vedere dove fosse questa persona, ma poi vidi una persona attraversare la strada e affiancarsi a me. Fu la prima volta che io e lui andammo a scuola insieme. Ricordo ancora che continuai ad ascoltare quello che stavo ascoltando e se lui mi diceva qualcosa o mi chiedeva qualcosa, mi limitavo a fare un cenno con la testa o sibilare un monosillabo, però non saprei dire se la sensazione che provavo fosse piuttosto irritazione o piacere, era un misto di entrambi, probabilmente. E poi, per quale motivo irritazione? Non me lo so spiegare. Forse era dovuto al fatto che ancora ero condizionato dall’opinione altrui. Quella mattina, però, fu importante. Dopo quel giorno, più volte feci quella strada per recarmi a scuola, nella speranza che ci incontrassimo di nuovo, ma non accadde mai. Mi ci volle del tempo per rendermi conto che sarebbe stato molto più facile percorrere la via del ritorno insieme. All’inizio era qualcosa di sporadico, una volta ogni tanto tornavamo a casa insieme, magari io tagliavo per un altro percorso e ci separavamo abbastanza presto, poi però, per me, divenne quasi un appuntamento. Quando dovevamo tornare a casa lo aspettavo, oppure gli chiedevo di aspettarmi, perché all’inizio lui partiva da solo. A un certo punto, credo che comprese che quella si stava quasi trasformando in una tradizione e iniziò anche lui ad attendermi, senza che glielo chiedessi. Per quei minuti che trascorrevamo insieme, solo noi due, si alternavano momenti di totale silenzio, anche per tutto il percorso, a momenti in cui parlavamo di svariati argomenti, tra cui la scuola, i nostri gusti, la politica. Grazie a queste chiacchierate imparai a conoscerlo e l’idea che mi ero fatto di lui si capovolse, presi a considerarlo un amico e poi una persona importante e che godeva pienamente della mia stima. In poco tempo era divenuto un individuo tranquillamente scindibile dalla massa, non come molti altri, che costituiscono l’insieme di persone che conosco. Sono pochi quelli di cui ho un’immagine precisa, quelli per cui posso dire: “Va bene, è lui e nessun altro. Non si può sostituire”.
    Ovviamente, la considerazione nei suoi confronti crebbe di giorno in giorno, non solo grazie a quel piccolo pezzo di strada, ma grazie anche al fatto che fosse diventato, e qui non per caso ma perché lo decisi fermamente, il mio compagno di banco a geografia. Come per ogni persona con cui mi piace passare del tempo, gli avevo dato un soprannome snervante e in più varianti: Spugna, che diventa Spongy, che si diminuisce in Spongino, fino a arrivare a Gino. Questo soprannome fu adottato poi anche dagli altri, ma nella mia visione generale ero l’unico che poteva permettersi di chiamarlo in quei modi. Sapevo che gli dava fastidio, ma continuavo. Fino a che non arrivai al limite di sadismo, e gli dissi che visto che lo infastidiva non mi sarei più rivolto a lui in quel modo. Mi ringraziò. Gli altri non smisero, però, anche se a volte io dicevo di smetterla, che a lui non piaceva.
    Verso la fine dell’anno ci fu un altro avvenimento che mi fece avvicinare a lui ulteriormente: l’uscita di studio a Padova. A me sarebbe piaciuto poter essere in camera con lui, ma non andò come desideravo. Tuttavia, passai la maggior parte del tempo con lui e fu durante l’unica sera che passammo in quella città che per la prima volta andai contro quello che era stato uno dei miei principi.
    Questo ragazzo, come altri nella mia classe e nella mia scuola ha un piccolo vizio. Fuma, ma non solo sigarette. Eravamo su un grande prato, io, lui e pochi altri. Cominciò a girare quest’involucro di carta e altra roba vegetale, ma io non ne feci uso, non sono tipo da queste cose. Poi andammo a un Luna Park vicino e ci passammo un po’ di tempo, prima di fare ritorno in quello stesso luogo. Girò un nuovo Joint, e di nuovo opposi resistenza, fino a che non mandai al diavolo i miei principi e decisi di provare, non fu niente di che, solo due tiri, alla fine. In un certo senso, lo feci per lui. Dopodiché tornammo in albergo. Per quanto non fosse stato niente, era pur sempre un inizio. Quella fu anche la sera in cui venni a sapere di quel suo vizio, prima non avevo avuto modo di scoprirlo, ma non cambiai l’opinione che ormai mi ero fatto di lui, ero indifferente.
    Grazie a questa gita consolidai la sua figura. Era definitivamente diventato qualcuno cui mi ero affezionato, una persona importante e che volevo assolutamente nel mio entourage. Purtroppo per lui, però, non era un genio a scuola, e, infatti, non riuscì a passare l’anno. Tuttavia, io volevo credere che ce l’avrebbe fatta, e continuavo a ripetergli che sarebbe riuscito a passare, ci credevo veramente, e ci speravo più di quanto non ci sperasse lui. Fui in grado di infondergli quella speranza.
    Per la sera del penultimo giorno di scuola avevamo organizzato una cena di classe e io spesi tutta la serata con lui (e due ragazze), parlammo, ridemmo. Fu una serata molto piacevole, che ripeterei volentieri e che si concluse con me che lo accompagnavo fino a casa, ormai era davvero una tradizione tornare a casa insieme, anche se io, per riaccompagnarlo, dovevo allontanarmi parecchio da dove abitavo, ma era cosa di poco conto. Quando arrivammo a destinazione, ci salutammo. Il giorno dopo non ci sarebbe stato a scuola, doveva partire. Gli dissi che ci saremmo visti l’anno seguente, in classe assieme, e lui rispose che anche se non ce l’avesse dovuta fare, ci si sarebbe incontrati lo stesso e ci stringemmo la mano. A quel punto mi incamminai verso casa, con la musica nelle orecchie. Ascoltavo una canzone bellissima, “Passion” il titolo, “Hikky” l’artista. È una canzone che riesce a suscitare in me delle emozioni, e lo stato in cui mi trovavo in quel momento si unì alla canzone. Una lacrima mi rigò il volto, poi un’altra ancora e via. Non ho ancora capito perché iniziai a piangere, è curioso. Andai avanti per tutta la durata del brano, e poi mi calmai. Era stato un momento magico, e non appena arrivai a casa, scrissi su facebook che quella era la canzone più forte che avessi mai sentito.
    Il giorno seguente, l’ultimo giorno di scuola, lo trascorsi con i miei compagni di classe in palestra. Come ogni anno, era stato organizzato un torneo di pallavolo e la nostra squadra arrivò seconda. Pranzammo insieme in stazione, e poi tornammo insieme a scuola per attendere il risultato del consiglio di classe e scoprire chi fosse stato graziato e chi no. Per tutto il giorno rimasi in pensiero per lui, bruciavo perché le mie speranze e le mie aspettative si vedessero realizzate. Quando mi dissero che l’esito era stato esposto, mi precipitai a controllare. Fino a un momento prima ero abbastanza felice, e poi crollai nel grigio. Una mia amica si accorse del mio stato e mi disse che le dispiaceva.
    Ora toccava a me dargli la brutta notizia. Io gli avevo infuso quelle speranze. Lui non aveva un cellulare e perciò lo avvisai tramite facebook. Scrissi solo il diminutivo del suo nome e tre puntini. Non ne sono del tutto sicuro, ma mi pare che questo bastò a fargli capire quello che volevo dirgli. Non la prese bene, la sua risposta fu una bestemmia, ma lo compatisco. Io, invece, non potendo sopportare di rimanere a scuola tra tutti, me ne andai a casa, distrutto, e di nuovo, dopo nemmeno ventiquattro ore, le lacrimucce. Mi sentivo debole. L’autocontrollo non mi mancava, però, e quando mi chiamarono, mi girai sorridente e presi a chiacchierare con due amiche, che come me se ne stavano andando. Per fortuna non mi vide nessuno.
    venti minuti più tardi ero sdraiato sul mio letto, lo sguardo perso nel vuoto. Non capivo che cosa potessi fare, non mi ero mai sentito più abbattuto. Dovevo sfogarmi. Accesi il computer, feci il login per messenger e skype e raccontai alle prime tre persone che vidi on-line come mi sentivo. Erano due amiche e un amico conosciuti su un forum. Non li ho mai incontrati personalmente, ma questo non toglie che non mi possa confidare con loro. Anzi, mi riesce più facile che con i miei comuni amici. Mi fecero stare un po’ meglio, ma le uniche cose riuscivo a capire in quel momento erano che la scuola aveva avuto fine in modo tragico, che il giorno seguente sarei partito per una vacanza in cui mi sarei sentito davvero solo e che non sapevo come fare per tenermi in contatto con lui.


    Edited by hi. - 24/1/2011, 18:23
     
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  2. shad86
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    Bella, davvero piena di passione, hai un modo di scrivere che incanta, mi ha davvero preso, non scrivi la seconda parte?
     
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  3. hi.
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    Ancora non l'ho iniziata, stavo pensando a come fare: o la seconda parte che parla solo dell'estate, per poi fare una terza che prende dall'inizio della scuola a adesso o solo una seconda parte che integri tutto xD

    Comunque, grazie mille!!
    Ah, e è una storia vera, non ho inventato i fatti di sana pianta xD
     
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  4. shad86
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    Si l'hai scritto anche come introduzione che era una storia vera =P Beh dal modo in cui scrivi io voterei per una seconda parte unica! La prima era trascinante perché è un mash-up (passami il termine musicale) di tuoi diversi punti di vista, è il cambiare del tuo modo di vedere che la rende dinamica! Quindi mischiare altre due situazioni distinte potrebbe essere il modo giusto di scrivere, poi devi vedere tu che già conosci la storia ^_^
     
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  5. hi.
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    Avevo inizialmente pensato alla parte unica, anche perché durante l'estate non è accaduto moltissimo xD
    C'è però da dire che il un cambiamento più sostanziale è avvenuto con l'inizio della scuola, e quindi, poi, avevo pensato di separare le due parti, non lo so... vedrò xD

    Sai, questo raccontino, inizialmente aveva tutt'altro obbiettivo. Volevo descrivere quello che mi passava per la testa e il modo in cui vedevo "l'ambiente" quando mi tiro un po' fuori, però avrei prima dovuto fare una piccola introduzione e spiegare brevemente come ero arrivato lì xD (e si nota soprattutto da quelle 4 domande iniziale). Poi la cosa è mutata. Ho accennato questo modo di agire nella mia "shaker90 & todos", se ci hai fatto caso... Sta di fatto, che come hai potuto leggere, la direzione presa è quella di parlare del mio rapporto con questo ragazzo, concentrandosi su noi due e non solo su di me xD
     
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  6. shad86
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    Capito, sono sicuro che tutto si delineerà meglio con il proseguire del tuo racconto =D Io aspetto il seguito ^_^
     
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  7. hi.
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    Ecco la seconda parte.. è solo l'estate. Alla fine ho deciso di separare, anche perché altrimenti sarebbe uscita troppo lunga xD
    Ovviamente, non l'ho ancora ricontrollata, quando lo farò, se troverò errori, correggerò xP

    Seconda Parte



    Era sabato, ero su un aereo e sorseggiavo del caffè Starbucks. Il viaggio era iniziato, ma vista la situazione avrei preferito rimanere a casa, tra i miei amici. Non avrei comunque potuto vederlo, è vero, ma almeno ci sarebbero stati tutti gli altri. Invece, ora ero solo. Con la mia famiglia, sì, ma è una magrissima consolazione. Per me i legami di sangue sono quanto di più dannoso ci sia in un rapporto umano; nella mia esperienza, non sono stati i rapporti famigliari a mantenere unite le persone. La famiglia è un peso, che impedisce di esprimersi appieno e di essere veramente indipendenti. Comunque vada, ce la si porta dietro dalla nascita alla morte.
    Quest’anno la meta era il Portogallo, terra di mia madre. Era la seconda volta che ci andavo, la prima era stata tre anni prima. C’è voluto tanto perché conoscessi i miei nonni e visitassi metà delle mie origini a causa appunto dei legami di sangue. Mia madre e i suoi genitori non si sono parlati per anni e anni per alcuni dissidi che avevano avuto, ma dopo la mia prima visita da quelle parti, le cose sembrano essersi messe a posto tra loro. Ora mancherebbe di rimettersi in contatto con le due sorelle con cui non parla. Durante questo viaggio ho conosciuto mio zio, era l’unico della famiglia che non avessi mai visto.
    È vero che mi portavo dentro un enorme senso di solitudine, ma credo comunque di essermi rapportato male a questa vacanza. Dopotutto, è stata una delle pochissime che si potesse chiamare in questo modo: ho visitato Chaves, Vila Real, Braga, sono stato in Spagna sull’atlantico, a Vigo, e poi ho girato anche per Santiago. Insomma, è stata una delle poche volte in cui sono andato all’estero e ho visto qualcosa di diverso dalla casa in cui alloggiavo; di solito vado a visitare i parenti in Italia meridionale e mi limito a entrare in una specie di standby, perché mantenere un normale tenore energetico, sarebbe inutile, uno spreco. Eppure, non mi andava bene nulla, non vedevo l’ora di ripartire. Ho contribuito io stesso a rovinarmi l’inizio dell’estate.
    Il primo giorno, mentre attendevo all’aeroporto, avevo iniziato a scrivere un diario. Volevo mettere per iscritto il mio stato d’animo, poiché mai mi ero sentito in quel modo, era una novità e non poteva andare persa. Mentre tutti erano al bar, io osservavo le piste e il sole che cominciava a spuntare dalle nuvole, e in quel momento sentii l’ispirazione e cominciai a scrivere con il mio iPhone. La stesura si protrasse per le due settimane di permanenza in Portogallo, e descrissi più o meno sommariamente le attività giorno per giorno, da una parte, e dall’altra, per sentirmi più vicino a lui, mettevo nero su bianco quel sentimento di abbandono. Gli avevo anche dato un titolo, “Distance”, come la canzone di Utada Hikaru e come, be’, la distanza che mi separava dalle persone a cui tenevo. C’era pure una copertina, ricavata da un’immagine trovata in google. Era perfetta, c’era un omino, una specie di fantoccio, seduto da solo su un promontorio, i colori erano spenti, ma caldi, trasmetteva molta nostalgia. Purtroppo, il fato volle che quelle memorie restassero come uno degli ultimi brandelli di luce nel mio cuore e che non si perdessero nell’oscurità del mondo. Dovetti riformattare il vecchio portatile a seguito di alcuni problemi e non ebbi la possibilità di preservare il mio lavoro. Alcuni frammenti vivono ancora nei mieri ricordi, altri nei servizi cloud offerti dalle applicazioni del telefono mela. Per esempio l’inizio, quel capitolo che avevo intitolato “Prefazione” e una parte del primo giorno:

    “PREFAZIONE

    Il primo raggio di sole di quel triste giorno m’irradiò il volto, l'unico raggio in mezzo a un groviglio di nuvole grigie.
    Ero lì, ero all'aeroporto, aspettando di potermi imbarcare sul volo che mi avrebbe portato in vacanza.
    Ma chi la voleva questa vacanza?
    Non io, non adesso almeno.

    Il giorno precedente era stato l'ultimo giorno di scuola. Finalmente seppi di essere passato in terza liceo, non che avessi qualche dubbio. Finalmente, già... No, non volevo che accadesse quello che accadde, però: lui non era riuscito a passare l'anno.
    Cercavo di rimandare la notizia, speravo che quelle liste arrivassero il più tardi possibile, perché sapevo che sarebbe successo. Non appena lessi, anzi, non lessi il suo nome sull'elenco dei promossi, mi venne un colpo. Dovetti andarmene. Salutai tutti di malavoglia, abbattuto, e mi incamminai verso casa. Cercavo di isolarmi ascoltando della musica, ma il rammarico e i pensieri infrangevano violentemente la barriera che il suono creava. Cominciai a piangere, così come mi era successo il giorno prima, dopo che ci salutammo con una stretta di mano... Avrei preferito un abbraccio.
    Per la prima volta avevo provato dispiacere nei confronti di qualcun altro, per la prima volta avevo pianto per qualcuno. Il dolore mi stava sopraffacendo, quel pomeriggio, e avevo seriamente bisogno di parlarne a qualcuno. Conversai come fanno tutti gli adolescenti di oggi, tramite chat. Ricevetti il conforto di tre persone amiche, perché una non mi bastava. E per tutte e tre le volte, piansi mentre raccontavo come mi sentissi.

    E qualche ora dopo ero all'aeroporto, aspettando di imbarcarmi e pensando a lui e al fatto che non volevo partire, perché avevo bisogno di stare con i miei amici, di parlare con qualcuno, di far sapere a tutti che per me lui era importante, che quando era presente stavo bene, che vederlo mi faceva sorridere... L'unica cosa che mi rasserenava era che anche lui fosse partito e che sarebbe stato via per più tempo di me, quindi non avrei perso ipotetici momenti da passare insieme.
    Stetti male per tutto il viaggio in aereo, pensando ai momenti belli passati insieme, che erano anche tutti i momenti passati insieme...
    Hn, la cosa divertente è che non lo conosco nemmeno molto, che ho cominciato a parlarci un po' forse durante il secondo semestre e che all'inizio dell'anno mi stava quasi antipatico. E poi, d'un tratto, quando ho iniziato a stargli affianco, ho sentito che mi era quasi indispensabile, d'un tratto gli altri, che conoscevo meglio e anche di più erano passati in secondo piano. Se avessi dovuto scegliere tra una serata esilarante con loro e, che so, un semplice giro con lui, avrei scelto lui, ma non se n'è mai presentata l'occasione, perché non ci siamo mai incontrati al di fuori dell'ambito scolastico... L'unica volta che l'ho invitato a venire con me e un'altra nostra compagna a una sorta di festa ha rifiutato, o meglio, ha detto che non poteva. Tuttavia, mi ha assicurato che possiamo contare su di lui per una gitarella tra amici, e per questo voglio che questa gita venga organizzata.

    Ogni tanto mi sento stupido a pensare queste cose, dopotutto non so nemmeno che cosa io sia per lui, non so quanto mi ritenga un suo amico... So solo che mi ha detto che gli sono simpatico e che ci saremmo visti, anche se non avesse passato l'anno, non so se a scuola o fuori, ma spero che sia per entrambi. Io farò di tutto per mantenere i contatti, anche se non sono molto bravo... Ma per una persona importante ci si può sforzare, no? Quindi spero che anch’io sia almeno un po' importante per lui, e non solo un anonimo compagno di scuola, che cambiata classe sparisce.

    I GIORNO

    ora sto guardando il cielo a 10000 metri di altezza. Ehi, come te la passi troposfera?
    Se mai divenisse possibile costruire castelli in aria, letteralmente, m’indebiterei quanto possibile per poterne avere uno. Le nuvole sembrano iceberg impiantati nelle gelide acque a tratti, e altre volte somigliano semplicemente a soffici ammassi di roba bianca, felici nel loro oziare sopra la gente, ma questa volta le ho fregate. Sono io a sovrastarvi, adesso!
    Tutte le sensazioni di questa vista convergono ad un unico punto: cielo, terra, montagna, mare o città che sia, il mondo è uno solo fantastico e meraviglioso in tutti i suoi aspetti e, soprattutto, uguale nelle sue differenze.
    Che bello, guardando dall'oblò mi sembra di scorgere qualcosa che somiglia ad una corrente oceanica, solo che si trova nell'alto Blu.
    E adesso vedo anche dei campi e degli insediamenti, le mura costruite da Urano sono state sconfitte dall'eterogeneità di Gaia, tanti pezzetti di forme e colori diversi mescolati a formare la nostra casa, quella su cui poggiamo i piedi. Credo di star sorvolando la Spagna, che nazione fantastica, seconda solo al Giappone, nella mia classifica di Paesi che voglio visitare.
    Credo che ora mi lascerò trasportare nel mio mondo immaginario, ascolterò un po' di sana musica... Hikky, Tommy, Anna e voi altri, artisti, sto arrivando... Ah, ma sembra che stiamo
    Per atterrare, bisognerà spegnere i propri dispositivi, e poi non riesco a fare nulla mentre si scende, riesco solo a chiudere gli occhi e a osservare dall'esterno ciò che accade all'aereo..."



    Questo è quello che resta scritto, la prima bozza, non ancora revisionata, che risale al 19 giugno. Ricordo anche un episodio particolarmente divertente: ero nel piccolo paesino di mia madre, a casa dei miei nonni, sulla grande terrazza e stavo scrivendo, quando a un certo punto sentii dei ronzii. Interruppi il racconto e descrissi la situazione; prima il ronzio, poi il silenzio e poi di nuovo il ronzio. Nella mia testa avevo costruito la situazione come una sorta di assalto da parte degli insetti, che arrivavano, si appostavano e partivano all’attacco per eliminarmi. Ci volle poco perché cambiai postazione. Io odio gli insetti. Ora che ci penso, mi viene in mente un altro episodio strampalato, ma più tendente al tragico che al comico. Una sera stavo tornando a casa in macchina, eravamo stati dai miei nonni, e ricordo che ebbi una sorta di macabra visione. Non era un sogno, perché ero sveglio e cosciente e elaboravo le immagini quasi volontariamente. Stavo ascoltando una canzone melanconica di Anna Tsuchiya, Shape of your love, la stessa che è in riproduzione anche ora, quando mi ritrovai in una stanza scura e vuota, c’erano solo dei drappi rossi attaccati alle pareti nere. In un momento apparvero dei ceri a illuminare con luce fioca l’ambiente e sopra a dei grandi piedistalli, anch’essi coperti dagli stessi drappi rossi di prima delle bare e dentro le bare i miei amici, erano tutte sui lati della stanza, che mi pareva rotonda. Al centro della stanza, però, c’era una persona in particolare, lui, pure in una di quelle bare e io ero proprio lì che lo guardavo. Ancora non comprendo il motivo di questa visione, saranno state la musica un po’ drammatica e la stanchezza, immagino. Per il resto, in Portogallo non accadde nulla di particolarmente eccitante e agli inizi luglio ripartii per la Svizzera.
    I primi giorni non mi riservarono sorpresa alcuna, un lunedì, però, non ricordo se fosse il primo o il secondo da quando tornai, qualcosa, una piccolezza, accadde.
    Mi ero appena alzato, e non avendo nulla da fare, avevo acceso il PC ed ero andato su facebook, con mia sorpresa vidi on-line lui. Capita molto raramente di averlo disponibile per la chat su quel social network, eppure c’era. Non potei resistere, ovviamente, e gli scrissi. Gli chiesi come stesse, se avesse continuato il liceo e se avesse fatto qualcosa di bello. Mi rispose di stare bene e che avrebbe continuato, e mi disse che aveva iniziato a lavorare dove lavorava suo padre, perché i suoi lo avevano obbligato a trovarsi un lavoro per l’estate, una cosa giustissima, secondo me. Da quel giorno, per più o meno tutta l’estate, da lunedì a venerdì sull’ora di pranzo, chattai con lui. Mi svegliavo apposta per riuscire a trovarlo in linea, e parlavamo di tante cose diverse, un po’ come quando tornavamo a casa insieme: vari argomenti, giorni pieni, giorni silenziosi. Una routine. Dopo poco tempo cominciai anche io a lavorare, mi alternavo con un’amica. Io facevo i martedì, i giovedì e le domeniche. Un po’ mi dispiaceva non poterlo sentire per quei due giorni, ma dopotutto, ero pagato per non parlare con lui, e erano solo due giorni su cinque. Poi, avevo scelto di lavorare di domenica in funzione della possibilità di potermi incontrare con lui qualche sabato, accadde solo una volta. Il 24 luglio, un giorno che non dimenticherò mai, ci eravamo organizzati per andare al lido, e quel giorno avevo anche intenzione di fare il bagno in piscina, e sarà qualche anno che non lo faccio, nemmeno al mare. Eravamo io, lui, un suo compagno del nuoto (che ci avrebbe raggiunto lì) e la mia migliore amica (nonché nostra compagna di classe). Quando ci incontrammo in stazione, io avevo una garza che copriva il mio polso, quella mi impedii di nuotare un po’. La mattina mi stavo preparando, e fatta la doccia, mi rasai la barba. Avevo la lametta in mano e non so bene in quale modo, mi tagliai vicino al polso, sulla parte laterale interna del braccio, non dove si scorgono le vene e il tendine. Fu abbastanza doloroso e sanguinolento, ma io sono bravo a medicarmi: un po’ di betadine, delle strisce di garza e dello scotch medico e infine altra garza per il bendaggio, e ero a posto, anche se ho ancora la cicatrice. Non potei nuotare, come già ho detto, però giocai a beach volley... andò abbastanza male... Comunque, passammo la giornata insieme, mangiammo un pezzo di pizza alla Migros, e fu divertente. Nel pomeriggio, lui e il suo amico ci dissero che andavano a “salutare un’amica”, solo in inverno lui mi raccontò che erano andati a “gremare”, mentre io e la mia amica tornammo a casa.
    A circa una settimana da quel giorno, cadeva la festa nazionale. Io cercai di convincerlo a venire con me e altri vecchi compagni, ma lui era restio. Alla fine decise di venire con noi, ma non grazie a me, gli girava così. A dire il vero, andammo a Lugano insieme, io, lui, la mia amica e altre due ragazze. Stette con noi per un po’, facemmo un giro e poi se ne andò con i suoi amici. Ci eravamo però dati appuntamento in stazione per tornare tutti insieme con il treno delle 23:58. L’orario fissato era le 23:45. Noi arrivammo con qualche minuto di ritardo, mentre lui non arrivò proprio. Rimasi in pensiero fino al giorno dopo. Temevo che magari fosse stato male, o che so io, e non avevo modo di contattarlo, visto che non aveva un cellulare. Il giorno dopo lo sentii di nuovo in chat, mi disse che aveva preso il diretto che passava alle 23:48. Era l’orario cui arrivammo noi in stazione, e infatti avevamo visto quel treno passare, ma non lo prendemmo perché dovevamo aspettare lui. Gli dissi che era un idiota, che il fatto che avessimo un minimo di ritardo non lo autorizzava a andarsene da solo, che noi con lui non l’avremmo mai fatto. Mi fece arrabbiare parecchio, perché continuava a sostenere le sue stupide ragioni sulla legittimità di abbandonarci perché non avevamo rispettato l’orario. Era risoluto, e questo è apprezzabile, ma pienamente nel torto, secondo me. La cosa finì lì, comunque e nei giorni seguenti continuammo a sentirci in chat come al solito. E in quei giorni avevamo aperto anche una contrattazione. Era appena stato messo in vendita da noi l’iPhone 4 e visto che a lui usava spesso il mio 3GS e aveva bisogno di un cellulare, decisi che potevo vendergli quel dispositivo per comprare quello nuovo. Non riuscii a darglielo per il prezzo che volevo, 500 CHF, ma non mi importa, l’importante era che lo avesse lui. Alla fine glielo regalai per 350 CHF, ma era così felice. Mi ricordo ancora la gioia nei suoi occhi. Mi diede anche 10 franchi in più, preso da un raptus di generosità. Gli avevo proposto di venire con me a ritirare il 4, ma purtroppo non poteva, però attese con me l’autobus. Quei 10 franchi che mi diede in più, comunque, li utilizzai per acquistargli una ricarica, visto che insieme al telefono gli avevo dato una mia SIM prepagata, che però non aveva più credito.
    E così arrivarono le ultime settimane, in cui organizzai una cena da me, ma che non raggiunse il suo obbiettivo, infatti lui non poté venire, e in cui andai a Zurigo per una giornata. Non venne nemmeno qui, perché non aveva soldi, disse. In realtà era perché sperava che ci fosse molta più gente (eravamo in 4) e non aveva voglia. A Zurigo, all’Apple Store, gli acquistai un regalo: una carta per l’iTunes Store di 15 CHF. Un lunedì, durante la pausa tra le due ore di storia dell’Arte, gli avevo promesso che gliene avrei regalata una da 30 CHF per il suo compleanno, a ottobre, ma visto che trovai queste e visto che volevo portargli qualcosa da quella gita, decisi di non aspettare. Ora avrei dovuto trovare qualcos’altro per il 28 ottobre.
    Due giorni dopo la trasferta in altipiano, sarebbe iniziata la scuola, e il giorno prima di andare a Zurigo erano state esposte le liste delle classi. Lui non era potuto andare a controllarle per via del lavoro e quindi lo informai io. Seppi anche chi avrebbe avuto a latino e a greco. Non fu entusiasta delle notizie che ricevette, ma si arrese a farsi delle nuove amicizie e a sopportare quel docente. Ci accordammo anche per recarci a scuola insieme il primo giorno.
    E infine, arrivò il 30 agosto e la scuola ebbe inizio. Pieni di buoni propositi giungemmo al liceo, e restammo insieme, noi due e i vecchi compagni, fino al momento di cominciare ufficialmente il nuovo anno scolastico, tutti con la propria classe e i propri docenti.
     
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  8. shad86
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    Meno male che non era successo nulla in estate! Certo che hai preso proprio una bella sbandata per questo ragazzo...
     
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  9. hi.
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    XD
    Dici? xP
     
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  10. shad86
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    CITAZIONE (hi. @ 3/2/2011, 07:27) 
    XD
    Dici? xP

    Ahaha dai non prendermi in giro, so che non è un granché come commento ma aspetto di aver metabolizzato la storia intera =P
    Una curiosità, tieni sempre un diario o solo in vacanza?
     
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  11. hi.
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    CITAZIONE (shad86 @ 4/2/2011, 22:41) 
    CITAZIONE (hi. @ 3/2/2011, 07:27) 
    XD
    Dici? xP

    Ahaha dai non prendermi in giro, so che non è un granché come commento ma aspetto di aver metabolizzato la storia intera =P
    Una curiosità, tieni sempre un diario o solo in vacanza?

    L'ho tenuto solo in quella vacanza, perché non avevo proprio nulla da fare e dovevo un po' sfogare le ultime news
     
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10 replies since 23/1/2011, 23:25   111 views
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