BEHIND THE CURTAIN

Psicologico//Riflessivo

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  1. Lomesome_Ghost
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    Lo studio era immerso nel più consueto ordine, tanto che nessun oggetto al suo interno poteva dirsi fuori posto: nella scrivania alcuni documenti erano ordinatamente impilati uno sopra l'altro; matite e penne, invece, erano unite con un elastico in modo che non si sparpagliassero, nonostante fossero all'interno di un portapenne. Nei cassetti del vetusto mobile vi erano sistemati in modo ineccepibile diversi oggetti di cancelleria, disposti in n preciso ordine cromatico. Ma l'elemento più vistoso non era lo scrittoio, bensì uno scaffale in cui erano riposti vari libri di psicanalisi, secondo il classico ordine alfabetico degli autori. Un tappeto rosso ricopriva completamente il pavimento della stanza in modo alquanto appariscente, tanto che chiunque avrebbe sentito caldo osservandolo; varie piante d'appartamento erano disposte sopra di esso, agli angoli, in modo che soddisfassero il bisogno di creare un'abbellimento estetico senza causare alcun ingombro nel transitare all'interno dello spazio leggermente angusto. Infatti, non era un caso se la psicanalista avesse deciso di sistemare all'interno dell'area di lavoro quei vistosi oggetti: dovevano servire ad annullare almeno in parte il senso di oppressione derivante dal trovarsi in un ambiente relativamente ristretto, il che si mostrava un rimedio particolarmente utile quando la dottoressa doveva occuparsi di pazienti claustrofobici. Non aveva mai avuto stima del suo capostipite Freud, che a suo dire era troppo ossessionato dalla componente erotica della vita, e per puro gusto di opposizione aveva decretato che il suo studio non doveva essere modesto e in assoluta penombra, ma illuminato e sgargiante. Il suo nome era Vera d'Addato, una donna assai competente nel suo campo, soprattutto in riferimnto alla sua giovane età, e in questo preciso momento si apprestava ad analizzare i comportamenti psicotici di un suo paziente alquanto difficile, che tra l'altro non smetteva mai di ammirarla o di lusingarla in maniera alquanto morbosa: quando parlava di se stesso, Ettore Gladio non cessava di osservare i lineamenti delicati della signorina che aveva in cura la sua vita, una persona alquanto bella, che sarebbe piaciuta alla stragrande maggioranza degli individui di sesso maschile del mondo: i suoi capelli, raccolti in un elegante chignon che pareva nascondere la bellezza dei suoi capelli biondi al naturale; gli occhi erano di un azzurro ceruleo, la pelle si presentava assai pallida, mentre il suo corpo, per quanto piacente potesse essere, era velato da un abbigliamento elegante che lasciava ben poco scoperto. Il collo, e quello che vi era appena sotto, era coperto a questo pro da un finissimo scialle di seta azzurrino, avvolto a mò di sciarpa. Il dialogo tra la dottoressa e il suo paziente era reso abbastanza concitato dalla parlata ansiosa di lui, mentre lei si limitava ad ascoltare per poi porre un freno alla sua enfasi con talune domande a bruciapelo:
    - Dunque, lei mi sta dicendo che non si sente abbastanza vivo...
    - Esattamente, dottoressa. Io ogni mattina... mi alzo, come tutti. Solo che sapendo bene che tutti sprecano la loro vita facendo tutte quelle cose pallose di tutti i giorni, rimango chiuso in casa a guardare la tv e mangiare patatine...
    - E così facendo si sente forse appagato?
    - Ecco, dottoressa, è qui che volevo arrivare. Io non combino niente, ogni cosa che faccio è una stronzata. E allora che faccio, me lo dica lei ora! Io ci ho pensato, dottoressa, e ho concluso.
    - Concluso cosa?
    - Non glielo dico, lei mi prende per pazzo poi...
    - Non sono qui per giudicare la sua salute mentale. Sono qui per capirla e aiutarla. Ora mi dica, che idea ha avuto?
    - Allora, dottoressa... noi in fondo veniamo da tempi lontani, quelli con la clava e la lancia di pietra, no?
    - Sì, certamente.
    - Loro cacciavano, uccidevano i nemici, si sentivano felici di questo.
    - Sta dicendo che pensa che uccidere la faccia sentire più gratificato?
    - Lo so che sembra orribile, ma se uccidendo un altro mi sento vivo, non è legittima difesa? Metta che uno la picchi... se lo uccido non è legittima difesa?
    - Non credo possa essere una soluzione...
    - Ma dottoressa! Che devo fare? Andare al lavoro e farmi fracassare le palle dalla richiesta del mercato? Di domanda e offerta? Me la chiama vita questa?
    - Lei ha degli amici?
    - Certo, come tutti.
    - Non pensa che se interagisce con le altre persone, in cambio debba accettare certe regole? E una di queste regole proibisce l'omicidio. E lei non credo uccida per il bene di altri, solamente per il suo.
    - Ma allora che devo fare?
    - Avrà tutta la notte per rifletterci. Ci sentiamo domani.
    - E' già finita la seduta? Io non ce la faccio ad aspettare un giorno, è un'eternità per me!
    - Ma no, vedrà, una settimana vola rapidamente.
    Detto questo, la dottoressa si congedò dal suo paziente Ettore Gladio, un paziente difficile, che manifestava spesso un disturbo della personalità che rischiava di sfociare nell'antisocialità, di questo si accorse la sorella, che un giorno lo vide picchiare un altro uomo senza un apparente motivo se non una scarna giustificazione "non mi piaceva come mi guardava", e ha subito telefonato alla migliore specialista in psicanalisi di tutta Milano, addirittura più richiesta dei ben più numerosi psichiatri, ovvero Vera d'Addato.
    Ettore Petrolini fu accompagnato alla porta, dove avrebbe prenotato l'appuntamento del giorno dopo con la segretaria di Vera, una donna rachitica e piuttosto ossuta, a cui si sarebbero dati dieci anni in più rispetto alla sua datrice di lavoro, invece che dieci anni in meno: aveva infatti trent'anni, tuttavia la sua bellezza di gioventù era nascosta talmente bene che ci si chiedeva se quel fiore sarebbe mai sbocciato. Cesira Langani era il suo nome, e nonostante nella sua vita non ci fosse alcunchè di cui ridere, era impossibile non vedere sul suo volto il perenne sorriso, anche se gli occhi erano distorti dalle spesse lenti da miope e i bianchi denti coperti da un vistoso apparecchio ortodontico. Con la sua gracchiante voce da cornacchia chiese al signor Gladio, come lo chiamava lei:
    - Possiamo confermare il suo appuntamento di domani per le undici di mattina?
    - Sì, va bene.
    - Firmi qua, e qua... oh, buongiorno, signorina Girardi.
    In risposta a questo saluto verso la sconosciuta, Ettore si girò, e la vide: Sonia Girardi, una ragazza qualunque, sicuramente presa dagli studi e dai pettegolezzi con le amiche. Il suo viso sorridente subito incantò Ettore, che scese sempre di più con lo sguardo teso ad ammirare i lineamenti perfetti della giovane, che risultavano molto più visibili di quelli della dottoressa, con cui non aveva niente da contendere in questione di bellezza. I suoi lunghi capelli neri, il suo sorriso bianchissimo, i suoi occhi azzurri, più belli e scuri di quelli della d'Addato, ma soprattutto le eccellenti forme, lo turbarono non poco. Uscendo di scatto dall'edificio senza salutare alcuno, iniziò a covare contorti pensieri verso la ventenne, dicendosi che se avesse iniziato a uccidere la sua prima vittima non poteva essere altri che lei, perchè in qualcosa di tremendo come l'omicidio, bisognava pur uccidere qualcuno davvero bello, per poter rendere indimenticabile quel travagliato momento. La porta si chiuse alle spalle delle due signore in modo piuttosto violento, e la segretaria si alzò per entrare nello studio della sua datrice di lavoro per avvertirla della paziente che è giunta anzitempo. Al suo ritorno Sonia fu invitata ad entrare nello studio, dove la psicanalista stava esaminando scrupolosamente gli appunti che aveva preso durante la seduta precedente a quella di Sonia, per cercare di capire se il paziente potesse o meno diventare un pericolo per la vita degli altri, ma smise non appena vide che la sua paziente era entrata. Appoggiò il documento sopra l'ordinata pila e invitò la giovane ragazza a sdraiarsi sul lettino e a descrivere le sue sensazioni riguardo la giornata:
    - Oggi, dottoressa... oggi mi sono sentita libera, dato che a scuola è andato tutto per il verso giusto... però... però... tornando a casa mia ho sentito mia madre e mio padre litigavano ancora, e sono corsa direttamente in camera mia senza mangiare nulla.
    - E che cosa hai pensato?
    - Riflettevo sul mondo intero, ormai è un sistema che si basa prevalentemente sul dolore e sulla sottomissione. Io che vengo qua da lei non sono forse sottomessa?
    - No, mia cara, io non la sto certo costringendo a queste sedute, non è vero? Se non erro, è venuta di sua spontanea volontà, senza nessuna pressione da parte dei suoi genitori.
    - Non giochi con me, dottoressa, io nn intendo in senso relativo, ma in senso assoluto. La società mi sottomette, e io, in preda al disagio, vengo da lei. La società che sottomette per me è l'origine di tutto. Insomma, tutti noi siamo in trappola, perchè ormai è un meccanismo vecchio di secoli!
    - Se la mette su questo piano, certamente è tutto un sistema coercitivo millenario. Mi dica, siamo finiti in una sorta di trappola senza uscita?
    - No, l'importante è che noi dobbiamo saper cogliere gli aspetti positivi che questa società ci offre, dobbiamo vivere fino in fondo i bei momenti, le amicizie, e insomma ogni cosa bella è relativa, dobbiamo vedere ogni cosa sotto la giusta luce, non trova?
    - Anche il divertimentopuò degenerare, se abusato. Una vita dedicata interamente alla ricerca del piacere può avere ripercussioni negative. Basti pensare a chi cade vittima dellen droghe, della ninfomania, dell'alcol, ci sono varianti negative che vanno sapute applicare a qualsiasi situazione.
    - Anche questo è vero, ma se uno si diverte senza esagerare, non pensa che il mondo sarebbe migliore? Ma io parlo proprio di divertirsi quando tutto va male, e divertirsi ancora di più quando va tutto bene! Che dice lei?
    - A dire il vero, io penso che la vita sia fatta secondo un dato equilibrio che dovrebbe essere rispettato. Insomma, ai problemi reagire con un certo distacco emotivo. Ma siamo qui per parlare di lei piuttosto che di me, non pensa?
    - Ha ragione, mi scusi, dottoressa, ogni tanto mi faccio prendere dal gusto della competizione, spero che lei capisca...
    - E' il mio mestiere, non crede?
    - Oh, vero, verissimo. Vede, io ogni giorno mi alzo la notte, e mi chiedo se valga la pena di alzarsi la mattina, poi mi rendo conto che non viviamo solo per noi stessi, sarebbe egoistico pensare di vivere solo per noi, gli altri con cui interagiamo ripongono sempre una parte di se stessi su di noi... e se morissimo sarebbe come uccidere una parte di loro. Il suicidio è così egoistico... la annoio?
    - Oh, no, affatto. Mi dica, il rapporto con i suoi genitori come procede?
    - Non procede. La situazione diventa stagnante, davvero... è una cosa assurda doverli sentire ogni giorno litigare a voce alta... da bambina mi mettevo sempre a piangere... e loro pensavano che avessi qualcosa che non va. Qualcosa che non va ce l'hanno loro!
    - Potrebbe essere il carico di responsabilità che grava sul tutto...
    - La verità è che sono egoisti e scontrano i propri interessi invece di farli coincidere.
    - Cara...
    La dottoressa titubò per un istante. Elaborò mentalmente che la ragazza presentava talune contraddizioni tra quello che diceva e quello che fa, ma avrebbe analizzato meglio la vicenda durante la prossima seduta. La avvertì della conclusione dell'ora di tempo e la congedò, dopodichè rimase in studio una mezz'ora per visionare i fascicoli riguardanti i pazienti che ha avuto durante la giornata, per poi indossare il cappotto e chiamare la sua segretaria,che a sua volta indossò il suo e si ecò all'uscita con Vera. Durante il tragitto parlarono del più e del meno, esattamente quel che ci voleva per la dottoressa, che dopo aver affrontato una decina di persone con piglio fermo, dedicandosi a complessi processi mentali per risalire ai loro disagi, non poteva sopravvivere se non si fosse dedicata a qualcosa di assolutamente semplice e frivolo, come i gusti in fatto di abbigliamento o il carovita. Dopo circa dieci minuti di conversazione piacevole, la dottoressa giunse a casa propria, al che congedò la sua dipendente, che prima di andarsene le chiese:
    -Vera, va tutto bene con tuo marito?
    - Non preoccuparti, Cesira, non potrebbe andare meglio.
    Mentre l'amica, oltre che sua impiegata, scompariva tra la nebbia che aleggiava con una certa frequenza in una metropoli quale è Milano, Vera girò la chiave nella toppa ed entrò, senza percepire presenza umana alcuna. Si sedette al tavolo e consumò la sua frugale cena, una tazza di latte con cereali assortiti, dopodichè entrò nella camera da letto, si cambiò di vestito, indossando una leggera vestaglia bianca, e raccolse dal pavimento il biglietto che ogni mattina cadeva dal suo letto mentre si alzava, in cui vi erano scritte due parole, poche ma significative: "Ti lascio". Lei, prima di dormire, lasciò che alcune rade lacrime scivolassero dal suo viso bianco.
     
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  2. Lomesome_Ghost
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    Su su che ne pensate? Aspetto risposte!!!
     
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1 replies since 28/11/2009, 08:23   95 views
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