Gay Boys Reloaded

Posts written by Queerboy

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    vuoi proposte? ok:
    maaa... e se il "frocetto" si vendicasse delle ingiurie e con qualche stratagemma legasse e si scopasse il fratello stronzo? xD
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    Sì ma... era così intrigante e il finale così riduttivo!!!! u.u tsktsk non va bene. Guarda quanti spunti:
    1) passarono i giorni e io e Sahid scopammo ogni giorno come ricci
    2) arrivò il giorno in cui si fece scopare anche lui da me
    3) alla fine il padre decise di darci la sua benedizione

    Qui a occhio ci stanno 3 o 4 altri capitoli! Su su che il racconto è bello! Al lavoro! :)
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    Bella storia, con i tempi giusti. Avrei caratterizzato di più i personaggi e in genere non mi piacciono le scene hard senza versatilità, però sono gusti miei personali. Quindi insomma bravo e aspetto il seguito!
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    E' già sua...

    Cosa faresti se scoprissi che il tuo/la tua amato/a ha venduto l'anima al diavolo?
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    Nota: vi starete chiedendo cosa ci fa un racconto del genere in un sito gay. Si tratta dell'inizio di un progetto un pò più ampio dove la sessualità è presentata a 360 gradi quindi... un pò di pazienza. :)
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    Il demone le strappò il vestito con un gesto rapido e la afferrò per i polsi. Era nuda, completamente nelle sue mani. La coscienza di lei gridava in silenzio disperazione, mentre il corpo voglioso gemeva e si contorceva di desiderio. Il Matto ghignò e accostò il membro alla sua femminea fessura. Fu terrore e voluttà, mentre lui le scivolava dentro, stimolandole il clitoride. Nudità. Brama.
    “Mia virginea fanciulla, desideri che io recida il sigillo? Desideri accogliermi in te, nelle tenebre del ventre tuo occulto, laddove solo l’Occhio Panico può guardare? Desideri il mio seme di morte, che renderà te mia Sorella incestuosa ed immortale, nell’infinità del ciclo notturno?”
    Le morbide labbra della ragazza si dischiusero in contemporanea, così in alto, come in basso, in un ineluttabile assenso simpatico.
    Il satiro condusse il glande alla segreta porta, e spinse. Non un lamento, non una goccia di sangue accompagnarono la rottura del sigillo. Il demone sprofondò nella guaina sottile e solo miele distillarono le mucose di lei. Gemito di piacere, esultazione interiore nella fanciulla recisa; tessuti turgidi e serrati attorno all’intimità tenebrosa di lui, pronti ad essere violati in profondità mai scoperte; giubilo di morte.
    “Morte… è …Vita” ansimò la ragazza.
    Cosce pelose strisciavano sulle sue gambe lisce, mentre i genitali si vincolavano in un vorace grondare di umori.
    “Morte è solo… Cambiamento” rispose il Matto scuotendosi ferocemente in lei.
    Piacere che cresceva ad ogni spinta, ogni spinta un’urgenza che urla, urgenza di apertura, densa di umori gravidi di peccato. Tutto a breve sarebbe stato stravolto, lì dentro, l’anima di lei compromessa. Di che colore l'avrebbe riempita l'orgasmo di lui? Acque nere ed infernali, già, lo sapeva, e pesanti come il fuoco denso che si concentrava nel suo ventre.
    “Cambiamento è vita…” gemette la fanciulla.
    Contrazioni umide. La sua vagina rispondeva alla minaccia infernale con copiose perdite di umori. Ricolma di imminente orgasmo stringeva il membro del satiro in un’umida, vogliosa morsa.
    Il piacere di entrambi era quasi all'apice. Si schiudeva piano la porta sul nulla, un nulla fecondo di sperma e di calore di morte, nuovo inizio tra gli scossoni.

    “Vita, Morte, Cambiamento… Non sono nulla, mia adorata! Tutto è Uno! Io Pan!”

    I testicoli di lui si schiacciarono sulla sua intimità, pompandole dentro il liquido fatale.

    Esplosione Liquida. Invasione Calda. Confini che crollano. Seme denso ingravida fertili Tenebre. Comunione. Notte. Urlo.

    La fanciulla si contorceva tutta sul membro pulsante, percipiva il seme di lui penetrare in profondità nel suo stesso utero, espandersi in tutto il suo corpo in un calore violento. Non desiderava altro. Non mentre sentiva di conoscere il suo amante demonico come se stessa, non mentre si percepiva svanire sotto la spinta di un qualcosa che si impadroniva del suo corpo e la divorava dolcemente, spingendola nell'oblio. Nulla aveva più importanza, se non il demone che la riempiva, che attraverso la sua stessa bocca cantava quell’antica cantilena.

    “E mentre il mio seme nel ventre tuo doma
    ricordi di morte, rimorsi perdona;
    soltanto in quell’ora domanda al tuo cuore
    che cosa tu sei e poi, forse, il mio nome!”

    E umori perduti grondarono su una pietra che si tingeva di azzurro.
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    Terminata la cantilena, i cadaveri attorno alla ragazza si immobilizzarono all’improvviso. Come in rinnovata morte, smisero persino di respirare e caddero a terra con un tonfo leggero.
    Il satiro raggiunse la fanciulla e la strinse tra le proprie braccia, trovando una resistenza debole, fiaccata dal desiderio e dalla rassegnazione. Era molto bella. Capelli biondi e lisci le incorniciavano il volto, mentre alcune lacrime rigavano ancora le rosate guancie.
    “Smettila di ribellarti, mia virginea fanciulla – le sussurrò dolcemente il Matto – apri il tuo cuore alla realtà della Grande Madre, e concedi a me le tue grazie notturne, perché noi ci apparteniamo sin dalla notte dei tempi. Quante volte ti trovai, e ti persi, ché morte e vecchiaia ti strapparono dal corpo. Ma ora, insieme, sconfiggeremo pure queste estreme nemiche, perché io ho appreso la conoscenza.”
    Il demone prese ad accarezzare una coscia di lei e a sollevarle il vestito. La ragazza gemette ma non si mosse, abbandonandosi nelle braccia del satiro.
    “Lo vedi, come sono diventato? Ora sono immortale, perché la morte è in me, e presto, molto presto, sarà pure tua.”
    La mano del Matto risalì e trovò del tessuto sottile a dividerla dalla carnosa intimità di lei. Le braccia della fanciulla gli si strinsero al collo, mentre il suo tocco sapiente la infuocava.
    “Tu mi desideri, mia amata. Posso già percepire brama impregnare la tua intimità…”
    La ragazza osservò il demone negli occhi neri e nelle fattezze diaboliche e si domandò da dove provenissero certi flash…certe reminiscenze.

    “Osserva il mio corpo, mia cara fanciulla,
    ricorda leggende e diventa farfalla,
    di ali esortanti spensierati voli
    dipingiti il cuore, la bocca, le reni…”

    Il satiro le sfilò le mutande rivelando una fessura bagnata e dischiusa, attorniata da una rada peluria bionda. La ragazza osservò il membro del Matto pulsare nelle tenebre mentre si chinava su di lei, mentre con gli zoccoli le schiudeva le gambe. E comprese. Guardando il suo membro scintillare nella notte, umido di desiderio, comprese che nulla, in tutta la sua esistenza, lei aveva bramato così atrocemente.

    “E mentre il mio seme nel ventre tuo doma
    ricordi di morte, rimorsi perdona;
    soltanto in quell’ora domanda al tuo cuore
    che cosa tu sei e poi, forse, il mio nome!”
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    :) Re-inviato!!!
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    Dio mio, i tuoi racconti sono così concreti... Crei delle atmosfere che mi parlano di me, dei miei vissuti, del mio passato insomma. Anche i personaggi sono verosimili e molti dei loro pensieri sono stati condivisi da me, in qualche momento della mia vita. Insomma. Scrivi cose che potrei scrivere io, ma scrivendole molto meglio di quanto io possa fare. Tanti complimenti.

    P.S. Ti era arrivato il mio MP, qualche settimana fa? Siccome non vedo i messaggi inviati non so se hai scelto di non rispondere di proposito, oppure se si tratta di uno degli innumerevoli scherzi della mia connessione internet.
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    Il mantello del Matto ricadde a terra con un rumore ovattato. Il corpo di un uomo sovrastava due zampe caprine, mentre il suo fallo eretto scintillava umori nella penombra.
    Quello sarebbe stato il nuovo mondo della ragazza, respiri di morte e libido infernale. Tutto il resto stava per sparire per sempre. Suo Padre. Sua Madre. Il suo promesso sposo.

    “Le parentesi aperte – declamò il Matto - sono destinate ad essere chiuse in un modo o nell’altro. Non pensare più a lui, non chiedermi mai di lui. Lui per te non è mai esistito. Ora tutto ciò che esiste per te sono queste lapidi, e questo antico demone, che ti ha eletto a sua sposa in questa notte di primavera.”

    Lacrime rigarono il volto della ragazza, mentre il suo corpo si rassegnava all’orrore che la reclamava. La stavano aprendo. Lingue putrescenti le stimolavano i capezzoli e, sapientemente, la vulva che si preparava.
    Cosa sarebbe successo? E soprattutto cosa le sarebbe successo?

    “Mia adorata fanciulla, non sforzarti di chiedere ciò che già sai…"
    Conosco le tenebre della tua mente,
    ciò ch’essa desidera ferocemente…
    E senza riserve io a te voglio dare,
    l’ambrosia divina della perdizione”
    “Ti prego – piagnucolò la ragazza – lasciami andare!”
    Ricordi improvvisi, come flashback di esistenze passate le tornarono alla mente. E sensi di colpa. E desideri insaziabili.

    “Osserva il mio corpo, mia cara fanciulla,
    ricorda leggende e diventa farfalla,
    di ali esortanti spensierati voli
    dipingiti il cuore, la bocca, le reni…”

    Immagini di sculture greche invasero la mente della ragazza. Un calore improvviso le bagnò le cosce, mentre un'onda di tensione erotica si impadroniva progressivamente del suo corpo. Cercò di combattere, di non ascoltare quella cantilena infernale, di dimenticare, ma era tutto inutile. Era come se il suo stesso corpo si stesse risvegliando al suono di quella voce suadente, di quelle parole di potere; come se stesse prendendo il controllo su di lei.

    “E mentre il mio seme nel ventre tuo doma
    ricordi di morte, rimorsi perdona;
    soltanto in quell’ora domanda al tuo cuore
    che cosa tu sei e poi, forse, il mio nome!”
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    Mentre le ultime parole del Matto echeggiavano nell’aria silvestre, le lapidi attorno presero voce. Dapprima fu un sussurro schricchiolante, poi un lontano crepitio gemente. Come in un incubo, il cimitero stava prendendo vita. Cadaveri come fiori anelavano l’aria dei vivi. Era così evidente. La ragazza non potè che gridare il proprio sgomento mentre l’impossibile stuprava il mondo. Non vi era più niente di reale, nessuna possibile via di uscita, solo artigli a scavare il terreno sottostante.

    “Figli miei… venite a conoscere vostra madre, e padrona. Vostra sarà, come mia incestuosa sorella, a ritornare il creato in nuova, macabra genesi”

    Non poteva scappare. Le gambe tremavano terribilmente, ed il terreno sottostante oscillava come scosso da un amplesso mortale. La ragazza attendeva il peggio, osservava l’incappucciato celebrare osceni canti mentre i morti si animavano tutto attorno. Visioni di cadaveri putrefatti le riempivano la mente, mentre il cuore sembrava esploderle nel petto. Non furono però gli occhi ad essere riempiti dell’orrore più grande. Quando i rumori si fecero stridenti, il tremore possente e il bosco attorno silenziosamente morto, la ragazza udì l’indicibile. Il suono che le penetrò l’anima, frantumandola in mille sanguinanti brandelli, non fu però la prima esplosione. Persino lo scricchiolare di ossa e tendini decomposti, mentre il terriccio ricadeva a terra come grandine marcia… persino quello fu niente in confronto all’oscenità che la sconvolse.
    Un respiro.
    Aria pulita, risucchiata voracemente da polmoni neri, senza pietà, senza speranza, in un sibilante riverbero infernale. L’essere che respirava lo faceva da lontano, venti, forse venticinque metri, eppure quel respiro non era laggiù, con lui. Lui le stava respirando nel cuore, mentre una consapevolezza ancestrale penetrava in lei ad ogni risucchio, ad ogni rantolo.

    “Ecco i miei figli! I nostri figli, mia adorata. Perché noi li possiamo sentire dentro… non è vero?”

    Le tombe sussultavano e nuove esplosioni, nuovi respiri si assommarono ai primi. Ormai non vi erano distanze ben definite tra la ragazza viva e la morte attorno a lei. Erano così vicini, così intimamente collegati con la sua anima agonizzante…

    “Sono sempre stati dentro di noi.”

    Eppure l’anima della ragazza era ancora viva. Irreparabilmente infranta, certo, ma abbastanza viva e sofferente da sgomentarsi davanti a tutto quello, abbastanza lucida da spingerla a tentare una estrema, vana fuga, quando il terreno esplose sotto di lei ed un braccio rinsecchito le ghermì la caviglia. Non vi è però fuga dall’inferno, quando esso trova breccia fra gli spiragli della nostra ragione. Un altro braccio putrido la afferrò per la stessa gamba. E tirò. L’abito bianco scivolava sul terriccio, lacerandosi, mentre la ragazza impotente gridava, ed il cadavere le afferrava l’altra gamba libera. Fu tutto molto veloce. Un teschio dalle orbite vuote, annerito dal tempo, sbucò dal terreno. Carne morta risorgeva dall’oblio, le divaricava le gambe, la tirava a sé, inesorabile. Il corpo dell’essere tornava alla luce, con i muscoli nudi, rinsecchiti e nauseabondi, tutti tesi nell’approssimarsi a lei.

    “E ci vogliono ritornare.”

    L’essere tirò ancora, fino ad immergere la testa sotto il vestito, tre le gambe di lei. In quel momento la ragazza comprese di non aver mai provato la vera paura. Non fino a quel momento. Altri due cadaveri la presero per le braccia con fare lascivo, immobilizzandola e strappandole il vestito per liberare i suoi seni. L’odore nauseabondo le fece girare la testa, ma fu quando il primo cadavere le raggiunse l’intimità e la prese a leccare che la ragazza si paralizzò dal terrore. Non l’avrebbero uccisa.

    “Sì, la porta per l’anima, mia adorata. Stiamo per aprirla. Assieme.”
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    “Era sera quando t’incontrai. Note di un pianoforte triste incorniciavano il giardino della tua casa, mentre gli invitati borbottavano pettegolezzi frivoli. Un vento lieve rianimava sussurri perduti, nel volteggiare della polvere, sul viottolo che portava alla Sacra Dimora. E tu, bellissima fra le meraviglie della Grande Madre, volteggiavi i tuoi fianchi fra le braccia di lui. No, non chiedermi di lui che ne è stato, mia adorata. Questa è la mia Sacra Dimora; qui passerai i tuoi giorni, le tue notti, a respirare le tenebre, a conoscere il tocco sensuale della morte ed il dolce insinuarsi della notte nelle tue profondità”.

    La ragazza ricordava tutto, nonostante l’orrore le obnubilasse la mente. Ricordava il profumo del corpo del suo ragazzo, abbracciato al suo sulle note del walzer che animava la festa... Lui così bello, così biondo a risplendere sul crepuscolo: come un sole che non può tramontare. Questo si era detta in quell’ultimo giorno di euforica attesa. Sì, perché appena il giorno successivo loro si sarebbero dovuti sposare, evviva il principe e la principessa di Mirtania! Eppure erano state braccia estranee a strapparla da lui e a trascinarla per vie tortuose. Gente che gridava, gente in fuga, gente morta. Lacrime ed urla feroci si mescolavano al vento e al freddo, e a lei sgomenta. Rinchiusa tra quelle braccia di ferro che la portavano lontano dalla sua vita e dal suo amore, non poteva che gridare e vedere il suo stesso orrore articolarsi in porpora, fuori dalla bocca e oltre. Fuori dal suo corpo l’anima.
    …e freddo, tanto freddo, e poi buio mentre quelle braccia correvano senza sforzo e lei scivolava nell’aria, nella notte sempre più fonda. La direzione era al di là del limitare dei territori a lei noti. Lo sapeva che non avrebbe più rivisto i suoi prati, le mura del castello, il suo principe. Ed il Padre. Stava scivolando da minuti pesanti come il piombo, perché il tempo aumenta di densità quando la paura te lo inchioda nell’anima. In quel momento tu, come un insignificante satellite di carne, ti metti a girare attorno ad esso e giri, e giri, finché tutto attorno non diventa un simbolo ed arrivano le croci. E il marmo. Fu proprio questa la prima cosa che la ragazza distinse, quando varcò i cancelli di un cimitero abbandonato nel bosco. La pioggia cantava sulle lapidi, là fuori, nel freddo umido di quella notte selvaggia. La pioggia cantava mentre le braccia attorno a lei si scioglievano e una voce si metteva a mormorare l’indicibile.
    “Mia cara, ti ho subito riconosciuta, nonostante tutto questo tempo. Quante notti potremo passare assieme in questa cripta, retaggio ultimo della mia stirpe! Ora eccoci assieme: ecco il re e la regina di questo regno! E un giorno, quando tu stessa deciderai di amarmi, partiremo alla conquista di tutte le terre. Risveglieremo dal sonno eterno questi servitori fra la polvere ed il mondo intero si getterà ai nostri piedi. Io e te soli regneremo su tutti, oh mia adorata.”
    Mentre la bestia parlava, brividi di orrore percorrevano la schiena della ragazza. Seppe subito che non era un uomo, ancora prima di girarsi; e scrutare. Nella penombra, si riusciva a scorgere soltanto il volto della creatura, mentre un pesante mantello nero nascondeva tutto il resto. Gli occhi neri, quasi umani, la scrutavano avidi, come se riuscissero ad insinuarsi sotto il vestito bianco, come se già pregustassero ciò che lei mai avrebbe voluto concedergli. “Che cosa sei, per l’amor di Dio…dimmi cosa sei… e cosa vuoi da me...”
    La creatura sorrise di un ghigno infernale e prese a canticchiare.

    “Sono colui che arditamente brama,
    sono il tuo diavolo, la notte che t’ama!
    Sono un pagliaccio, la carta del Matto,
    sono gli artigli nel balzo di un gatto.
    Conosco le tenebre della tua mente,
    ciò ch’essa desidera ferocemente…
    E senza riserve io a te voglio dare,
    l’ambrosia divina della perdizione.
    Osserva il mio corpo, mia cara fanciulla,
    ricorda leggende e diventa farfalla,
    di ali esortanti spensierati voli
    dipingiti il cuore, la bocca, le reni.
    E mentre il mio seme nel ventre tuo doma
    ricordi di morte, rimorsi perdona;
    soltanto in quell’ora domanda al tuo cuore
    che cosa sei tu e poi, forse, il mio nome!”

    ... to be continued ....
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    ATTENZIONE
    CONTENUTO EROTICO E SESSALE
    QUESTO RACCONTO NON E' ADATTO AD UN PUBBLICO MINORE DI 18 ANNI
    SE SEI MINORENNE TI INVITIAMO A LASCIARE IMMEDIATAMENTE QUESTA PAGINA



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    1.

    La notte è troppo oscura da dipingere. Il colore muore fra respiri di ombra, in uno spaventoso fremito di vento amoroso. Per troppi secoli, il desiderio di luce ci ha diviso e inanellato in vortici personali di esistenza. Per troppo desiderio, luce fu e divise il mondo in tempi e spazi e dimensioni.
    Ed è nella penombra della mia stanza che ora, in un tempo che non è ma continua ad esistere, cerco di carpire voci dagli abissi infernali e di inchiodarle sulla tela della mia timorosa mente.
    Talvolta mi pare di riuscire a sentire qualcosa, ma le mie orecchie umane sono troppo grezze, troppo sorde per cogliere lamenti noti e volontariamente scordati: un sospiro di rabbia, urla di libido oscure, sapore di morte e vociare di angosciosi spiriti. Niente più di questo riesco a cogliere attraverso queste tenebre, in questa pur densa sfera.
    Mi appoggio alla finestra aperta su di una torrida notte estiva, ed abbraccio le campagne toscane con lo sguardo. Una terra fertile che ricorda il ventre della dea madre, tenebroso e gravido del proprio incestuoso amore. E’ da questa terra che sorgono, se chiamati per nome, tutti gli incubi fecondatori della notturna vulva, mentre fuochi divampano nell’aria sublimata di urla furenti.
    Satiri dai falli grondanti di ancestrali peccati si rivolgono all’impavida progenitrice, che di essi osò ricordare, e pronunziare, il battesimo.
    Flauti panici innalzano seducenti melodie di morte, mentre ambrosia dilaga nel mio ventre.
    Figli miei! Se solo potessi concedermi al vostro seme notturno; se solo questo cuore non si aggrappasse così strenuamente al suo stesso esistere, e la pruriginosa vulva fosse dischiusa nel vostro incedere furioso.
    Solo un nome dovrei pronunciare per accogliere il mortale veleno nelle mie insaziabili profondità.
    Eppure non oso… Non oso concedermi al santo, incestuoso stupro e mi accontento di metafore lunari, come se la notte fosse fatta di luce riflessa. Eppure…
    La notte è troppo oscura da dipingere.
    La notte non ha colore, solo sospiri e languori abissali.

    I mortali non hanno nomi e sono costretti a darseli. Per questo io non so cosa sia, la notte: come il mortale non conosce la morte io non conosco me stessa.

    E se pronunciassi il fatidico nome, se il Capro sorgesse dagli abissi delle tenebre e violasse le mie segrete labbra, cosa ne sarebbe di me? Morrei e sarei immortale, invero, non esisterei; se non nell’osceno atto infernale. Flauti panici urlerebbero infinito orgasmo, e seme incestuoso feconderebbe a morte il mio materno ventre.

    Che questo cuore cessi il luminoso vortice e vibri nell’aria il mio nome!
    Che l’inferno sorga dalle profondità della terra, che i cipressi affondino in se stessi le vampiriche radici e si conoscano nel proprio vociare di morte. Che le porte si aprano, i morti tornino a calpestare la terra! Si accoppino essi con virginali fanciulle, fecondandole di voluttuoso orrore.
    Morte sia! E tuoni!
    E umori bagnino la terra fino a penetrare in essa… profondamente… così profondamente da piovere sulle celestiali sfere.

    ...to be continued...

    Edited by Elchicoloco - 19/6/2014, 18:50
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    Ma che bello! E' un pò autobiografico per caso? :)
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    Grazie davvero! Ok, nei prossimi giorni ci sarà un seguito o una storia nuova, a seconda del mio mood!
115 replies since 5/11/2012
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