Le rose

1ª e 2ª parte

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    Preciso che non si tratta di un racconto hot anche se potrebbe sembrarlo! Non è finito, sto lavorando alla seconda parte, ma siccome sta venendo bello lungo (il racconto XD) ho pensato di dividerlo in due parti.
    Ultima cosa: gli asterischi indicano un cambiamento di tempo, di personaggio o entrambi :)

    Le rose - parte I

    – Lasciatemi stare! Ho detto di lasciarmi stare!
    Pioveva come a novembre, pioveva senza sosta, piovevano calci. E facevano male. Per un attimo sentì la faccia bagnata: era sangue, era caldo, bruciava sulla pelle sudata.

    ***

    – Cosa ti è successo?
    – Niente!
    – Sei sporco di sangue, hai graffi un po’ ovunque sul volto e sei pieno di lividi. Immagina se fosse successo qualcosa!
    Torna in camera, in silenzio, un silenzio che grida “Mamma, non ti ci mettere anche tu, per favore”. Guarda come l’hanno combinato quegli stronzi! Chissà come mai non ha un occhio nero come nei film.
    Non è la prima volta che viene picchiato, Andrea. No. Non è la prima. Forse è la decima. O forse la decima è stata due settimane fa, all’uscita da scuola. E perché poi lo picchiano? Perché pensano che sia gay, o forse perché lo è.
    E se fosse davvero “frocio”? Se fosse un “finocchio” come lo chiamano le solite belve mentre lo pestano? No! No cazzo! Lui non è gay! Lui è solo... più sensibile. E gli piace leggere. Ah, e anche scrivere poesie.
    Lo specchio disegna un volto ferito, ferito dentro prima e fuori quasi non avverte più dolore: quelle ferite sono solo la rappresentazione simbolica di ciò che ha dentro.
    – Non sono gay! – e sbatte i pugni sul tavolo – Fanculo! Non sono gay! Sono stanco di essere picchiato per quello che non sono.
    In fondo cosa chiedono in cambio? Che si faccia una vita normale. E facciamola allora! Niente movenze effemminate, basta con la vocina da bambino e, sì, magari parliamo un po’ più di dialetto. Fa maschio. Esercitati, per Dio! Datti da fare! Fa’ che diavolo vuoi, ma diventa maschio!

    ***

    – Come va oggi, Andrea?
    È una settimana ormai che si parlano. Per i primi due anni di liceo non si sono cagati per niente. O meglio, lui ha preferito non cagarselo. Non vuole avere a che fare con quelli come Gabriele. Poi è stato male per due settimane e, indovinate un po’, chi è quello che aveva tutti gli appunti ordinati e precisi? Gabriele, Gabry il gay. Il piccolo frocetto sorride. Cazzo ti ridi! Hai quasi sedici anni e ti comporti come una femminuccia! “Dovevi averli tu gli stronzi dei miei amici a dodici anni, quando mi davano da mangiare le loro nike gridandomi del frocio! Ora saresti normale anche tu!” riesce a pensare prima di dire qualcosa.
    – Come ieri. Né bene né male. Tu?
    – Bene.
    – Capito, Gabriele.
    – Tu sei sempre così loquace!
    – Così cosa?
    Sa benissimo cosa vuol dire “loquace”, ma è troppo da effemminati parlare in quel modo a sedici anni. Quanti saprebbero cosa significa? E ricorda la promessa fatta a se stesso: leggi pure bello mio, ma parla come gli altri maschi.
    – Loquace – Gabriele non demorde – significa che parli molto.
    – Non penso di parlare molto...
    – Infatti era una battuta – e sorride. Che bel sorriso... Che pensiero da culattone!
    La professoressa di latino entra in classe. Latino! E chi se ne frega.

    ***

    Latino! Che meraviglia! Finalmente oggi è arrivata l’ora della lingua magica.
    Simpatico quell’Andrea. Poco socievole, ma non sembra così male come aveva pensato per due anni. E poi. E poi chissà. È un pensiero indefinito che non vuole darsi a conoscere. Sarà che a sedici anni neanche noi stessi ci riveliamo per intero. Ma perché non sappiamo chi siamo per intero: ci conosciamo a pezzi, mai come un unico. Ah! Gabry basta con tutte queste elucubrazioni! Ti stai perdendo le parole della prof.
    Ecco sta parlando di Roma: la grande potenza, l’impero, i gladiatori. Che uomini i gladiatori! Intrepidi, coraggiosi. Parlavano poco e agivano molto. Parlavano poco. Come Andrea. Un gladiatore. Andrea il gladiatore. E perché non Andrea il suo gladiatore? Ma che razza di pensieri! Gabry! Ma sei impazzito?! E se fosse un colpo di fulmine?! Be’ sì, d’accordo, aveva aspettato due anni, ma poteva sempre capitare, no? Colpo di fulmine! Gli veniva da ridere. Colpo di fulmine! Andiamo! E con chi poi? Con Andrea? Mr. Sono-spudoratamente-etero-guardate-e-imitatemi-gente! Non aveva fatto altro che prenderlo in giro per quei due anni. Va bene che non l’aveva fatto almeno in sua presenza o in maniera eclatante, ma i sorrisini cretini con gli altri ragazzi mentre lo guardavano o la sua risata da ebete quando gli altri lo sfottevano? No no, non era affatto il tipo di cui si sarebbe potuto innamorare. E poi in una settimana di “spiegami gli appunti, please”! O forse sì?

    ***

    – Dai, spogliati!
    – Lo sto facendo, abbi pazienza!
    – No, non ho pazienza! – Continuava a baciare la sua pelle, a inumidire con le labbra la tenera carne laddove la gola si distendeva sulla clavicola sinistra, mentre da dietro, cinto il bacino col braccio destro, faceva sentire la sua voglia che premeva.
    – Mmm non ce la faccio! Sento così tanta agitazione che non riesco a slacciare la cintura!
    Era vero. Si sentiva la sua agitazione. Ma era qualcosa di più forte dell’agitazione, era eccitazione. Andrea non ce la fece più e decise di intervenire: scese col braccio sinistro sulla sua cintura e questa quasi si aprì da sola al contatto con le sue mani calde, roventi, come il suo sesso, come la sua lingua. La cintura cedé, la sua preda era libera, la mano scivolò tra le cosce per accarezzarla e quella si dimenava col bacino, col busto e Andrea doveva cingere ancora più forte col braccio destro, mentre ormai leccava la gola e con un movimento rapido e bollente entrò nella bocca.
    Poi d’un tratto la preda scatta in avanti, si libera dalla presa, si gira e guarda Andrea in faccia, poi scende, in ginocchio, e così come questi aveva accarezzato tra le sue cosce con la calda mano, quella esplora lo spazio tra le cosce di Andrea con la sua lingua, con la sua bocca. Il ragazzo è in estasi.
    Ripresosi da quel godimento prende la ragione del suo piacere, la rigira e con un po’ di saliva si aiuta ad entrare in lei. Penetra. È stretto, caldo. Fa un po’ male, ma non si arrende e continua a farsi strada. La vittima geme, sbuffa, ansima. Silenzio. Il bacino comincia a muoversi, ondeggia come in una danza. Lo prende, lo fa suo, lo possiede!
    – Cazzo, Gabry, cazzo come ti voglio!
    Gabry riesce solo a rispondere “Andrea”, con le sue tre sillabe recitate a ritmo. Sembra quasi che voglia dire di continuare con quella sola parola. Suda, freme, brucia, gode, non saprebbe descrivere quello che succede.

    ***

    Dovevano solo studiare. Così credeva anche se era strano che, dopo aver recuperato tutte le lezioni, Andrea gli avesse chiesto di studiare insieme. Aveva pensato che dovesse dargli una mano con matematica, a scovare le incognite di quelle equazioni tostissime: lo stava aiutando a trovare la sua incognita. A capire.
    Era partito un dialogo cretino, adolescenziale, indecente:
    – Come fai a sapere tutto così bene? – aveva cominciato Andrea
    – Ma non è vero!
    – Dai, smettila di tirartela!
    – Tirarmi cosa?
    – Perché devi fare il frocetto a tutti i costi?!
    – Cosa scusa? – non c’era rimasto affatto bene.
    – Il frocetto, hai capito.
    – Vaffanculo!
    – Rimandami a fanculo se ne sei capace! – Andrea gli aveva stretto i polsi – Dai! Mettici forza!
    – Stronzo! Io ti spacco la faccia! – avrebbe dovuto essere arrabbiato, ma cominciava a divertirsi e non capiva perché.
    – Ah! Lo vedi che anche tu sai essere uomo quando vuoi? – sì, probabilmente Andrea voleva dargli una lezione di virilità.
    – Lasciami!
    Ora Andrea l’aveva girato e si trovava a premere con la sua schiena contro il suo petto, con il suo fondo schiena contro il suo bacino. Il frocetto immobilizzato e spalmato contro il macho. Il divertimento era intenso. Sempre più intenso. Si colorava di piacere. Bruciava. Impennava. Devastava.
    All’improvviso sentì il sesso di Andrea diventare duro. Tacevano entrambi. Poi, proprio chi voleva dargli una lezione di virilità, decise di prendere dall’altro una lezione di libertà. Aveva cominciato a roteare il bacino contro il suo. Gli piaceva. Da morire. Sentire quel sesso eretto, sentire il respiro del suo “aggressore” farsi più pesante.
    Avvertì il braccio destro di Andrea cingergli il bacino, poi provò la sua bocca tra gola e clavicola. Lo voleva! Cazzo! Voleva essere penetrato! Moriva dalla voglia anche se non l’aveva mai fatto. Poi come un tuono la voce di Andrea che spingeva con così tanta voglia che quasi si sentivano i jeans lottare contro una forza che li voleva lacerati:
    – Dai, spogliati!
    – Lo sto facendo, abbi pazienza! – le mani quasi non gli obbedivano più, immobilizzate dal piacere.
    – No, non ho pazienza!
    Ancora più eccitato da quella dichiarazione riuscì solo a lamentarsi: – Mmm non ce la faccio! Sento così tanta agitazione che non riesco a slacciare la cintura!
    La mano di Andrea, quella mano da ragazzo, lo liberò dai jeans, dagli slip e cominciò ad accarezzarlo tra le cosce. Si sentiva morire. Ora sentiva distintamente il sesso di Andrea turgido sui suoi glutei, cominciò a spingere, per sentirlo di più, cominciò a dimenare il bacino cosicché la mano sinistra di Andrea lo accarezzasse più forte. Aveva solo un pensiero quando l’amico lo baciò: “Più forte!”
    Si liberò dalla stretta, si voltò e lo guardò negli occhi. Voleva farlo. Si inginocchiò e cominciò a sentire che sapore aveva Andrea. Si sentiva così sottomesso e allo stesso tempo potente. Quel ragazzo sempre macho, sempre mascolino, eccolo là che vibrava come se fosse aria in un flauto. Ma al posto delle note, si sentivano gemiti e sospiri che nessuna sinfonia poteva eguagliare. Così maschio, così fragile.
    Ad un certo punto vede Andrea spalancare gli occhi, come risvegliatosi da un coma, lo vede scattare, viene preso con forza, girato, poi sente le dita inumidite tra i suoi glutei. Infine sente il membro dell’amico, spinge. Fa male. Brucia. Lacera. È insopportabile. Dopo poco il dolore funge quasi da anestetico e sente solo il suo compagno muoversi dentro di lui. È in uno stato di sospensione tra sofferenza e piacere. Non lo comprende. E questo lo inebetisce.
    Ancora una volta Andrea lo richiama alla realtà: – Cazzo, Gabry, cazzo come ti voglio!
    Niente. Non capisce se risponde. Non ha controllo su se stesso in quel momento. Sente in lontananza come un’eco la parola “Andrea” scomposta nelle sue tre sillabe scandite al ritmo di quell’accoppiamento improvviso. Ma non sa se è stato lui a pronunciare quella parola o no.
    Un urlo. Piacere. Vibrazione, tremore, inondazione.

    ***

    Si era fatto un maschio. Si era fatto un maschio! Come cazzo era successo? Però gli era piaciuto. Che cazzo dici! No che non gli era piaciuto. Non voleva. Aveva pensato alla biondinda della sua classe mentre lo sfondava. Sì, aveva pensato a quella. Ai suoi capelli neri, al suo petto, alla sua voce eccitata, al suo bacino che non riusciva a star fermo, al suo... L’immagine di Jessie, la biondina della sua classe, nel suo pensiero in realtà si fondeva con quella di Gabry, anzi, quella di Gabry sembrava ingoiarla in un atto involontario di cannibalismo. Aveva pensato a Gabriele tutto il tempo, ma non poteva accettarlo. No, perché lui non era gay. Non lo sarebbe stato mai. Lui era solo più sensibile. Sentiva i calci dei suoi compagni di scuola a dodici anni, gli girava la testa vedendo traballare davanti a sé il grattacielo della sua identità che aveva faticosamente ricostruito.
    Perché nessuno lo capiva? Perché al mondo non c’era nessuno con cui confidarsi? Doveva mandar giù il suo veleno, il veleno della solitudine. Aveva tanti amici, ma era solo. Tutti lo conoscevano, ma nessuno lo conosceva davvero. All’improvviso si ricordò di se stesso: che sogni aveva? Gabry voleva diventare un professore. Cosa contava per lui nella vita? Per Gabry era l’amore. Con chi voleva condividere la sua vita? Gabry la voleva condividere con lui. Voleva una famiglia? Gabry sì. Non poteva fare a meno di rispondere parlando di Gabriele. Gabriele era la sua risposta, era tutto ciò che lui non riusciva ad essere, non poteva essere, aveva rinunciato ad essere.

    Edited by EricNorth - 4/11/2015, 21:34
     
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    La situazione cominciò a peggiorare: non sopportava la vista di quel ragazzo. Ma chi si credeva di essere? Si comportava, parlava, agiva come se fosse il suo fidanzatino! Era solo un povero gay e niente più. Una persona che sogna troppo nella vita. I deboli sognano. E lui non era debole!

    ***

    Da un po’ di tempo Andrea era strano, freddo e assente. Sembrava quasi che quell’impeto di passione avesse portato via tutta la dolcezza di cui era stato capace subito dopo il loro incontro.
    Aveva smesso persino di salutarlo, ma per quanto potesse chiedersi il perché, non riusciva a capirne le ragioni.
    Il tempo aveva cominciato a scorrere: forse per la prima volta nella sua vita, Gabriele, si rendeva conto che i giorni si susseguivano velocemente. I giorni, le settimane, i mesi, poi, improvvisamente, come un tuono a ciel sereno, passò un anno. Questa volta, però, se n’era reso conto: un anno di silenzi, un anno di domande e nessuna risposta, un anno intero.
    Come si prospettava quest’anno? Non lo sapeva. Aveva provato così tante volte a parlare con Andrea, ma niente, lui non aveva mai accettato. Decise che gli avrebbe rivolto la parola appena l’avesse rivisto a scuola.
    Primo giorno di scuola. Saluti, baci, abbracci, alcuni falsi, altri autentici, si mescolavano nel brusio di una gioventù senza tempo.
    – Andrea!
    – Scusami devo andare!
    – ANDREA! – gli mantiene il braccio – Tu ora vieni con me!
    – Io non vengo da nessuna parte, frocio.
    – Me ne fotto il cazzo, tu ora vieni con me, sennò giuro che questo frocio ti spacca il culo!
    Lo spinse dietro una colonna, là, nell’androne pieno di gente.
    – Ora tu mi dici che cazzo hai!
    – Ma si può sapere che cazzo vuoi? Vuoi che ti spacchi la faccia?
    – Perché mi fai questo?
    – Ma questo cosa? E poi a te?
    – Andrea – sentiva una scia calda e umida scendere sulla gota sinistra, seguita subito da una simile sulla destra – scusa se te lo dico così e qui. Io, oh cazzo non lo so neanche io! È un anno che ti penso sempre. E cerco di cacciare dalla mia mente la tua immagine, ma non ce la faccio. So che ti vergogni di una cosa simile e che ti fa schifo, però io penso proprio di essermi innamorato di te. Mi sento male per questa improvvisa lontananza. Molto male. Scusa.
    Fece per scappare, chissà dove, forse era meglio saltare il primo giorno di scuola, perché si era detto la verità, aveva confessato a se stesso, prima che ad Andrea, il fatto di essere innamorato. A sorpresa, però, si sentì trattenere per il braccio.
    – No, resta. Non so cosa dirti.

    ***
    – No, resta. Non so cosa dirti.
    Perché diavolo lo stava trattenendo?! Non era quello che voleva? Lasciarlo andare e toglierselo dalle palle! Andiamo, un piccolo frocetto piagnucolone e sdolcinato. Quelli come Gabriele dovevano fargli schifo!
    Però c’era qualcosa che non riusciva a spiegarsi. Era la stessa sensazione che per un anno intero gli aveva impedito di dormire. Gli aveva impedito di pensare ad altro, come se fosse una punizione. Quando all’alba si addormentava finalmente, sognava infinite volte il momento in cui l’aveva penetrato e si svegliava di soprassalto, come se fosse un incubo tremendo, l’erezione gli faceva male.
    Si era masturbato ogni mattina, pensando a quel pomeriggio con Gabriele. E gli piaceva ogni volta. Ormai ci pensava sempre e più cercava di cancellare quel ricordo, più lo voleva rivivere.
    – Devo parlarti. Ti va se saltiamo la scuola oggi?
    – Va bene.
    Cosa gli avrebbe dovuto dire? Ormai l’aveva fermato. Marinarono la scuola e andarono a casa sua. I suoi genitori lavoravano entrambi, sarebbero tornati solo la sera.
    Si sederono sul divano. Nessuno parlava.
    – Allora, cosa volevi dirmi?
    – Be’, è difficile Gabry. Non so come dirlo.
    – Cosa?
    – Io sto male. – Che cazzo stava facendo! No! Non poteva raccotargli la sua storia! – Da ragazzino mi picchiavano sempre.
    – Perché ti picchiavano?
    – Perché ero gay.
    Più cercava di stare zitto e frenarsi, più raccontava e piangeva. E non se ne rendeva conto. Sentiva bruciare il viso come quando riceveva quei calci in bocca, sentiva la sua paura, sentiva la sua voglia di essere normale, di essere come tutti.

    ***

    Non riusciva a crederci. Andrea era gay... Gay e represso. Il maschione, l’eteraccio, quello di cui nessuno mai avrebbe dubitato. Piangeva. Sapeva piangere.
    Ritornò coi ricordi anche lui a dodici anni, quando tutti i suoi amici lo chiamavano finocchio e lui non sapeva neanche cosa significasse. Ricordò quante angherie aveva dovuto sopportare, quante umiliazioni. Ricordò come il fratello l’aveva trattato quando si era confidato con lui. Quante volte aveva pensato a cosa avrebbero potuto dire i suoi genitori se non fossero morti in un incidente stradale. Pensava che dall’alto piangessero di dolore e che il suo essere omosessuale rovinasse la loro pace eterna.
    Andrea lo richiamò alla realtà, appoggiandosi a lui con il volto ancora bagnato. Fecero l’amore. Due volte, tre volte, quattro. Rimasero stretti per chissà quante ore.

    ***

    L’anno che seguì fu particolarmente sereno. E si sentiva una persona nuova. Aveva più amici, era più disteso. Stava perdendo la reputazione di bullo, maschiaccio e persino quella di etero. Ma non gli importava più adesso. Adesso c’era Gabriele. Adesso c’era chi lo poteva capire, chi aveva condiviso i suoi dolori.
    Persino i suoi voti migliorarono e di grosso: da una media del sei ad una media del nove. Si chiedeva ogni giorno come aveva fatto un ragazzo come Gabriele a cambiarlo. Non ci era riuscito da solo in anni ed anni ed ecco che in poco più di un anno, il suo attuale fidanzato ci era riuscito.
    Aveva imparato anche a dire ti amo! Aveva imparato a dire fare l’amore. Aveva imparato a dire noi. E, cosa infinitamente più importante, aveva imparato a pensarlo.
    L’anno trascorse velocemente. Troppo velocemente. A pochi si era dichiarato, ma viveva con un’immensa serenità. Arrivò il periodo degli esami. Superati a pieni voti!
    L’estate insieme. Una magia, uno spettacolo. Decisero di iscriversi a lingue straniere entrambi. La vita era bella. La vita è bella. Voleva vivere! Sapeva cosa voleva dire vivere, finalmente!

    ***
    – Cosa?
    – Sì, devo.
    – Ma perché? Cazzo perché?
    – Dai, sta’ calmo Gabry. Andrà tutto bene.
    – Tutto bene?! Vai a studiare a quasi duemila e cinquecento chilometri da qui!!!
    – Ci vedremo quando tornerò.
    – Quando tornerai?
    – Non lo so. Ora che mia madre ci ha scoperti vuole spedirmi il più lontano possibile.
    – Non lasciarmi!
    Si abbracciarono, si amarono, ancora, profondamente, come in quel lungo anno che era finito troppo presto.
    Sapeva benissimo che non sarebbe ritornato. Sapeva benissimo che non si sarebbero sentiti mai più.
    Si sentirono, invece, per due mesi. Poi un sms di Andrea, un giorno di dicembre:

    «Ciao, Gabriele. Sono guarito. Ho trovato la mia strada nella vita. Non sono gay. Ho una fidanzata adesso. Non cercarmi più.»

    Aveva provato a cercarlo, a chiamarlo, a mandargli degli sms, ma nessuna risposta arrivò quel giorno. Non arrivò mai.

    ***
    – Immagino che sia contentissimo.
    – Da impazzire. È il mio terzo libro e...
    – E hai vinto il conocorso per insegnare filologia celtica all’università, lo so!
    – Ahahaha! Ti voglio bene, Giulia!
    Avere tre pubblicazioni di filologia alle spalle e aver ottenuto la cattedra di filologia celtica all’università a soli ventisei anni era un traguardo per Gabriele Micchento.
    Quella cena a casa sua con Giulia, Francesco, Alessandro e Claudia fu spassosissima. Videro un vecchio film con Julia Roberts, Il matrimonio del mio migliore amico e poi gli invitati tornarono a casa.
    Si adagiò sul letto e lasciò la mente vagare: scene del film si mescolavano ai suoi progetti e non riusciva adesso a distinguere i progetti dai sogni. Poi si rigirò sul letto e urtò lo scaffale con i libri, un libro gli cadde in faccia. Lo prese, Il giardino segreto. Era stato il loro libro. Erano anni che non pensava ad Andrea. Un po’ di malinconia gli si dipinse sul volto, ma era mitigata ed edulcorata dal tempo e dalle future prospettive di lavoro. Tutto sommato era una malinconia piacevole.
    Aprì il libro a caso, una lettera faceva capolino tra le pagine. Una lettera scritta otto anni prima da un Andrea innamoratissimo, che esortava a non perdere la speranza, che prometteva che si sarebbero rivisti prestissimo.
    Gabriele si fece una domanda che subito dopo ritenne infantile e senza senso: – Presto, ma quando?
    Decise di farsi una passeggiata vicino casa. Una casa diroccata si alzava sulla strada e su un vecchio giardino putrescente. Non era mai cambiata in otto anni. Si fermò davanti al cancello e si ricordò di quante volte aveva attraversato quel vialetto per entrare in casa con Andrea e farci l’amore.
    Era una casa abbandonata, traballante, come se ne vedono solo nei cartoni animati. Quei ricordi profumavano di erba secca. Decise di entrarci e passeggiare con i fantasmi del suo passato su quei pavimenti scricchiolanti.
    Ma appena attraversò il cancello, un gruppo di cinque ragazzi lo fermò. Il più alto, completamente rasato, così come gli altri, gli fece:
    – Scusa, amico!
    – Sì?
    – Hai una sigaretta?
    – Oh no, mi dispiace, ma non fumo – e sorrise.
    – Che cazzo ti ridi come un frocetto!
    – Be’, non ho sigarette. Buona sera. – Fece per andarsene. Ma una mano lo fermò.
    – Hai molta fretta, frocetto?
    – Lasciami stare.
    – Ah sì? Sennò cosa mi fai? Te lo dico io cosa devi farmi ora. Succhia!
    – Hai altri quattro froci con te, fattelo succhiare da uno di loro!
    – Oh! Avete sentito ragazzi? Il piccolo finocchio che non fuma per mantenersi in salute ha detto che siamo della sua stessa specie! – cominciò a dargli calci in pieno petto e in faccia, dopo averlo buttato per terra – Adesso tu fai il bravo, ricchione, perché sennò sono cazzi tuoi.
    Lo violentarono tutta la notte. Non aveva mai gridato così tanto in vita sua. Gridava aiuto, ma nessuno sembrava sentirlo alle tre di notte. Lo violentarono, lo picchiarono, lo umiliarono, lo ferirono. Senza sosta.
    Il dolore si fece così intenso da anestetizzarlo. La mente corse immediatamente alla sua prima volta, a quando fece l’amore con Andrea.
    Sentiva il sapore del sangue in bocca, era salato, era caldo. Non avrebbe saputo dire se la bocca gli bruciasse per i calci ricevuti o fosse quel sangue a bruciare, a bruciare con tutta la rabbia che provava contro quelle belve. Contro quegli animali senz’anima e senza dignità che pestavano un frocio perché, in fondo, froci lo erano anche loro. Froci e senza palle. Senza le palle di ammettere che gli piaceva scoparsi un ragazzo.
    Andrea. Dov’era? Perso tra le pagine del tempo. Poi un nome lo richiamò alla realtà.
    – Andrea, dai andiamo. Qua non c’è più nulla da fare. Direi che dopo quattro giri l’abbiamo imbottito per bene il frocetto. Forse ora sarà sazio!
    Andrea. Quel nome. Il buio.

    ***
    – In coma! Ma come è possibile? Cioè, l’abbiamo lasciato che stava bene. Come han fatto a picchiarlo, era con noi in casa.
    – Signorina, le ho detto che l’hanno trovato questa mattina alle sei riverso sul marciapiede pieno di sangue e con evidenti segni di violenza sessuale. Fino a che ora siete stati da lui?
    – Fino alle due e mezzo, al più tardi le tre meno un quarto.
    – Probabilmente sarà uscito a farsi una passeggiata.
    – Ma chi l’ha ridotto così, dottore? Chi?
    – Non lo sappiamo. Nessuno ha visto o sentito niente.
    – Ma non si possono fare indagini più accurate?
    – Questo lo deve chiedere al commissario.
    In quel momento, quasi chiamato dalla parola commissario, entrò un uomo robusto e abbastanza alto, il commissario Cleifa.
    – Commissario, sono Giulia Franceschini, amica molto stretta della vittima.
    – Buongiorno e piacere mio, sono Gerolamo Cleifa.
    – Commissario, chi sono gli aggressori?
    – Non lo sappiamo signorina.
    – Ma lo saprete?
    – Non lo so.
    – Il medico dice che ci sono segni di violenza sessuale. Si può risalire agli aggressori dal materiale organico!
    – In teoria sì, però...
    – Però cosa?! PERÒ COSA?! È gay e quindi a nessuno gliene fotte niente? È per questo, vero?! Perché a nessuno gliene fotte un cazzo se un gay viene torturato e ucciso in questo paese di merda?!
    – Signorina, la prego si contenga o...
    – O cosa? O COSA? Mi arresterà? Faccia pure! Quel ragazzo è un mio amico ed ha tutta la vita davanti, lo capisce?! E lei cosa fa? Si arrende senza cercare, senza indagare!
    – Non ci sono testimoni.
    – E quindi magari è tutto falso, magari si è picchiato da solo?!
    – Non possiamo scartare nessuna ipotesi.
    – E tutto ciò perché è gay suppongo. È mai possibile che non siamo protetti in questo paese? È mai possibile che vi limitiate a dire che non sapete chi siano gli aggressori e quindi non si possa fare niente?!
    – Senta, signorina, mi ascolti...
    – Mi ascolti lei: se dovessi trovare l’aggressore o gli aggressori, mi farò giustizia da sola. Ah e un’ultima cosa: VAFFANCULO!
    Uscì dalla stanza come una furia e urtò contro un ragazzo dall’aria smarrita: era al telefono. Sentì la sua conversazione, anche se non lo fece di proposito.

    ***

    – Andrea, sei qui! Amore mio!
    – Ciao Gabry, non preoccuparti ora ci sono io.
    – Mi hanno picchiato, mi hanno violentato lo sai?
    – No – lo abbracciò – non piangere, è stato solo un sogno.
    – Dove siamo?
    – A casa nostra, guarda che bel giardino in fiore. Ti piace? Come il giardino segreto. Vedi! C’è anche un’altalena come quella del libro.
    – Ci andiamo insieme?
    – Sì, amore mio.
    Si sederono sull’altalena e abbracciati cominciarono a dondolare, in alto, sempre più in alto.
    – Mi fa freddo!
    – Tranquillo, Gabry, ti riscaldo io. – Lo strinse forte forte a sé.
    – Che fai?
    – Ti tengo la mano e mi alzo, vieni con me, voliamo nel cielo.
    – Voliamo?
    – Sì, voliamo verso l’isola che non c’è. L’isola dei nostri sogni.
    – Ma, volare?
    – Volare, sì. – Andrea gli sorrise.
    Decise di fidarsi. Gli strinse la mano e quando l’altalena arrivò in alto in alto, Andrea saltò e lui si diede una spinta per seguirlo. Volò con lui in alto, sempre più in alto, nel buio che circondava quelle stelle brillanti.

    ***

    Il tracciato delle macchine era piatto. Gabriele se n’era andato a ventisei anni. E con lui tutti i suoi sogni.
    La cerimonia funebre fu lacerante per chi l’aveva amato, tremenda. Dietro, in fondo, in piedi tra le altre persone radunate c’era anche quel ragazzo che Giulia aveva incrociato all’ospedale. Ricordava ancora le parole di quella conversazione telefonica sussurrata vicino la camera di Gabriele.
    Dopo la sepoltura, Giulia e quello strano ragazzo furono gli ultimi ad andarsene. Lei lo sentì bisbigliare:
    – Domani pomeriggio torno da te. E ti porto una cosa, oggi c’era troppa gente.

    ***

    Giulia lo aspettava. Lo aspettava dalle tre del pomeriggio. Erano le cinque. Sarebbe venuto? Questa domanda non finì d’essere pensata che ecco il ragazzo sbucare dall’ingresso. Si avvicinò alla tomba di Gabriele e vi posò una rosa rossa:
    – Scusami, Gabry. Non sapevo fossi tu quella notte. Ero ubriaco. Mi sono sentito una merda per averti violentato e pestato assieme agli altri del mio gruppo. Però, non ci posso fare niente. Io sono uno skin head adesso. Io sono nato così. Non posso farci niente. Quelli come te non sono normali, lo sai. Alla fine penso di averti amato davvero durante il liceo, ma non sono gay, mi dispiace.
    – Adesso tu vieni con me e non fiati, oppure un po’ di piombo finirà nella tua schiena. – Il sussurro gli arrivò alle spalle, mentre la canna fredda della pistola si faceva sentire attraverso la maglietta, all’altezza del cuore, sul torace.
    Lo portò in quella casa diroccata dove le avevano detto di aver trovato il corpo di Gabriele. Lo fece entrare. Entrò anche lei.
    – Cosa vuole da me?
    – Ho sentito la tua telefonata, naziskin di merda!
    – Che telefonata, scusi?
    – La telefonata in ospedale, quando ti ho urtato. «Abbiamo pestato un mio vecchio amico di liceo, è qui in ospedale in coma». Non hai detto così, pezzo di merda?
    – Che fosse mio amico o meno era gay.
    – Tu sei meno di una merda invece. A pensarci bene meglio frocio che coglione e assassino. Ho sentito anche il tuo monologo al cimitero. Tu sei il famoso Andrea. Già! Metà naziskin, metà finocchio! E indovina qual è la metà peggiore?!
    – Ora basta!
    Giulia estrasse la pistola dalla borsa e gliela puntò dritta verso il petto.
    – Decido io quando basta, o qui finisce male! Perché l’hai fatto? Come hai potuto dimenticare l’amore e il bene che ti ha dato?
    – Erano cose malate, erano cose sbagliate, stia zitta!
    – No, tu sei malato! Tu sei sbagliato! Tu dovevi crepare! Tu, figlio di puttana! Facciamo il duro etero per nascondere quanto siamo femminucce dentro! Vero? È VERO?! A dodici anni ti pestavano e tu fai la stessa cosa. Ma anche se vi farete tutte le donne del mondo, anche se pesterete e ucciderete tutti i gay del mondo, tu e il tuo gruppo di amici rimarrete un branco di froci repressi che ha violentato una persona come loro, ma che ha avuto le palle di vivere la sua vita e di ammettere quello che è!
    – Lei non sa un cazzo della mia vita!
    – A me non interessa la tua lurida vita...
    – Io dovevo farlo, anche se lo amavo, io non sono gay...
    – Crepa...
    Uno sparo. Un altro sparo. Silenzio.

    Edited by sand-storm - 24/7/2009, 23:07
     
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    FIGO GAY

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    Bene sand-storm complimenti questo non è un comune racconto hot è l'inizio di un romanzo hai una vena poetica che si mischia con una vena eccitante ma bellissima quanto tu hai scritto è poetico è sentimentale fa sognare illudere che la realtà sia come tu l'hai scritta,anche se è così specie nella parte in cui tu descrivi le violenze subite per essere frainteso.Complimenti continua appena puoi bravo!!!!
     
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2 replies since 14/7/2009, 14:24   158 views
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