Segnali di fumo

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  1. Invano
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    Parte V

    Più avanti gli incontri iniziarono a volgersi verso sentieri per me mai battuti.
    La compagnia di Gabriele era divenuta, se non una costante, quanto meno il preludio a una entusiasmante abitudine. Ero riuscito, nei pomeriggi che seguirono "il pomeriggio", ad accostarmi a lui, dimenticandomi del libro, e sempre con una naturale tenerezza spirituale e un feroce vigore fisico: avevo assaggiato il suo fallo, giocato con esso, gustato completamente i suoi umori. Gabriele faceva lo stesso con me, ma era oramai palese la mia predilezione per i ruoli passivi, che quasi sempre si traduceva in una gioiosa sperimentazione.
    Fu in un pomeriggio particolarmente afoso che avvenne.
    Accadeva che la tenuta mi fosse divenuta, da luogo ameno e non sondato, rifugio dove non di rado arrivavo prima dello stesso Gabriele. Quando, quel pomeriggio, lo vide penetrare nella stanza con un sacco, fui assalito insieme da una tensione inspiegabile e da un moto travolgente, che comunque mi bloccò a terra.
    -Buongiorno, mio caro Davide! Sorrideva vedendomi, ed era sempre un sorriso elettrico e inespressivo; si avvicinò, mi baciò sulle labbra, e attese il mio saluto.
    -Oggi è un giorno decisivo, mio caro. Il punto di rottura, il ribaltamento!
    E mi gettò davanti il sacco: -Aprilo, coraggio!
    Soddisfai così e insieme la sua richiesta e la mia curiosità: il sacco conteneva una mucchio di oggetti cilindrici, di forme e dimensioni tra loro differenti.
    -Ho dovuto impegnarmi per trovarli, ma sono estremamente soddisfatto!
    Ero perplesso, ma non lo diedi a vedere. Tacqui.
    -Falli finti artigianali, che ho raccolto mettendo insieme oggetti trovati qua e là. Naturalmente sono tutti lavati e lindi, e oggidì, se tu vorrai, avremo modo di usarli!
    Così era giunto anche quel momento, pensai; il momento in cui avrei osato ciò che non doveva essere osato, addentrandomi nella zona buia e invalicabile del piacere.
    Ma di tutto ciò, a Gabriele dissi solo: cosa devo fare?

    Per prima cosa egli mi fece spogliare e, stendendo una asciugamano sul pavimento, mi pregò di mettermi a quattro zampe a terra, tentando di dilatare quanto più potessi le natiche. Tremavo, e il mio respiro era una marcia di tamburi che suonava zitta; cogliendo il mio disagio, Gabriele iniziò ad accarezzarmi, senza voluttà, ma con un imprecisato affetto:
    -Andremo per gradi, se è questo che ti preoccupa...ora, andrò avanti solo con le dita: sei d'accordo? Come sai, una volta accettato, non si torna più indietro!
    Lo disse sereno. Sereno, deglutii, annuendo.

    Il primo dito fu come essere scavati dentro una propria crepa: lo sentivo, bagnato di saliva, allungarsi dentro lo sfintere e farsi spazio dove tutto intorno l'ambiente sembrava ostile. Con il secondo, iniziò il dolore, e con il terzo, i primi accenni di un piacere appena avvertito, ma tradotto immediatamente dal corpo in un sussulto che per Gabriele fu il segnale della partenza. Afferrò quindi un piccolo cilindro di vetro dal sacco, vi sputò sopra e, lentamente, lo infilò nel mio ano; questo tentò da prima di rifiutarlo, poi lo assorbì, lasciando che il vetro toccasse infine la prostata: per la prima volta, gemetti. Subito Gabriele me lo sfilò di dosso, provocandomi solo un leggero bruciore:
    -Perché? Mi piaceva...- Ansimai improvvisamente urtato.
    Gabriele non rispose, rigettando le mani nel sacco come dentro a un labirinto di piaceri, e portandone fuori un altro cilindro nero, più lungo e tozzo del precedente.
    Sentii la circonferenza dell'ano dilatarsi improvvisamente, e il dolore di una pugnalata afferrarmi la gola; strinsi i denti, mente il il fallo nero si apriva dietro un sentiero vacuo. Quando infine lo sentii arrivare alla prostata, esso era quasi completamente penetrato dentro.

    Continua
     
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