Gay Boys Reloaded

Posts written by Principe di Creta

  1. .

    ATTENZIONE
    CONTENUTO EROTICO E SESSALE
    QUESTO RACCONTO NON E' ADATTO AD UN PUBBLICO MINORE DI 18 ANNI
    SE SEI MINORENNE TI INVITIAMO A LASCIARE IMMEDIATAMENTE QUESTA PAGINA



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    Capitolo 1: https://gayboysreloaded.forumcommunity.net/?t=53621450
    Capitolo 2: https://gayboysreloaded.forumcommunity.net/?t=53625872

    Cap. 3
    La vita è fatta di diversi momenti, come una grande matriosca, in cui l'uno deriva dall'altro ed eppure tutti, infondo, rimangono una piccola realtà a sé stante. Questi momenti possono essere tristi o felici. A volte ci sembra di essere scivolati da un momento al successivo senza nemmeno accorgercene, rendendoci conto del cambiamento solo a cose fatte, e per quanto ci sforziamo di capire le cause, i modi di questo passaggio, l'unico risultato che otteniamo è l'uscirne ancora più confusi di prima. In realtà siamo ben coscienti che non averne scoperto le cause è una fortuna, perché se le sapessimo finiremmo solamente per porci altre domande, e poi altre domande ancora, in una speculazione infinita che ci priverebbe del gusto stesso, di questi momenti. Ma l'uomo, o meglio alcuni uomini, continuano comunque ad indagare, a rovinarsi l'esistenza alla ricerca di qualcosa che non sanno nemmeno descrivere. E' come se ricercassero l'infelicità anche quando hanno la possibilità di poterla ignorare.
    Altre volte, invece, questi cambiamenti possono essere manifesti. Ci assalgono con tutta la loro forza rinnovatrice e ci spingono a riconsiderare tutto, di noi stessi e del mondo, sotto una nuova prospettiva. Nella mia vita uno di questi passaggi sembrava essere appena avvenuto; sembrava, finalmente, che fosse giunto un momento di gioia.

    Non erano passate che un paio d'ore da quando avevo lasciato Mirco sul piazzale esterno della stazione, per prendere il treno che mi avrebbe portato a casa. Arrivato, mi feci una doccia veloce, prima di mettermi finalmente a letto e controllare, come d'abitudine, tramite cellulare, la presenza di eventuali nuovi messaggi di posta elettronica e le ultime news da internet. Poi entrai nel mio profilo di Facebook, secondo un'azione che mi veniva ormai automatica. Sulla casellina in alto a sinistra, che indicava le nuove richieste di amicizia, troneggiava un grande "1" tutto rosso. Incuriosito, feci pressione con l'indice destro sullo schermo del cellulare, in corrispondenza dell'avviso. D'un tratto comparì una nuova finestra. Diceva: "Mirco Costalunga ti ha inviato una richiesta di amicizia." A seguire, le scritte "Conferma/Non ora". Con una forza quasi impercettibilmente superiore al normale espirai dalle narici, contraendo un po' le labbra al contempo. Dannato Mirco, pensai. Riesci a strapparmi un sorriso anche a chilometri di distanza. Capii poi che doveva avermi trovato grazie al foglio degli appunti sul quale quella stessa mattina, a lezione, gli avevo scritto il mio numero ed il mio nome completo. Eccitato da quella inaspettata novità, che era riuscita ad allontanarmi dal torpore del sonno, rimasi attivo qualche minuto in più, approfittandone per curiosare nel suo profilo. La prima tappa era scontata: Foto --> Immagini profilo. In pochi istanti la sagoma del corpo di Mirco, presa in un momento di divertimento sulla neve affianco ad un cane che a tutta prima si sarebbe detto un Labrador, si stendeva lungo l'intero schermo del cellulare. Dio, feci tra me. Sei fantastico. Sembrava quasi che tutto il suo corpo mi stesse improvvisamente in mano, e in un momento di sogno mi ritrovai a pensare che, forse, era come se avessi nel palmo il mio futuro.
    Il mattino seguente non c'era lezione, perciò sapevo che quella sera sarei potuto starmene sveglio senza limiti d'orario; ma quella giornata era stata ricca di emozioni, anche troppo per il mio standard, e la stanchezza si faceva sentire. E poi, a dirla tutta, il giorno dopo mi ero accordato con Mirco per vederci comunque. Sarebbe stata la prima volta in cui ci saremmo incontrati per il fine stesso di passare del tempo insieme, senza altri impegni di sorta a tenerci imbrigliati all'orologio, e il solo pensarci mi metteva il cuore in subbuglio. Avrei dovuto forse considerarlo un primo appuntamento ufficiale? Forse dovevo presentarmi con qualcosa, un piccolo pensiero, insomma. Dopotutto tra noi c'era già stato anche un bacio. O era il caso di farsi trovare a mani vuote come se fosse un giorno come gli altri? Mi ritrovai a fantasticare su cosa sarebbe potuto essere il regalo perfetto per Mirco, e tutto quel ragionare mi fece accorgere che in realtà di lui non sapevo ancora quasi nulla; questo pensiero mi mise una voglia ancora più irrefrenabile di passarci del tempo assieme. Continuai a sognare su quelle fantasie, finché i sogni, quelli veri, non presero il sopravvento, e sprofondai in un lungo sonno ristoratore.

    La notte, è risaputo, è la madre delle emozioni. Ogni pensiero, ogni piccolo ricordo delle cose che ci sono successe durante la giornata, di notte può trasformarsi in una storia senza tempo, dare adito ad una concatenazione di acrobazie mentali che poi, al nuovo sorgere del sole, finiscono per lo più per dissolversi sotto il peso del buon senso e della fretta che il nuovo giorno appena iniziato, con i suoi ritmi, impone. L'indomani mattina, quando mi alzai, realizzai l'inconsistenza dei problemi che la sera prima mi ero fatto. Il solo pensiero di dovermi presentare di fronte a Mirco con un regalo per lui stretto in mano mi riempiva di imbarazzo, e mi parve la cosa più ovvia del mondo recarmi all'appuntamento come se fosse un'occasione qualunque. Ci eravamo messi d'accordo di incontrarci davanti all'università, ma quando il treno arrivò a destinazione e misi i piedi sulla piattaforma della stazione, alzando lo sguardo, me lo ritrovai davanti.
    "Ciao Edo!" mi salutò, stupendo come sempre, sollevandosi dalla colonna dov'era rimasto poggiato ad aspettarmi. Quel giorno indossava dei jeans beige e una camicia azzurra, coperta da un maglioncino a righe colorate di diverse sfumature di marrone che si abbinava perfettamente con i suoi capelli color castano intenso. Tu prima o poi mi farai morire d'infarto. Fu tutto quello che riuscii a pensare. Invece ricambiai il saluto, esibendomi in un sorriso incerto. "So che eravamo rimasti d'accordo di trovarci all'università," continuò lui, "ma poi ripensandoci mi è sembrata una scelta stupida, visto che anch'io sarei passato per la stazione. E poi ho pensato che così ti avrei fatto una sorpresa!" Bravo, effetto a sorpresa pienamente riuscito! Mi misi a ridere. Era incredibile come quel ragazzo riuscisse continuamente a stupirmi; in quel momento mi resi conto di come lo considerassi, ogni secondo in più che passava, sempre più speciale.

    Quel giorno la città si era svegliata sotto un cielo azzurro, mentre un sole quasi primaverile si spandeva sulle vie e sui palazzi. Trascorremmo il resto della mattinata tra un bar e una panchina al parco. Dovunque, in Prato della Valle, sembrava essersi diffusa un'atmosfera di felice abbandono. Mi guardai intorno, socchiudendo gli occhi accecati dal chiarore del cielo. Un bambino di non più di dieci anni stava giocando a palla con quello che sembrava essere il suo cane, mentre più in là una mamma ancora giovane e in forze spingeva una carrozzina doppia con due neonati dentro. Le urla gioiose si disperdevano nell'aria, inseguite dal quel caratteristico suono ovattato che fa il pallone quando viene colpito sull'erba. Ad un certo punto il bambino lanciò la palla troppo forte, facendola volare a pochi metri da una donna. Quest'ultima, tutta stretta nella sua pelliccia, si trovò all'improvviso impegnata a tenere a bada il suo cane mentre tirava il guinzaglio energicamente, completamente preso dal gioco che il bambino faceva con l'altro cane qualche decina di metri più lontano. La foga dei movimenti le aveva scomposto il cappello con le piume che portava in testa e la borsa le sventolava davanti al naso mentre cercava, con la mano libera, di risistemarsi i capelli improvvisamente preda del vento. La comicità della scena aveva fatto scoppiare il bambino in una fragorosa risata cristallina.
    E' bello a volte sedersi in un luogo pubblico fermandosi ad osservare la gente che passa, tutta presa dai propri impegni e dalla propria frenetica vita, come prendendosi una pausa dal proprio vivere. Permette di svuotare un po' la testa dalle preoccupazioni, di estraniarsi dal proprio ruolo nel mondo e dalla maschera che inevitabilmente finiamo per indossare relazionandoci con gli altri: all'improvviso realizziamo che in quel preciso momento nessuno ci sta cercando o pretende la nostra attenzione, e siamo insolitamente liberi di vedere la realtà che ci circonda senza pregiudizi o veli di altra sorta sugli occhi, con un distacco quasi sovrannaturale. Ho sempre trovato il tutto molto rilassante. Qualcuno però, in quel momento, cercava la mia attenzione. "Ti va di venire a pranzo a casa mia?" fece Mirco ad un tratto. La sua voce arrivò quasi inattesa nella mia mente, distogliendomi all'improvviso dai miei pensieri, e mi accorsi che mi stavo quasi assopendo, vinto da quel tepore distensivo. "Oh, non saprei dirti," replicai incerto, "sei sicuro che non disturberei? Insomma, tua nonna non sa nulla, o sbaglio?". "Ah, non preoccuparti per mia nonna!", mi rispose, "Un posto in più a tavola c'è sempre stato per chiunque, non sarai certo tu ad esaurire tutta la dispensa! E poi mi piacerebbe fartela conoscere...". "Beh, va bene," replicai, "ma solo se mi giuri che non sarò di disturbo!". Mi guardò sorridente, poi si alzò di scatto dalla panchina afferrandomi per un braccio. "Muoviamoci allora," concluse ad alta voce iniziando a correre. "Mezzogiorno è già passato!".

    La nonna di Mirco viveva in una casa ad un solo piano nella periferia a nord della città, immersa nel verde di un giardino che, nel suo gradevole aspetto, pure tradiva qualche segno di trascuratezza, come se nel tempo fosse divenuto troppo vasto per le sue possibilità di donna anziana; come se, lentamente, fosse invecchiato di pari passo con lei. Mirco mi fece strada verso l'entrata. "Nonna, sono a casa!" annunciò poco dopo. All'interno l'abitazione era di uno stile sobrio, quasi essenziale, dotata di quel mobilio anni '60 che è tanto comune nelle case di persone di una certa età. La prima immagine che conservo della nonna di Mirco me la feci quando allungai la testa dentro la cucina per la prima volta. Una donnina esile e non più alta del metro e cinquanta, coperta per metà da un grembiule che sembrava quasi sorreggerla, se ne stava piegata con il busto completamente immerso dentro un cassettone pieno di pentole e altri attrezzi da cucina, mentre un tramestio di metalli prendeva il largo in tutta la casa.
    "Ah, ma sei in compagnia!" disse lei, distogliendo l'attenzione dal lavoro in cui era presa per andare ad accogliere il nipote. "Piacere," intervenni, "sono Edoardo, un amico di...". "Ah non c'è bisogno che ti presenti! Mirco mi ha parlato di te!" mi interruppe, offrendomi un'occhiata amichevole. "Ma... amico?" aggiunse poi sorridendo appena, e alzando visibilmente le sopracciglia. Giurerei di aver notato una sfumatura provocatoria anche nel tono della sua voce. "Ahah, Edo, mia nonna sa tutto di me!" disse Mirco ad un certo punto, mentre si versava della Coca in un bicchiere. "Le ho raccontato anche del nostro bacio di ieri, insomma: qui sei libero di essere te stesso al cento per cento!" Mi aggrappai con le mani allo schienale di una sedia, in stato di leggero shock. "Tutto ok?" aggiunse poi Mirco sempre ridendo, divertito dalla mia reazione del tutto prevedibile.
    Sì, era confermato. Quel ragazzo prima o poi mi avrebbe fatto venire un infarto.

    Per pranzo la nonna di Mirco, che disse di chiamarsi Manuela, ci presentò delle succulente lasagne alla bolognese seguite da secondo e contorno di verdure; allora mi fu chiara la frase di Mirco quando diceva che non avrei sicuramente finito la loro dispensa. Sua nonna mi raccontò un po' della sua vita e di come fosse entrata in contatto per la prima volta con la realtà dell'omosessualità. Fin da giovane era andata a lavorare all'estero, disse, finché un giorno, mentre lavorava come sarta in Argentina, non incontrò un uomo del quale si sarebbe poi innamorata. Convissero insieme un paio d'anni. Poi lui, improvvisamente, la lasciò per un altro. Sì, ho detto bene. Un altro. Manuela ci rimase molto male e ne soffrì parecchio; si era sentita presa in giro, diceva. Ma poi il tempo passò, e infine capì che José (così lui si chiamava) non l'aveva lasciata solamente per amore, ma anche per la libertà, e in onore della Verità soprattutto. Da allora i rapporti si erano riappacificati, anche se una volta tornata in Europa non seppe più nulla di lui. Era per quello, disse, che aveva voluto che Mirco crescesse libero, per ciò che si sentiva di essere: non voleva che diventasse un nuovo José. "E poi," concluse, "se non fosse andata così non avrei mai potuto conoscere mio marito, dal quale ebbi la mia splendida famiglia e Mirco specialmente". Guardò il nipote, e i due si scambiarono un sorriso. "E' così Edo," aggiunse lui. "I miei non sanno nulla di me, perché purtroppo la mia famiglia paterna a differenza di qui non è così tollerante ed aperta... Ma con mia nonna ho sempre potuto parlare liberamente di qualsiasi cosa, e se oggi sono il ragazzo che sono lo devo molto anche a lei. Per questo motivo una volta tornato in questa città mi sono iscritto al circolo Arcigay. Sapevo di non avere più barriere a potermelo impedire o a costringermi a farlo di nascosto; ma ora ho incontrato te, e non credo che ne avrò più bisogno, di questo circolo..." Mi afferrò una mano, stringendola delicatamente. Brivido. "Tanto," continuò poi, "a dire il vero non ci ero comunque ancora andato. Non saprei nemmeno cosa aspettarmi".

    Dopo pranzo Mirco mi condusse nella sua stanza. La sua camera era arredata in uno stile vistosamente più moderno rispetto al resto della casa, e in quanto a mobilio contrastava fortemente con l'impostazione classica della cucina. Lungo una parete era disposto un letto a castello in cui, sul ripiano più basso, erano sparsi dei manuali universitari e altri fogli di appunti, mentre il materasso più in alto era ben rivestito da lenzuola e cuscino; una coperta in stoffa color blu elettrico, decorata da delle onde in technicolor disposte in modo indefinito e secondo un gusto quasi astratto, cingeva infine il tutto. Affianco all'imponente struttura del doppio letto, dal lato della testa e poggiata alla parete perpendicolare alla prima, vi era poi una scrivania di modeste dimensioni, sulla cui sommità giaceva un portatile richiuso e una di quelle lampade colorate con la cera dentro che quando si scalda va su e giù, sparsa in numerosissime bolle di ogni forma e dimensione. Un grande tappeto, fregiato da figure geometriche di diversa natura e di ogni colore, si stendeva sul resto del pavimento. "E questo è il mio rifugio notturno..." disse Mirco, finendo di aprire il balcone nella parete di fondo. La luce solare irruppe prepotente nella stanza, che sotto quella nuova atmosfera mi parve ancora più calda ed accogliente. Mi misi ad osservare i cd musicali disposti ordinatamente su uno scaffale a muro sopra la scrivania. "Davvero bello il tuo rifugio," commentai, "e complimenti anche per i gusti musicali! Queen, Led Zeppelin, Guns N' Roses... Non posso proprio bocciarti in nulla!" scherzai. "Oh..." aggiunsi, "diciamo che ti rimando a settembre per quel disco di Mondomarcio...". "Ah, quello!" mi rispose, "Ahah, no, ma non è mio, me l'aveva prestato un mio amico quand'ero ancora a Roma, e per sbaglio l'ho messo via con gli altri nella fretta del trasloco. Lo tengo lì in disparte in attesa di un'occasione per ridarglielo!". "Sì, bella storiella!" lo provocai afferrando il cd. "Ehi, ma è vero!", mi disse, "Lo giuro!". Si avvicinò e fece per strapparmelo di mano, ma non cedetti, e nella stretta morsa che si era venuta a creare attorno al disco ci ritrovammo a non più di venti centimetri faccia a faccia. Poi d'un tratto, rapido e leggiadro come la prima volta, prima ancora che potessi realizzare le sue intenzioni Mirco appoggiò le sue labbra alle mie. La mia presa sul cd cessò all'istante. Un attimo dopo si staccò da me, e ci guardammo intensamente negli occhi per alcuni secondi, senza proferire parola. Sentivo il suo respiro sul mio volto, i suoi occhi di smeraldo a pochi centimetri dai miei. Ci riavvicinammo reciprocamente, quasi rallentati da una forza invisibile, ma questa volta insieme, di concerto. Unimmo le labbra, di nuovo, e per la prima volta le nostre lingue si accarezzarono. Fu un aggancio fugace, quasi impercettibile, come il contatto iniziale tra due creature tra loro sconosciute e aliene, ma insieme desiderose di conoscersi. Poi un altro. Un altro ancora... Sempre più prolungati nel tempo, sempre più in profondità. Allora Mirco allontanò la faccia, afferrandomi per i fianchi e portandomi sul letto. Si distese sopra di me, piegandomi le braccia all'indietro e tenendomi stretti i polsi tra le sue mani. Poi mi si gettò addosso, e riprendemmo ad incrociarci le lingue con una rinnovata energia...

    Edited by Elchicoloco - 19/6/2014, 18:55
  2. .
    Geniale, assolutamente!

    CITAZIONE (Queerboy @ 3/2/2013, 23:15) 
    Non vi è però fuga dall’inferno, quando esso trova breccia fra gli spiragli della nostra ragione.

    Questa frase è terribile e veritiera al tempo stesso, rinnovo i miei complimenti
  3. .
    CITAZIONE (andres.com @ 2/2/2013, 18:28) 
    In più anche un riferimento molto apprezzato allo slow motion. :D

    Mi credi se ti dico che, scrivendolo, mi sei venuto in mente? :D Ho ripensato alla serata in cui ci avevi mostrato i video in slow motion ^_^

    Grazie mille come sempre! Mi fa molto piacere avere la tua opinione :)
  4. .
    Ti ringrazio molto Andres! Il tuo commento mi incoraggia a proseguire :)
  5. .

    ATTENZIONE
    CONTENUTO EROTICO E SESSALE
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    Cap.2
    Ognuno di noi, grande o piccino, ha la sua città eletta, la città del suo destino. Questa città nel tempo può cambiare, non è detto che rimanga sempre la stessa per sempre. La mia città destinata, finora, è stata Padova. La città eletta, la prima volta che la vedi, la riconosci perché ti lascia qualcosa dentro, come se si adoperasse, di nascosto, mentre muovi i primi passi sulle sue strade caotiche, su Corso del Popolo con i suoi palazzoni antichi e le corsie riservate ad autobus e tram, a tesserti dentro un sottile filo lunghissimo, che ti segue ovunque tu vada nel mondo, e che ti spinge, prima o poi, a tornare lì, in quel luogo. Tu non te ne accorgi, solo lei lo sa. Poi, quando il filo è cresciuto nel tuo cuore fino a diventare un gomitolo, quando ti senti dentro quella strana sensazione che, non sai perché, ti spinge a scegliere quella città come meta quotidiana di ogni tuo pellegrinaggio giornaliero, all'improvviso la città cambia volto. Allora le grandi vie piene di bar e negozi passano in secondo piano, diventano routine, cedono il passo ai vicoli più squallidi e sporchi, alle movenze più bizzarre dei loro abitanti privi di senno, e d'un tratto ti accorgi che ti trovi intrappolato nel caos di un centro urbano che vuole solo soffocarti. La mia vita funziona un po' come questa metafora. Passano mesi, anni in cui nulla accade, e sembra che nulla debba accadere anche in futuro, e poi, improvvisamente, eccola. Compare una luce all'orizzonte, una minuscola lanterna che cresce, cresce, si fa più forte ad ogni passo in più verso essa, fino a quando con il suo riverbero reso al massimo mi acceca del tutto. Allora non vedo più nient'altro che questa lanterna, e so che se distogliessi gli occhi da essa rimarrei smarrito, per la troppa luce che essi hanno dovuto sopportare, per le pupille divenute troppo dilatate per trovarsi ad affrontare in un istante tutto il mondo, di nuovo. E' un po' l'effetto che Dante diceva di aver avuto durante la visione della Trinità. Solo che poi, a me, questa luce si sottrae, aspetta solo di avermi in pugno per poi dileguarsi e farmi tornare nell'oscurità di sempre. Più confuso che mai. Pensavo a questo genere di cose quando, sotto una pioggia che imperversava ormai da diversi giorni, il treno fece stridere i suoi freni lamentosi in prossimità della banchina della stazione.
    Mirco il giorno dopo non si era presentato in aula, e così i due giorni dopo ancora. Non avevo più avuto sue notizie, e se non fosse stato per il realismo del ricordo avrei supposto che quella splendida mattinata passata insieme a lui fosse stata tutta solo un semplice sogno. I primi due giorni che seguirono, a lezione, li passai sveglio a meditare su pensieri del tipo lanterne luminose ed oscurità come paradigma della mia vita incasinata. Poi il terzo giorno pensai di aver pensato abbastanza, e tornò il consueto torpore delle lezioni che mi accompagnava fin da ottobre.
    Scesi dal treno e mi diressi verso casa, con una gioia di vivere in corpo che avrebbe potuto spingere al suicidio persino Cristo in persona... Il pensiero, bizzarro anche per me, si somatizzò in un piccolo sorriso sul mio volto. Continuavo a pensare, pensare. Ma in fondo questa era la mia vita, un susseguirsi di pensieri bizzarri presi a sfilare nella mia mente in una lunga parata chimerica con solo me stesso seduto sugli spalti, a godermi il triste ed istrionico spettacolo, a cercare di distogliere lo sguardo in cerca di qualcuno che si sedesse al mio fianco per prenderli in giro, quegli stupidi pensieri. Quella parata, invece, era l'unica compagnia che avessi in quel mio assurdo mondo interiore; la situazione era più angosciante di quanto potessi esprimere a parole.
    Dormii tutto il pomeriggio, alzandomi solo in serata per una doccia, una controllata veloce alla casella di posta e una cena fugace . Poi ancora letto fino al giorno dopo. Se c'è una cosa che mi riesce bene è dormire. Lo considero un dono della natura, una sorta di ancora di salvataggio di cui la sorte ha voluto dotarmi per poter staccare la spina, andare in stand-by e fuggire dalla realtà quando la vita diventa troppo sottosopra per poterla vivere razionalmente. Devo ammettere che dormo spesso. Forse dovrei concluderne che la mia vita è spesso sottosopra. Fin da piccolo ho sempre invidiato certi animali che d'inverno vanno in letargo, si chiudono in una grotta o in una cavità del terreno e chiudono gli occhi per un tempo lunghissimo. Ho sempre voluto poterli imitare. Dormire per sei mesi l'anno significherebbe in fondo vivere una vita a metà. Metà sofferenze, metà dolori, metà delusioni.
    La mattina seguente però mi tornò il buonumore: entrando in aula, all'università, dalla porta in fondo, affianco al mio solito posto avevo notato la chioma familiare di Mirco piegata su se stessa, come se fosse impegnato su qualcosa di importante. Mi avvicinai con il cuore a mille.
    "Ciao!" esordii, ma il tono non era dei migliori. Devo ammettere che ero tornato ad essere piuttosto taciturno, e il consueto disagio che mi sorgeva quando mi trovavo ad interagire con qualcuno che mi interessava si era presentato puntuale. Chissà, pensai, forse è per via di tutte le fantasie che ho fatto su di lui in questi giorni. L'avevo detto io, che dovevo andarci piano.
    "Ciao Edoardo!" Alzò gli occhi verso di me, sfoggiando il suo solito sorriso mozzafiato. E' bastato il tono della sua voce, il timbro di quella melodia ormai familiare alle mie orecchie per farmi allontanare da tutti i pensieri negativi che mi avevano tenuto stretto negli ultimi giorni, per dissolvere la mia tiranna inquietudine.
    "Stai bene? Non ti ho più visto a lezione ultimamente, cominciavo a preoccuparmi..." Mentre cercavo, in quel modo, di riallacciare una conversazione, ero tutto preso nel districarmi tra tracolla e cappotto; notai però che quell'attività extra mi aiutava, a suo modo, a superare l'insicurezza.
    "Mi dispiace molto non averti avvisato," rispose, "solo che... Non avevo un tuo contatto telefonico, non sapevo il tuo cognome per cui non potevo cercarti in Facebook e così non avevo idea di come fare per farmi vivo! Ti ricordi la nostra corsa sotto la pioggia di qualche giorno fa? Beh, diciamo che l'ho pagata con un caparbio raffreddore". Rise sommessamente, tirando su piano con il naso. In effetti sembrava ancora abbastanza infiammato. Povero cucciolo, pensai. Poi però rinnegai il pensiero. Troppo spinto. "Ah, cavoli," dissi invece, "mi dispiace molto". Ecco, almeno parlo meglio di come penso. Forse dovrei preoccuparmi? Gli diedi gli appunti che avevo preso nei giorni di sua assenza, anche se effettivamente non avevo scritto molto; gli bastarono cinque minuti per finire di copiarseli. Meglio di niente: mi ero sentito per la prima volta utile nei suoi confronti, come se fossi in debito con lui per qualcosa che in realtà non sapevo nemmeno cosa fosse. Forse era semplicemente dovuto alla sua attenzione così premurosa nei miei confronti. Sapevo che per me era già tantissimo.
    "Che stupido," continuai, "hai ragione, non ti ho lasciato nemmeno un contatto..." Presi il foglio con gli appunti che aveva appena finito di copiare e aggiunsi a margine, in alto, il mio numero di cellulare a matita, seguito dal mio nome completo. "Ottimo!" rispose, "Ti chiamerò, così potrai segnarti il mio" . "Perfetto," replicai. Allora mossi lo sguardo sul libro ancora aperto che stava leggendo al momento del mio arrivo. Mirco deve aver notato il mio interesse, perché lo richiuse mostrandomi la copertina. "Joris Huysmans," disse, "Controcorrente". "Ah, letture tranquille!" esclamai. Sorrisi al mio stesso commento. "Beh," continuò, "diciamo che certe idee del signor Des Esseintes mi trovano perfettamente d'accordo..." Poi si esibì in un sorrisino a tratti inquietante. Che sia a causa della sua sessualità?, pensai. "Cosa intendi dire?", dissi invece. Lui però rispose alla mia domanda con un'altra domanda: "L'hai mai letto?", mi chiese. Effettivamente sì, l'avevo letto anch'io, ma più che altro perché volevo aver chiaro in prima persona quale fosse il fondamento dell'estetismo wildiano, e poi ammettiamolo... La curiosità di sapere cosa contenesse quel "libro avvelenato" che Lord Wotton dona a Dorian Gray nel celebre romanzo del ritratto avrebbe vinto chiunque. O meglio, forse chiunque fosse gay e appassionato di letteratura insieme. Ecco che ancora una volta mi trovavo a fare collegamenti con la sessualità. Dovevo essere io che ragionavo per pregiudizi, pensai. Forse se non avessi mai trovato la sua tesserina, se non avessi mai avuto l'informazione preziosa circa i suoi gusti particolari tutti questi riferimenti all'omosessualità non li avrei mai fatti. Stai con i piedi per terra, stai con i piedi per terra!,continuavo a dirmi. Però in effetti non vedevo l'ora di poter far uscire allo scoperto questo discorso con lui... E diciamo che fui presto accontentato, perché il discorso decise di uscirsene da solo quel pomeriggio...
    Alle sei di sera c'era un corso, una specie di seminario, cui entrambi avevamo interesse di partecipare, così mi trattenni lì tutto il giorno tornando a casa solamente in tarda serata. Mirco ed io decidemmo di andare a pranzare in una mensa universitaria dove ci si riesce a sfamare cavandosela con non più di 4-5€. Avevamo preso entrambi un piatto veloce di pasta col pomodoro. "Lo sai," cominciò lui ad un certo punto, "in questi ultimi giorni di malattia ti ho pensato abbastanza...". Per poco non mi andò di traverso il boccone. "Non fraintendermi," continuò, "è che come ti ho già detto è da poco che sono tornato a vivere qui, e tu sei praticamente l'unica conoscenza che io abbia, oltre a mia nonna. Gli amici d'infanzia sono a poco a poco scemati tutti, sparsi qua e là dalle vicissitudini della vita, e adesso mi sento quasi un estraneo nel mio stesso paese". Non so perché, ma quell'ultima frase mi mise un leggero velo di malinconia addosso. "Anch'io," risposi poi, "anch'io ti ho pensato un po', in questi giorni..." - Alla faccia del pensato! Maniaco che non sei altro!, mi dicevo intanto - "...vedi," continuai, "alla fine io stesso non conosco nessuno qui, frequento questo posto da appena un mese e diciamolo, il mio carattere non è che mi sia di grande aiuto quando si tratta di creare nuove relazioni sociali...". "Ma cosa dici?", mi interruppe, "sei una bella persona, a me piace stare con te!". A quelle parole non sapevo più come comportarmi, così divenni maldestro e mi capitò la cosa più stupida che si potesse mai immaginare. Mi rovesciai addosso un pezzo di pasta. Con tanto di pomodoro. "Attento!", fece Mirco, scoppiando a ridere. Poi prese d'istinto il mio tovagliolo e me lo passò piano sulla bocca. D'improvviso tutto si interruppe, e fu un po' come quando, nei film di fantascienza, c'è una scena in slow motion e l'audio viene a mancare ad un tratto. Forse entrambi, in quel momento di apnea dalla vita, provammo la stessa consapevolezza che quel suo gesto istintivo tradiva in realtà qualcosa di più profondo.
    "Scusami," disse poi facendosi serio, "non volevo, ecco... Voglio dire, tu... Ah niente, lascia stare...". "Tu? Tu cosa?", lo incalzai. "Beh, il fatto è che io sono gay e tu mi piaci". Disse tutto senza mai prendere fiato, come se si stesse liberando di un peso incredibile che non è possibile scaglionare in tanti pesi più piccoli.
    Ci sono dei momenti, nella vita, in cui ci si trova nostro malgrado in situazioni molto imbarazzanti. Alla lunga ho capito che la miglior cosa da fare, in quei momenti, è l'affrontarli cercando di indossare una maschera di serenità e freddezza apparente, come se fosse un modo per esorcizzarli da dentro, per sdrammatizzare il tutto, insomma. Ebbene, quello era uno di quei momenti. Perciò dissi soltanto: "Lo so. Cioè, sapevo che eri gay". Rimase visibilmente interdetto; "ma… come…?" mi interrogò. Gli spiegai la storia della tessera, di come sulle prime fossi rimasto confuso e spaventato e di come avessi deciso di far finta di nulla. "Spaventato?", disse lui, un po' perplesso. Ecco, pensai. Ti sei fregato con le tue stesse mani. A questo punto però la maschera della freddezza apparente non poteva più valere. "Beh Mirco, diciamo che mi hai appena passato la patata bollente...". "Eh?" fece lui. Effettivamente parlavo molto vagamente, ma non potevo farci nulla. Sono fatto così, quando un discorso mi tocca in prima persona non riesco mai a prenderlo per vie dirette. "Ascolta," continuai, "con spaventato non intendevo dire che ho pregiudizi sui gay, o chissà che discorsi omofobici. A dire il vero, ecco, io non lo volevo dire affatto...". Lui, giustamente, continuava a non capire. Così a quel punto decisi anch'io di andare dritto al sodo. Insomma, sapevo che io gli piacevo, me l'aveva appena detto lui stesso, quindi cos'avevo da perderci? Certo, sarebbe stato il primo coming out di tutta la mia vita, e questo mi intimoriva un po'. Era un po' come mostrare, per la prima volta, al mondo o a una parte di esso, benché minima, una parte di me rimasta celata per tutta la mia vita passata. Un po' come esibire una cosa intima ed inviolabile. Ma raccolsi il coraggio, e glielo dissi. "Anch'io," gli dissi, "anch'io sono gay. Credimi, non ti sto prendendo in giro. Sei la prima persona a cui lo dico, e... e..." Finii lì le parole. Non sapevo cos'altro aggiungere. Poi ragionai. "Beh," aggiunsi, "e la verità è che anche tu mi piaci! Sì Mirco, mi piaci un casino ed è dalla prima volta in cui ho incrociato i tuoi occhi che non faccio che pensare a te". In quel momento mi sentivo davvero come se fossi stato messo alla gogna pubblica. Sentivo le mie parole uscire dalla bocca e le ascoltavo come se a pronunciarle fosse qualcun altro, come se improvvisamente fossi diventato spettatore della mia stessa vita ed essa si conducesse da sola senza più burattinaio a tirare le fila. Pensai che non sarebbe stato male avere a disposizione una bacchetta magica, per dileguarmi improvvisamente o trasformarmi in uccello e volare a nascondermi su qualche tetto.
    A quel punto, invece, avvenne una cosa che mi fece completamente dimenticare ogni proposito di fuga magica o di improbabile metamorfosi. Con la stessa insicura e vaga determinazione con cui poco prima mi aveva fatto la sua confessione, Mirco si avvicinò velocemente a me, mentre io ancora come un idiota fissavo il piatto di pasta rimasto a metà, e mi scoccò un leggerissimo bacio sulla guancia. Mi sentii tremare come una foglia al vento. "E' incredibile," aggiunse poi piano, quasi sussurrando. "Allora i miracoli esistono".

    Edited by Principe di Creta - 22/11/2014, 19:54
  6. .

    ATTENZIONE
    CONTENUTO EROTICO E SESSALE
    QUESTO RACCONTO NON E' ADATTO AD UN PUBBLICO MINORE DI 18 ANNI
    SE SEI MINORENNE TI INVITIAMO A LASCIARE IMMEDIATAMENTE QUESTA PAGINA



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    Il paradiso nel tuo viso, cap.1



    Maggio 2002
    Più vicino... Ancora un po'... Mantieni il fuoco, contrai la vista... Nulla. La pupilla se ne rimane lì, come una piccola macchietta nera ignara di tutto, e sembra quasi che, guardandosi, si prenda in giro da sola. Poi il vapore prodotto dalle narici pervade tutta la superficie, e all'improvviso mi sono ritrovo a fissare una parete grigia priva di contorni.
    Dicono che gli occhi siano lo specchio dell'anima. Anche Dante, l'ho studiato a scuola, quando si trovava con Guido e Lapo era d'accordo sul fatto che gli occhi fossero l'ingresso per il nostro vero Io, e io penso che con "vero Io" la maestra intendesse l'anima, no? Così ho pensato di dare il via ad una serie di esperimenti nel bagno di casa, dove lo specchio davanti al lavandino offre il luogo ideale per guardare il vero Io. Solo che fino ad adesso non ho mai visto niente, solo nero. Della pupilla, si intende.
    Quando ne ho parlato a scuola con i miei compagni, loro si sono messi a ridere, ma il giorno dopo Michele è entrato in classe tutto eccitato e ci ha detto che era riuscito a vedere la sua anima allo specchio, proprio secondo la mia tecnica. Ma lui l'aveva potenziata un po', ha detto. Ha usato proprio questo termine: potenziata.
    Quel pomeriggio ho chiesto a mia mamma di andare in un negozio a comprare una lente d'ingrandimento, tipo quelle che si vedono nei film di detective come Sherlock Holmes. O era un libro? Beh, comunque quel tipo di lenti lì. Mi ha chiesto cosa dovessi farci. Esperimenti di scuola, ho risposto. Niente di ché. Certo sarò anche piccolo, ma non sono stupido, e lo so anch'io che se le avessi detto che il mio vero scopo era riuscire a vedere dentro di me attraverso il mio occhio lei come minimo mi avrebbe preso per pazzo!
    In ogni caso, anche quell'esperimento è fallito. Mi ero messo in tutta tranquillità: avevo aspettato di essere completamente solo, avevo acceso la luce al neon sopra lo specchio grande del bagno e, come uno scienziato che indossa i guanti bianchi per afferrare con cautela i suoi strumenti di lavoro, avevo diretto la mano con molta attenzione verso la lente d'ingrandimento nuova di zecca. Solo che una volta messomi a scrutare il mio occhio non ci ho trovato nulla di nuovo, sempre il solito nero che pareva ridermi in faccia. Certo, stavolta era più grande.
    A scuola il giorno dopo, quando l'ho detto a Michele, lui mi è scoppiato a ridere in faccia.
    "Cretino!", mi fa "ma davvero mi hai preso sul serio?! Certo che tu sei proprio un caso perso allora! La prossima volta prova con un microscopio, magari vedi davvero qualcosa! Ahahah, che stupido..." E poi se n'è andato, mi ha voltato le spalle senza nemmeno attendere una mia reazione. Sono rimasto lì qualche secondo, cercando di raccapezzarmi. Ero appena stato preso in giro sonoramente, ma quello che davvero mi aveva disorientato era stato quel commento, che stupido... . Sono davvero uno stupido? Slarti dice di no, solo che lui lo dice solo se faccio quello che mi ordina, altrimenti temo che probabilmente mi darebbe dello stupido anche lui. Ma con Slarti è diverso, lui almeno non lo vedo, e poi quello che mi dice lo so solo io... Michele invece è una persona in carne ed ossa, e quello che dice lui sembra che riesca a ferirmi anche fisicamente, come se anche le sue parole fossero fatte di carne ed ossa. Poi quello che dice Michele lo sentono tutti, e...
    Quel pomeriggio a casa non mi andava di fare nulla. Ho poggiato lo zaino vicino all'ingresso, appena dentro, e sono filato in camera senza nemmeno mangiare. Il letto quella mattina era rimasto da sistemare, perché mia mamma era uscita presto per andare al lavoro e nessuno aveva più messo piede in casa. Mi ci sono gettato sopra, sprofondando la faccia tra le lenzuola. Continuavo a pensare a Michele, a come mi aveva raggirato così facilmente. Perché ero così debole? Perché quand'ero da solo, con me stesso, mi sembrava di essere il più profondo ed intelligente della classe, ma poi appena mi trovavo a fare i conti con qualcuno era come se regredissi allo stadio di vegetale? Lo sapevo io, che non era una buona idea parlare con gli altri di questa storia degli occhi. Ma per una volta, pensavo, per una volta potevo trovare il coraggio di aprirmi, magari avrebbero trovato il discorso interessante e mi sarei fatto nuovi amici. Tutte chiacchiere. Come previsto. Cos'è che mi aveva detto? ...Potresti provare con un microscopio!... Certo, e mi dici come faccio a guardarmi un occhio al microscopio? Lo tolgo dall'orbita? Mi sa che forse in realtà lo stupido è lui... Anzi, dev'essere proprio così! Altrimenti come avrebbe potuto non accorgersi di quanto insensato era il suo discorso? Questa piccola constatazione mi ha rincuorato un po', quel tanto da convincermi a tornare in piedi e mettermi a fare i compiti. Per farmi compagnia ho acceso la tv, e su Italia1 era l'ora di Doraemon. Michele mi ricordava sempre Gian, il grassone cattivo e prepotente che prendeva in giro tutti. Io invece mi rivedevo un po' in Nobita, con la sola, fondamentale differenza che a me mancava il gatto magico che potesse risolvermi tutti i problemi.

    CAP. 1
    Novembre 2012, 10 anni dopo
    ...la suddetta elaborazione, tema chiave del corpus stilnovistico, abbracciava la visione comune di tutti i più grandi autori dell'epoca, da Dante, a Guinizelli, a Cavalcanti. L'idea che l'occhio fosse il tramite del contatto tra Donna e anima del poeta è sempre stata presente in questa corrente letteraria, ma essa trova le sue origini e prime attestazioni nelle liriche trobadoriche occitaniche del secolo precedente, liriche che vengono reinterpretate, smontate e nuovamente forgiate dalle nuove avanguardie poetiche, siciliana prima, e poscia toscana, che le tramandano fino a noi in versi di ragguardevole perfezione tecnica e stilistica...
    "E poscia toscana, ma senti questo come parla! Cavolo, che forte!"
    Il suono familiare e posato della voce vagamente amplificata del professore era stato per un momento sopraffatto da una nuova successione di foni, molto più vicina. Aprii gli occhi (sì, stavo dormendo... o meglio dai, ero in dormiveglia), un po' stordito, e mi guardai attorno in cerca dell'origine di quell'ultima frase, che stranamente mi era parso dovesse essere rivolta a me. In effetti, al mio fianco si era materializzato un ragazzo - doveva essersi seduto lì mentre ero in una fase di "dormi" (mentre adesso sono in fase di veglia) -, e, anche se non sembrava che stesse badando a me, dal modo entusiasta in cui prendeva appunti sulle note monotòne del prof si sarebbe potuto dire quasi con certezza assoluta che a parlare - meglio, a svegliarmi - era stato proprio lui. Cercai di scorgerne il viso, ma era tutto chino sul banco a scrivere e l'unica cosa che riuscivo a vedere era la sua folta chioma di riccioli castani che ne ricopriva l'intero capo, in una cascata di fluttuose curve rigonfie.
    Tornai a me, cercando di stare attento. Qualcosa nel discorso appena concluso del professore mi aveva fatto tornare con la mente alla mia infanzia, anche se mi sfuggiva la ragione particolare di tutto ciò, per cui abbandonai presto quel flusso di pensieri.
    Mi strofinai la faccia con le mani e, mentre stavo per mettermi a scrivere anch'io, sentii nuovamente quella voce di ragazzo fare a gara con il microfono del prof per accaparrarsi la mia attenzione. Inutile dire che la prima vinse senza troppa fatica.
    "Oh scusami, ti ho svegliato?"
    La stranezza della domanda, in un contesto del genere, con ogni probabilità mi avrebbe messo in forte imbarazzo. Ma quella volta l'imbarazzo fu una sensazione che non feci nemmeno in tempo ad elaborare: quello che vidi, nonappena alzai lo sguardo, mi lasciò completamente di sasso. Un set di profondissimi occhi color smeraldo, presi nell'abbraccio mozzafiato di due sopracciglia curatissime ed arcuate con la perfezione geometrica che solo un dio poteva aver tracciato, se ne stava, incastonato nel profondo delle cavità craniche, a scrutarmi intensamente, con una vena di leggero divertimento che si notava appena dal modo delicato del socchiudersi delle palpebre. Lo sguardo divertito, e dolce insieme, era completato da una bocca di colore rubino acceso, impegnata in un sorriso che lasciava appena scorgere la parte inferiore dei denti più esterni e contraeva le guance in due piccole fossette laterali. I riccioli che avevo potuto notare anche in precedenza, infine, ricadendo soffici e vaporosi sulla fronte e sulle orecchie, conferendo il tocco finale a quella visione afrodisiaca.
    "Scusami?" Fu tutto quello che riuscii a dire, facendo ricadere velocemente lo sguardo sul mio foglio ancora bianco. "Beh," continuò lui "non so cosa vede il prof da laggiù, ma io da qui capivo bene che avevi, ecco, forse un po' di sonno in arretrato?" Un altro sorriso mozzafiato. "Ah no, tranquillo," risposi, "è che sai, adesso sta ancora spiegando la parte generale, quella te la senti ripetere fin dalle elementari... Comincerò a scrivere quando inizia a lavorare sui testi, comunque ecco vedi, stavo per scrivere già adesso..." Contraddittorio e insensato. Ecco il tipo di discorsi che riuscivo a pronunciare quando venivo colto alla sprovvista, specie se a mettermi in questa situazione era un capolavoro della natura del genere a cui sarei saltato addosso ad occhi chiusi. Ma almeno avevo parlato, è già qualcosa. Da piccolo ricordo che di solito mi chiudevo a riccio e volevo sparire. Adesso in linea di massima voglio solo sparire, ma è un pensiero che tengo per me. Poi parlo.
    "Ah bene, mi fa piacere allora. Però, se vuoi un consiglio, io starei attento anche adesso! Poi all'esame chiede anche queste così qui eh...".
    "Hai ragione," replicai, "sicuramente!".
    Ma quale attento. Passai tutto il resto della lezione a ripensare a quello sguardo magnetico, a quegli occhi estatici, cercando di tanto in tanto, con fare distratto, di poterli incrociare nuovamente, nei rari attimi in cui li alzava dal quaderno su cui tanto erano intenti.
    Alla fine venne anche la fine della lezione. Stavo già alzandomi per mettermi il cappotto, inforcare la tracolla e lasciare l'aula, e già mi sentivo abbattuto al pensiero che le mie fantasie su questo ragazzo stavano per finire, quando, con fare improvviso, nonappena mi fui girato sentii stringermi il braccio destro da una mano. Posai lo sguardo: la sua. Panico.
    Ok, stai calmo, girati con grazia e mantieni un'espressione impassibile.
    "Sì?" gli feci. "Scusa ancora se ti disturbo", disse. "Prima di tutto, mi presento, io sono Mirco. Volevo chiederti, sai mica dov'è che posso andare per poter registrare quest'esame? - mi porse il libretto - Non sono qui da molto, e devo ancora imparare i luoghi delle sedi universitarie". La sede in cui doveva recarsi era a 2 chilometri da dov'eravamo noi, e io avrei potuto prendere il primo treno, per tornare a casa, solo 2 ore dopo. Al diavolo. Buttati. "Ti ci accompagno", dissi. "Tanto ho un casino di tempo libero adesso, e non saprei cosa fare comunque. Ah, piacere mio, Edoardo". Poi, non so come, abbozzai un sorriso. Wow, pensai. Fai progressi.
    Quando arrivammo alla sede principale delle segreterie di Ateneo gli sportelli erano tutti intasati, come al solito. Gli consigliai di prendersi un bigliettino d'attesa con il numero, e visto che era chiaro che ci sarebbe voluta come minimo un'altra mezz'ora siamo andati in un bar lì vicino. "Hai detto che ti sei appena trasferito?" provai ad attaccar discorso (stranamente quel giorno ero particolarmente loquace). "Sì", fece lui, "o meglio, non proprio. Io sono originario di queste parti, poi però con la famiglia ci siamo trasferiti a Roma e adesso, con il pretesto dell'Università, sono voluto tornare a studiare nei miei luoghi natii. Tanto qui ho mia nonna, vivo con lei". "Wow, Roma. La capitale..." risposi. "...non ci sono mai stato, anche se... Posso dirti? Non ho nemmeno mai sentito questo gran desiderio di andarci". Rise. "Sai, non ti perdi granché. Oh certo, da visitare merita tutta, ma personalmente ho constatato che vivere qui dove siamo è molto più bello. Non saprei dirti il perché, sarà che è il posto in cui sono nato, insomma, dove la mia famiglia allunga le proprie radici da secoli... Comunque sia, la mia terra mi mancava, e così eccomi qui". "E gli studi?" continuai. "Gli studi cosa?", disse. Uno dei miei difetti più evidenti, quando parlo con qualcuno, è che molto spesso mi capita di andare avanti con i pensieri per conto mio, per poi tornare a parlare con frasi che apparentemente paiono disconnesse dal contesto precedente. In realtà è un flusso continuo, solo che per saperlo il mio interlocutore dovrebbe entrare nella mia testa. Il che per fortuna non può fare. "Scusami," ripresi, "voglio dire, cos'è che ti ha spinto a studiare letteratura?". "Ahh," commentò lui, "credo che si sia trattato di un amore a prima vista, con la lingua, con i libri. Mia nonna mi ha sempre incentivato alla lettura, ed io non ho mai fatto niente per impedirlo. Mi piaceva, l'ho sempre trovata un'attività stimolante".
    Amore a prima vista, con la lingua... amore a prima vista, con la lingua... Ecco i miei pensieri in quel momento. "Eh? Ah sì, capisco, sì" risposi. "Interessante!" Che idiota.

    La mezz'ora al bar trascorse così; una delle mezz'ore più stimolanti e promettenti di cui io serbi ricordo. Uno, perché ero insieme ad un figo immane. Due, perché ero solo con lui e stavo sorprendentemente conducendo un discorso sensato. Tre, perché questo figo immane amava la letteratura. Quattro, perché quello che successe mentre stavamo tirando fuori i soldi per pagare alla cassa mi lasciò, come dire, felicemente confuso e sorpreso al tempo stesso...
    Lo scontrino segnalava due consumazioni, 1.20€ l'una. In questi momenti, quando si esce a prendere qualcosa con uno sconosciuto e arriva l'ora di pagare, di solito si viene sempre a creare una situazione di fastidioso imbarazzo: entrambi vogliono pagare per entrambi. Di solito vince chi ha la mano più lesta a tirare fuori i soldi giusti dal portafoglio, e quella volta la mano più lesta fu quella di Mirco. Solo che dal suo portafoglio non uscirono solamente i soldi giusti: nella foga gli cadde una tessera di quelle plastificate, ma lui sembrò non accorgersene così pensai di chinarmi a terra per raccoglierla al posto suo. Quando vidi di cos'era quasi caddi a terra del tutto per la sorpresa ai limiti del verosimile: Arcigay. Era un tesserato Arcigay. Non volevo credere ai miei occhi. Nella confusione del momento mi feci cogliere un po' impreparato, così feci finta di nulla e me la ficcai dentro la manica del cappotto. Poi, usciti dal bar, senza che se ne accorgesse, con un po' di abilità gliela infilai nella tasca del suo montgomery grigio. Più tardi a casa pensai che fui stupido, perché se era un tesserato Arcigay sicuramente non avrebbe avuto problemi a dirmi della sua omosessualità. Ma vabeh, a posteriori si fanno sempre un sacco di constatazioni su quanto stupide sono state certe nostre azioni. E poi qualcosa mi diceva che era stato meglio così...
    Quando uscimmo dalla zona delle segreterie aveva cominciato a piovere a dirotto. La stazione fortunatamente non era troppo lontana, quindi con una corsa potevo sperare di arrivare in treno relativamente asciutto. Chiesi a Mirco dei suoi programmi, e venni a sapere che sarebbe venuto anche lui alla stazione. Poi lì avrebbe preso il tram, per andare in periferia da sua nonna. "Pronti al diluvio universale?", disse. "Tre, due, uno..." Corremmo come posseduti sotto la pioggia, tra gli sguardi infastiditi delle vecchie munite di ombrello e paravento. La pioggia di solito mi deprime, ma di quella corsa conservo tuttora un ricordo stupendo. Spesso si dice che dopo il temporale l'aria diventa serena e cristallina, come rinnovata. Chissà, forse l'aria stava davvero cambiando, anche per me.
    Quel pomeriggio, appena misi piede in casa, capii che - almeno lì - l'aria che tirava era sempre la stessa: di profondissima noia. Pranzai da solo, in silenzio, con lo sguardo chino sul piatto, ripensando alla corsa folle di qualche ora prima. Sciacquai il piatto nel lavello e andai di sopra in camera. Un po' mi spaventa il riconoscerlo, ma continuavo a pensare a Mirco. Era capitato tutto così all'improvviso, la sua conoscenza, la chiacchierata - stranamente (per me) - spontanea, e poi quella storia della tessera... Lo conoscevo a malapena, eppure già non riuscivo più a togliermelo dalla testa. Il fatto che sapevo che fosse gay, poi, non faceva altro che alimentare la fiamma delle mie fantasie, per quanto fossi consapevole che, a farla crescere troppo, quella fiamma poteva facilmente farmi male. C'è un proverbio, se ricordo bene, che recita qualcosa del tipo: "Impara dai tuoi errori". Ecco, io questo proverbio lo trovo insensato. Quando si sbaglia per aver seguito la propria personalità c'è poco da fare, sai che non potevi agire altrimenti. Puoi cercare di sforzarti, in futuro, puoi concentrarti per evitare di ricadere nelle stesse situazioni dolorose, ma alla fine ti ci ritroverai per forza, è come se fosse scritto nel DNA di ognuno, e l'unico rimedio che ti resta è cercare di elaborare una strategia per soffrire il meno possibile. Tutti hanno il proprio tormento genetico. Il mio, è che mi innamoro di amori che inevitabilmente vanno a finire male - Ah, e no. Non ho ancora elaborato una strategia per questo -.
    Il resto del pomeriggio passò tra un album degli U2 e il libro sulla teoria dello stilnovo, e quella sera mi addormentai un po' più sereno del giorno prima: sapevo che, la mattina dopo, sicuramente avrei avuto un buon motivo per non addormentarmi sul banco di Letteratura.

    Edited by Principe di Creta - 22/11/2014, 19:50
  7. .
    Già fatti i complimenti nell'altro topic, ma mi diffondo ulteriormente anche qua! Grande Clod, bravissima! :D
  8. .
    Mercedes!

    Libro o film?
  9. .
    Buio; Grecia :lol:

    Libro cartaceo o ebook?
  10. .
    Beethoven

    Zeus o Apollo?
  11. .
    Letta molto volentieri anche questa parte! Anche se, forse, il fatto che già si dicano di amarsi dopo un solo pomeriggio assieme è poco verosimile; in ogni caso, ribadisco che adoro certe tue espressioni, e questa in particolare l'ho trovata geniale: :D
    CITAZIONE
    ne segui la linea fino ad infilare la lingua nel mio ombelico, "Ahhhhhh" gemetti come una bambina impaurità, mi sentivo una continuazione del suo corpo, la sua lingua mi dava la vita come se mi avessero riattaccato il cordone ombelicale...non volevo che se ne uscisse più di li
  12. .
    pasta

    Torcia elettrica o fiaccola ardente?
  13. .
    Bella la parte della pompa e il palpaggio iniziale :lol: Poi l'ultimo pezzo è diventato un po' troppo violento, o forse sei tu che l'hai descritto troppo velocemente. Comunque sia, complimenti! ^_^
  14. .
    Nicola
  15. .
    Bellissimooo! Ha alcune espressioni molto simpatiche, è ricco di dettagli, questo Sebastiano è un figo e l'estate al mare è l'ambientazione perfetta :P

    Go on please!
203 replies since 30/10/2010
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