Amore tra i banchi di scuola

Stefano e Daniele

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    DOLCE GAY

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    ATTENZIONE
    CONTENUTO EROTICO E SESSALE
    QUESTO RACCONTO NON E' ADATTO AD UN PUBBLICO MINORE DI 18 ANNI
    SE SEI MINORENNE TI INVITIAMO A LASCIARE IMMEDIATAMENTE QUESTA PAGINA



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    Premetto che non sapevo se postarlo perché le cose porno arrivano solo ad un certo punto. Questo racconto infatti è prima di tutto una storia d'amore e di crescita adolescenziale, il tutto va però a finire in scene dettagliatamente pornografiche xD

    Quindi, se vi va di dedicare attenzione a questa storia, sappiate che dovrete pazientare un pò prima di arrivare alle cose hard! Ma non è detto che sia un male ;)

    Buona lettura!

    Stefano non era molto alto. Un metro e settantadue era meglio di niente ma non soddisfaceva appieno le sue aspettative. Essere bassi - pensava Stefano - non era un grosso problema di per sé, ma piuttosto per le conseguenze che comportava. Se sei alto le ragazze ti filano. Puoi avere le sopracciglia folte, la mascella da buttafuori ubriaco e lo sguardo da pesce lesso: tanto piaci lo stesso. Se invece non hai abbastanza serotonina nel sangue - perché i tuoi geni non funzionano, non è che ci puoi fare nulla - ecco che i lineamenti più fini diventano effemminati, la timidezza goffaggine e, cristo, se sei simpatico assumi persino un ché di ridicolo.
    Non c’è mica nulla da fare: se sei basso non ti caga nessuno.

    “Stefano!”

    In realtà quando si guardava allo specchio Stefano si trovava pure carino. Non un divo del cinema, certo, ma sostanzialmente si riteneva più che accettabile e non capiva il motivo per cui si ritrovava scapolo alla tarda età di diciassette anni compiuti.
    Scapolo… – pensava Stefano - il maschile storpio di zitella. La zitella almeno ha un ruolo sociale. Se sei zitella puoi ambire alla compassione della gente, forse anche a quella del parroco del paese… Ma se sei scapolo, no caro, non hai più la minima speranza se sei scapolo.

    Voce femminile isterica – “Stefano!”

    La professoressa si alzò bruscamente dalla sedia facendola cigolare e mandando in aria il registro in cui erano memorizzate le note disciplinari e le insufficienze di tutta la classe.
    “Ti ho fatto una domanda, ragazzo! Credi di poter continuare così per tutto l’anno? Ti ricordo che siamo a dicembre e che hai due mesi scarsi per recuperare. Devo forse ripeterti che la tua media dopo l’ultimo compito è di-sa-stro-sa?”
    “Mi scusi professoressa – rispose il ragazzo – stavo solo pensando…”
    “Tu non ti puoi permettere di non stare attento ad una mia lezione. Fuori dalla mia aula adesso! SUBITO!”

    Dopo essere uscito dall’aula con aria rassegnata, Stefano si diresse verso le macchinette del caffè. Forse un po’ di droga gli avrebbe fatto bene. Chiamava così la caffeina da quando il tecnico di laboratorio, un biologo un po’ in là con gli anni, li aveva ammoniti sull’uso delle sostanze stupefacenti. Secondo lui, non bisognava guardarsi solo dall’eroina, dalla cocaina e dalla nicotina, ma anche da tutte le sostanze che finivano con il suffisso “ina”, caffeina indi compresa.
    Droga che fosse, la caffeina non era particolarmente cara. Se li poteva permettere trenta centesimi nonostante la paghetta da fame che i suoi genitori gli sganciavano. Ecco, altro problema, se anche avesse avuto una ragazza sarebbe rimasto vergine lo stesso: probabilmente non avrebbe potuto permettersi il lusso di comprarsi un preservativo. Quanto costava un preservativo?
    Vergine. Altra brutta parola. Diciassette anni e vergine, segaiolo incallito, non riusciva a trovare nessuna che fosse disposta a scopare con lui. Che poi non è che voleva scopare e basta. Insomma, la sua prima volta doveva essere speciale, e comunque non gli andava il concetto di fare sesso senza perlomeno stare assieme alla ragazza in questione. Gli sapeva di squallido.
    Ma tutti questi pensieri lasciavano il tempo che trovavano, perché lui, Stefano, era basso. Nessun essere umano avrebbe potuto pensare di accoppiarsi con lui, con il nano morto di seghe.
    A parte forse Domenico, della seconda C, ma lui non aveva mica la figa. E a Stefano, piaceva solo la figa.
    In realtà Stefano trovava che Domenico era pure carino. Stefano avrebbe potuto pensare di essergli amico… forse pure di abbracciarlo e stringerlo…? Ma punto lì, basta, stop, il resto gli faceva repulsione. No, Stefano non era mica un finocchio ed era alla disperata ricerca di…

    Tuuut.

    Stefano sollevò la divisoria di plastica che lo divideva dal bicchierino di caffè. Ne inspirò l’aroma. Droga.
    In realtà il caffè non gli piaceva più di tanto, però berlo lo teneva sveglio e gli dava un aria di indipendenza – ne era ferventemente convinto. Vedendolo bere il caffè alle macchinette tutte le mattine, le ragazze avrebbero sicuramente iniziato a prenderlo in considerazione. Bere il caffè era roba da gente matura, mica da nani sfigati.

    Driiiiiin.

    La campanella della ricreazione. Orde di studenti sudati e puzzolenti si apprestavano ad invadere con il loro tanfo l’angolo delle macchinette. Ecco, questa era una cosa che Stefano non capiva. Perché i suoi coeranei sembravano così allergici all’acqua e al sapone? Okay lui era basso, ma almeno si lavava. Stefano si defilò prima che arrivassero gli uomini rancidi e si rifugiò in cortile.
    Cortile era una parola grossa. In realtà si trattava di un piccolo spazio davanti all’entrata della scuola con qualche vaso di fiori secchi sui lati.
    “Ciao Rigoni!”
    Stefano si girò verso il proprio interlocutore. Ecco. Parli del diavolo – sì, insomma - pensi del diavolo… Un ragazzo più o meno della sua altezza – bassezza – gli sorrideva. Era bello, dai lineamenti morbidi ed aveva i capelli un po’ lunghi, col ciuffo che gli copriva parzialmente l’occhio sinistro.
    “Ciao Domenico.Ti chiamerei pure io col cognome ma non so quale sia. A proposito, come hai fatto tu a scoprire il mio?”
    Domenico ridacchiò.
    “Eh, sai…ho svolto delle accurate indagini!”
    Stefano si irrigidì. Ecco, di lì a poco Domenico ci avrebbe provato con lui. Come avrebbe fatto a dirgli di no senza offenderlo? E senza compromettere l’amicizia… Sì, insomma, non voleva quello che voleva lui, però gli piaceva la compagnia di Domenico, alla fine gli stava simpatico. Anche se era così… anormale…
    “E perché le hai svolte?” chiese con malcelata preoccupazione.
    Domenico gli rivolse uno sguardo allibito prima di scoppiare in una fragorosa risata.
    “Ma scusa – rispose –in che altro modo pensi che ti chiamino i tuoi compagni quando ti gridano di tornare in classe che la Bianchi interroga?”
    Stefano si rammentava la situazione. Era stata la prima volta che aveva parlato con Domenico – e, se la matematica non è un’opinione, questa era già la seconda.

    All’epoca, durante il quarto d’ora di intervallo del venerdì, Stefano stava aspettando che il caffè finisse di scendere nel bicchierino quando un ragazzo della sua altezza gli si era avvicinato e gli aveva rivolto la parola.
    “Bella maglietta, pure a me piacciono gli Iron! A proposito, non mi sono presentato, io sono Domenico…”
    Avevano parlato per tutta la pausa, un po’ di musica, un po’ di calcio. Stefano non avrebbe mai detto che lui fosse finocchio. Domenico sembrava maschile al cento per cento, non aveva per nulla la voce falsettata ed i suoi atteggiamenti erano sicuri, decisi. In qualche modo ne era rimasto pure affascinato, anche se ovviamente non dal punto di vista sessuale. E’ solo che era basso e nonostante questo era figo. Era stato solo dopo, quando la sua migliore amica che aveva assistito alla scena lo aveva messo in guardia della cosa, che Stefano aveva scoperto l’omosessualità di Domenico.
    Quando la campanella aveva suonato ancora una volta per rammentare agli studenti - uomini rancidi - di tornare in aula, Stefano e Domenico stavano ancora parlando e Marina lo aveva richiamato proprio usando la scusa dell’interrogazione della Bianchi. Non era per niente vero, ma Marina si era giustificata dicendo che era una strategia posta in extremis per salvarlo dalle avances di Domenico.
    “Mica sarai finocchio, Stefano! – gli aveva fatto lei - preferivi forse startene a parlare con quello lì?”
    “Ma cosa centra, stavamo solo parlando. E poi mica è gay quello.”
    “Ma sì – gli aveva detto Marina fra una risatina e l’altra – ti dico che è frocio, lo sanno tutti a scuola. E di sicuro ci sta provando con te, insomma ti ha parlato per tutta la pausa, e poi ti fissava. Fidati, ho il sesto senso in queste cose”.
    Quel giorno Stefano era tornato in aula ed aveva ripensato a Domenico per tutta l’ora successiva. Non riusciva a capacitarsi del fatto che uno come lui fosse davvero finocchio.

    Ora che aveva accettato la cosa, ci stava pure parlando con Domenico, sfidando il rischio che Marina lo vedesse interloquire di nuovo e senza più scuse valide con l’anormale.
    Domenico gli sorrideva. Aveva un sorriso fantastico.
    “Ah, sì – disse imbarazzato Stefano - hai ragione! Scusa, mi ero dimenticato di quell’episodio… Sì, in realtà Marina esagera sempre le cose, alla fine la Bianchi non mi ha mica interrogato…”
    Domenico si strinse le spalle. “Che fai oggi pomeriggio?” chiese.
    Ecco. Pugnalata alla schiena. Perché poi Domenico gli avrebbe chiesto di uscire. E fin qui tutto ok…ma poi? E comunque…anche senza il poi… ma se uscivano e qualcuno li vedeva in giro insieme?
    “Esco con una ragazza” rispose Stefano.
    Gli occhi di Domenico brillarono per un secondo.
    “Dai? Con chi, se non è troppo privato?” chiese il ragazzo con tono complice.
    Stefano si maledisse. E adesso chi tirava in ballo?
    Aveva fatto una mossa decisamente stronza. Chi avrebbe voluto uscire con uno basso come lui? Non sarebbe stato credibile se avesse tirato fuori una ragazza decente.
    “Beh, sì, in realtà… non mi va di parlarne…”
    Le guancie di Stefano avvamparono. Odiava anche quell’aspetto di sé. Non era per nulla virile.
    Domenico sorrise malizioso.
    “Va beh insomma, se per caso finisci presto con lei o se ti si libera il pomeriggio tu chiamami che ci facciamo un giro in centro. Ci scambiamo il numero di cellulare, ti va?”
    “Sì. Sì, ok!”
    Stefano annotò il numero di Domenico e la campanella suonò.

    Non lo avrebbe chiamato - pensò Domenico - ma almeno ora aveva il suo numero. Era stato proprio un colpo di fulmine - rammentò il ragazzo. Prima aveva visto la maglietta, poi l’angelo che la indossava e, nel frattempo, si era già fiondato ad attaccar bottone.
    In realtà non si curava per niente quell’angelo, anzi, sembrava facesse di tutto per abbruttirsi. Si tagliava i capelli a spazzola, atteggiava il viso da duro, si vestiva pure da schifo. Ma tutto sommato non riusciva a rovinarsi del tutto. Anzi, assumeva quell’aria un po’ goffa che lo rendeva più interessante e che ispirava un sacco di tenerezza. Se mai fosse riuscito a conquistarlo però, lo avrebbe costretto a cambiare look! E allora non ce ne sarebbe più stata per nessuno, perché Stefano sotto sotto era davvero bello.
    Conquistarlo…
    Domenico lo sapeva che la sua mente divagava troppo facilmente, però in quasi sedici anni di vita da diverso la fantasia era stata il suo unico rifugio dalla cruda realtà. La cruda realtà, come aveva imparato Domenico, era una cosa veramente schifosa. Specialmente se sei gay in un mondo di etero oppure – immaginava il ragazzo - se sei etero in un mondo di gay. In generale se sei un diverso non hai il diritto di esistere; o meglio lo hai pure, ma solamente nella misura in cui non lo sei. Se sei gay, per esempio, puoi mangiare, puoi pisciare, puoi persino ammalarti ed essere guarito gratuitamente dal servizio sanitario. Ma tutto questo lo puoi fare solo perché anche gli etero mangiano, pisciano e si ammalano. Un ragazzo gay non ha il diritto di vivere una storia d’amore. E se proprio ha la sfrontatezza di provarci lo stesso deve farlo in silenzio, di nascosto o perlomeno senza rompere troppo i coglioni, senza pretendere di tutelarsi dal punto di vista economico e sociale, senza parlare nemmeno dell’idea malsana di adottare un bambino.
    Domenico in realtà non aveva mai preteso di adottare un bambino, anche se gli sarebbe piaciuto e – pensava – sarebbe stato un padre migliore di tanti uomini eterosessuali, capaci di piantare moglie e figli per la segretaria ventenne con la figa stretta. Però si sentiva in diritto di poter vivere una storia d’amore con un ragazzo come Stefano, quello sì. Il problema era che ammettere al mondo di essere diversi portava a spiacevoli conseguenze, per le quali Stefano non avrebbe mai accettato di stare con lui. Domenico sapeva di piacergli, ma questo non cambiava nulla, perché lui – Stefano - avrebbe fatto di tutto per convincersi e convincere di essere normale, compreso inventarsi balle clamorose su appuntamenti immaginari – e segreti - con ragazze fantastiche.

    ... to be continued ...

    Edited by Elchicoloco - 16/6/2014, 00:27
     
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  2. Clod94
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    Tti prego, ti prego continua!! In certi punti mi ha ricordato alcune tematiche che sto sviluppando in un mio racconto :D
     
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    FIGO GAY

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    Bellissimo splendido tenero affascinante,continua aspetto con ansia il seguito scrivi da dio coraggio!!!!!
     
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    DOLCE GAY

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    Grazie degli apprezzamenti! :)
    La storia inizia a farsi piccante... inizia!

    Parte seconda:


    Non lo avrebbe chiamato - decise a malincuore Stefano. Non voleva che lui si illudesse. Stefano era rigorosamente eterosessuale, e se con un ragazzo etero ci sarebbe uscito volentieri, anche instaurando un rapporto di amicizia particolare – intendiamoci, particolare solo dal punto di vista affettivo – non sarebbe stato giusto pretendere una cosa del genere da Domenico. Domenico ci provava con lui, era diverso. Puoi abbracciare e voler bene a uno che non ci prova con te senza aver paura che le cose precipitino; non puoi però abbracciare e voler bene a uno gay. Rischi di ritrovarti in brutte situazioni.
    “A cosa stai pensando?” chiese Alice, la sua compagna di banco.
    “A nulla” rispose lui in tono piatto.
    “Ti va di fare i compiti assieme oggi pomeriggio?”
    Stefano la guardò. Era una bella ragazza. I capelli biondi e riccioli le incorniciavano il viso.
    “Ok, tanto non ho nulla da fare”.
    Alice non colse il fondo di dipiacere nel timbro del ragazzo e gli sorrise.

    La campanella di fine lezioni era suonata. Domenico si precipitò all’uscita per primo, voleva vedere da che parte andasse Stefano, uscito da scuola. Perlomeno per avere una vaga idea di dove abitava, di che posti era solito frequentare abitualmente.
    Sì, era decisamente grave. Non gli era mai successo di arrivare al punto di inseguire una persona che voleva corteggiare. Domenico si preoccupò, aspettò che Stefano uscisse di scuola e, senza farsi notare, lo seguì dall’altro lato della strada. Scoprì che il suo angelo non abitava così lontano dalla scuola e nemmeno da casa sua. Strano - pensò - Stefano abitava nello stesso suo quartiere e prima dell’altro giorno, alle macchinette, non lo aveva mai notato. Domenico iniziò seriamente a chiedersi se più che di Stefano non si fosse innamorato della maglietta degli Iron Maiden. Si immaginò nell’atto di sbaciucchiare il tessuto nero dell’indumento. Rise. Ma fu un riso malinconico perché in quella maglietta immaginaria era riuscito a percepire l’odore di lui.

    “Che cazzo stai dicendo, Ste? Non puoi portarlo sotto radice se non lo elevi!”
    Alice era veramente una rompicoglioni di prima categoria. Stefano lo sapeva che non doveva accettare di studiare con lei: il pomeriggio era completamente rovinato, demolita ogni speranza di fare qualsiasi cosa di divertente fino a che non fossero finiti tutti gli esercizi di matematica, studiate le pagine di storia e ripassati i capitoli di letteratura.
    Vabè, tanto sai quanto ci si poteva divertire con Alice. Non sapeva suonare, non sapeva cantare, non sapeva giocare a Risiko. Nulla. Solo studiare. Forse era per questo che lei piaceva a sua madre.
    “Stefano! Se fossi attento la metà di quanto sei carino forse una sufficienza potresti rimediarla!” ridacchiò lei.
    Gli fece un certo effetto sentirsi dire che era carino, ma si disilluse subito perché fece caso al tono in cui lei lo aveva detto. Anzi, cercò di rammentarsi il come lo aveva detto. Nella sua memoria la risatina di lei si tramutò prima in una risata divertita e, infine, in un sogghigno malevolo. Forse la sua memoria non funzionava bene però… Più che altro perché Alice era sì rompicoglioni ma, in genere, non troppo stronza. In ogni caso, che lei gli avesse detto così poteva anche collegarsi al fatto che nessuno se la filava e quindi che lei fosse più di bocca buona delle altre. Non è che fosse brutta, è che era rompicoglioni. Voi ci stareste con una rompicoglioni?

    Domenico era seduto sulla panchina del parco sotto casa. Dopo aver pranzato si era fiondato giù per le scale per studiare all’aria aperta. In realtà era più di due ore che il libro di storia era aperto a pagina centocinquantasette. Sempre la stessa pagina.
    Chissà se Stefano si era mai seduto su quella stessa panchina. Se aveva respirato la stessa aria che ora respirava lui.
    Foglie secche. Tardo autunno. Freddo.
    Domenico si alzò. Probabilmente Stefano era a casa a studiare in quel momento. Domenico riusciva a intravedere il suo palazzo tra i rami secchi del parco. Il destino è proprio beffardo – pensò il ragazzo – li aveva messi ad un parco di distanza, ma in due mondi differenti.

    “Dai, ti accompagno a casa Alice”.
    La ragazza rivolse a Stefano un sorrisone, si infilò gli occhiali rotondi e si buttò addosso la giacca di piumino. Stefano aprì la porta e la fece uscire. Pensò a Domenico mentre la osservava scendere le scale. Forse l’avrebbe chiamato. Solo per una passeggiata, magari col pretesto dei regali natalizi… anche se fare shopping con un ragazzo non era molto da etero.
    Stefano camminava nel parco vicino ad Alice ed era assorto nei suoi pensieri quando lei gli prese la mano. Per qualche secondo lui non se ne accorse nemmeno, dopo fu troppo tardi per reagire. In realtà non avrebbe regito in ogni caso, avere una ragazza che ti fila – pensò – è davvero una cosa figa.
    “Ma tu hai molto da fare oggi pomeriggio, Ste?” gli chiese lei.
    “Sì, ti ho detto, devo uscire con un amico. Sai, devo fare i regali per Natale; e poi dai penso che abbiam studiato abbastanza”.
    “Ma io non dicevo per studiare” rispose lei.
    Stefano la guardò.
    Improvvisamente Alice non era più la secchiona rompicoglioni che gli spiegava matematica. Alice era una femmina. Probabilmente disponibile ad accoppiarsi con lui.
    “E per cosa?” chiese lui sinceramente sorpreso.
    “Ma tu non hai capito nulla Stefano”.
    Lui la vide avvicinare le labbra al suo volto. Almeno non avevano il rossetto. Stefano detestava il rossetto.

    Le lacrime gli rigavano il volto. Non è che volesse fare la vittima, semplicemente non poteva farci nulla. Non era colpa di Domenico se quella lì si era messa a baciarlo lì, in mezzo al parco, sotto gli occhi di tutti e soprattutto sotto i suoi occhi. Domenico pensò di essere già abbastanza bravo a trattenere i singhiozzi che volevano a tutti i costi manifestare al mondo il suo dolore.
    Non era la prima volta che gli capitavano cose del genere – pensò – ma non si era mai sentito così male. Pensò anche che solo in quel momento riusciva a capire veramente cosa volesse dire la disperazione; quella vera.
    Calmati Domenico – si disse – passerà; passerà anche lui come sono passati tutti gli altri.
    Solo che Stefano non era come tutti gli altri. E comunque nessuno era come lui nei pensieri di Domenico.

    “Torniamo in casa?” gli chiese Alice, con il vento freddo che le scompigliava i capelli.
    Cosa poteva dire Stefano? Se non altro per cortesia… doveva farla salire per cortesia. E poi, quando gli sarebbe capitato che una ragazza se lo sarebbe filato; uno come lui? Decise di annuire, lo fece e lei gli sorrise.

    Un sogno infranto alla fine non fa nessun rumore. Non è mica un bicchiere: non fa così tanto casino, non manda schegge ovunque. E comunque di sicuro se le manda non sono schegge grosse; non di quelle che con un po’ di foruna possono finirti sul collo e tagliarti la giugulare, per intenderci. Un sogno infranto è decisamente più stronzo. Lui non ti uccide, ti divora lentamente e poi cambia forma. Ci sarebbe stato ancora qualcun’altro a lacerargli il cuore in futuro – pensò Domenico – ma alla fine sarebbe sempre stato Stefano, o meglio, il suo ricordo sotto mentite spoglie.

    Alice richiuse la porta dietro di sé e si tolse il piumino. Il suo volto irradiava felicità. Stefano si sentì orgoglioso di suscitare certe emozioni. La abbracciò e le mise la lingua in bocca. Poteva sentirla stringersi a lui e premere l’addome contro il rigonfiamento dei suoi pantaloni. Stefano si sentiva bene così, con una ragazza tra le proprie braccia: della carne autentica e non proibita. Solo per un istante pensò a come sarebbe stato abbracciare Domenico, ma ricacciò subito indietro il pensiero.
    “Vieni” disse ad Alice, dirigendosi verso la propria camera.
    Lei si irrigidì.
    “Cosa vuoi fare?” gli chiese.
    Stefano si sentì un verme. Cosa voleva fare? Voleva portarsela a letto e scoparla così, al primo appuntamento? In verità non era il primo appuntamento, si conoscevano da quando avevano iniziato le superiori, ma non era questo il punto.
    “Io… scusa Alice, mi sono lasciato un po’ trasportare, non farci caso.”
    “No Stefano – disse lei – scusami tu. E’ che ho paura che se poi succede qualcosa… se succede… tu non mi vorrai più!”
    Stefano la guardò stupefatto. Allora lei lo voleva fare davvero.
    “Ma secondo te io sono uno così?”
    Alice lo guardò negli occhi. Scosse la testa.
    “Allora vuoi essere il mio ragazzo?” gli chiese.

    ... to be continued...
     
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    DOLCE GAY

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    Domenico restò per parecchio tempo seduto su quella panchina, con le mani premute sul volto e vergognandosi delle proprie lacrime. I maschi non piangono – pensava. Cazzo, che si fottesse quello Stefano, proprio davanti a lui doveva mettersi a limonare, davanti a lui che ci era morto – e che ancora ci moriva dietro.
    Ma alla fine non era nemmeno colpa di Stefano. Mica lo sapeva che lui era appostato lì, a spiarlo nel parco sotto casa sua. Domenico si alzò e si trascinò verso la strada, con le foglie secche che si lamentavano sotto i suoi piedi e con le lacrime che gli si ghiacciavano in faccia. Erano ancora quelle di prima: aveva già smesso di piangere, lui.
    Guardò ancora la palazzina dove abitava Stefano e dove i due amanti erano rientrati. Amanti… Provò ad immaginare in quale di quelle innumerevoli finestre potesse essere Stefano, e cosa stesse facendo ora. Domenico lo sapeva cosa stava succedendo lì dentro – pensò - lo sapeva benissimo.

    Stefano non poteva crederci, eppure lei era lì sul letto con lui e lo desiderava. Era letteralmente una maschera di gioia quella che lo aveva preceduto in camera sua e che si era distesa sul letto allargando le braccia. Ed ora era lì a strofinarsi su di lui, a lasciare che lui la toccasse in posti sempre più audaci.
    “Alice…” le disse lui tenendola stretta a sé.
    “Mmm” mugugnò lei strofinando il volto sulla sua guancia imberbe.
    Domenico era un po’ stordito. Gli sembrava impossibile quello che stava succedendo. Lei era così…sexy.
    “Ma io davvero ti piaccio?”
    “Ma secondo te? Diciamo che sì, almeno finchè ti comporterai bene… ma non troppo eh!” sogghignò lei.
    “Boh – disse lui – è che mi pare così strano”.
    Alice gli mordicchiò un orecchio.
    “Non fraintendere, mi piaci solo perché sei buono da mangiare!”
    I due ragazzi risero; risero finchè gli sguardi non si incontrarono e compresero. Di lì a poco sarebbe accaduto. Non c’era più spazio per le risate; solo per il timore e per il desiderio.

    Alice non era mai stata considerata una ragazza. Non era brutta, e lei lo sapeva, però i ragazzi non la guardavano proprio. Lei era quella secchiona. Lei era quella da cui potevi aspettarti la traduzione di latino, l’equazione più complessa del compito di matematica ma non certo un pompino o una scopata selvaggia. E quando uno si sceglie una ragazza lo fa in base a quanto lei è brava a scopare e a fare i pompini. Alice non aveva esperienza, in questo ambito ed era per questo – pensava lei – che nessuno se la filava. Così le era balzata in testa l’idea di provarci con Stefano. D’altra parte pure lui non era mai stato con nessuna, che si sapesse. E un maschio lo fa sapere a tutti se ha avuto esperienze sessuali. Sono così prevedibili, i maschi – pensava lei.
    Quello che l’aveva lasciata sbalordita, però, era stato che nonappena aveva iniziato a prendere in considerazione l’idea di stare con Stefano, si era accorta che lui in realtà non era affatto male. Faceva di tutto per passare inosservato, certo, ma se ci si concentrava sul suo viso, invece che sui vestiti che indossava, e se gli si cambiava pettinatura e look con lo sforzo dell’immaginazione, Stefano poteva pure essere un ragazzo carino.

    Stefano chiese se poteva e le tolse la maglietta e il reggiseno. Il respiro di Alice era veloce. Pure lui si tolse la maglietta. La abbracciò. Poteva sentire i suoi seni, i capezzoli duri contro il proprio petto.
    “Alice – le disse sussurrando – tu mi piaci da morire”.
    “Anche tu” gli sussurrò lei.
    Stefano le mise la lingua in bocca. Non aveva mai avuto il pisello così duro – pensò. Le infilò una mano dietro la schiena e la abbassò fino ad appoggiarla sul suo sedere.
    “Se vuoi fermarmi fallo subito – le disse – perché senò qui finisce che lo facciamo davvero”.
    Alice lo guardò negli occhi. Aveva paura. Lo desiderava. Prese un respiro.
    “Io non ti fermo, Stefano” disse.
    Stefano la baciò sulle labbra.
    “Allora… sei sicura? Vuoi davvero che lo facciamo?”
    Alice annuì.

    Era già quasi buio, nonostante fossero le cinque. La maggior parte delle finestre della palazzina di Stefano erano illuminate di una luce gialla, calda, felice. Domenico le osservava e pensava. Fissava però più insistentemente una luce particolare, gialla come le altre, ma che a lui sembrava più gialla e più calda di tutte le altre. E immaginava.
    D’un tratto la luce si spense. Domenico ricominciò a piangere.

    Stefano spense la luce, si tolse i pantaloni e i calzini e altrettanto fece Alice. Erano in mutande nello stesso letto. Stefano fu un po’ imbarazzato quando la riabbracciò, gli sembrava di essere così vicino, forse troppo vicino a lei. Abbracciandola fece in modo che i genitali non entrassero in contatto con quelli di lei. Gli sarebbe sembrato scortese, quasi una violenza. Subito però pensò che in fondo avevano un accordo. Non doveva preoccuparsi. Si spostò su di lei fino ad incontrare con il membro la sua intimità. Alice lo strinse sé. Ansimavano entrambi. Lei allungò una mano e gli toccò il rigonfiamento delle mutande.
    “Posso vederlo?” gli chiese con un sorriso tirato.
    Stefano si vergognava ma non poteva certo dire di no. Lei gli abbassò le mutande.

    Lo prese in mano. Era così strano, quasi gommoso… Aveva la punta umidiccia, parzialmente ricoperta da una specie di sacchettino di pelle. I testicoli erano rigonfi e rotondi. Mentre lei gli faceva una sega, scuotendo avanti e indietro il prepuzio con la punta del pollice e dell’indice, lui le baciò la fronte e le abbassò le mutande.

    La cosa che più lo colpì fu l’odore. Aveva la passera depilata e sapeva di un profumo acidognolo. Non era capace a fare le seghe – pensò Stefano – ma quello che aveva in mezzo alle gambe ripagava di gran lunga qualsiasi lacuna. Non poteva più aspettare.

    Domenico restava lì, impietrito, una statua di cera – meglio, di ghiaccio – in mezzo al vialetto del parco. Lui lo sapeva cosa stava succedendo lassù, dietro a quella finestra, in quella stanza buia. I pugni di Domenico si stringevano nell’aria fredda, come per trovare un appiglio che non c’era.
    Non poteva credere che Stefano fosse davvero etero. Era impossibile. Anche considerato quello che stava facendo ora.
    Insomma, anche lui – Domenico – ogni tanto si guardava qualche porno etero, anche a lui poteva piacere l’idea di farlo con una donna, ma lui restava sempre e comunque gay. Non ci sarebbe mai stato con una ragazza. Sicuramente era la stessa cosa per Stefano. Doveva essere così - se non altro per giustizia divina…

    “Ok, va bene così…” le sussurrò mentre le scostava la mano dal proprio pene e si stendeva sopra di lei. Alice fu indecisa se sentirsi offesa da quel comportamento ma poi vide che lui le sorrideva. Stava per succedere. Lo abbracciò mentre lui appoggiava dolcemente il peso su di lei e dischiuse le gambe per permettergli di trovare il pertugio.

    Il ragazzo era un po’ agitato. Non lo aveva mai fatto, sperava di non fare figure di merda. Almeno di trovare il buco, insomma. Alice lo strinse ed aprì le gambe abbandonandosi a lui.

    Stefano incurvò l’addome e lei percepì il suo membro schiacciarsi sulla sua intimità. Poi lui lo spostò leggermente fino a farlo penetrare fra le grandi labbra. Gemettero entrambi. Quella vorace commistione di carne e di umori era tutto ciò che avevano sempre desiderato.

    -Ragazzo, stai poco bene? Posso darti una mano?-
    -No, va… va tutto a posto. Sono solo un po’ infreddolito, sto aspettando…un amico-
    Domenico sorrise al gentile vecchietto di un sorriso forzato.
    In realtà gli faceva male la pancia, il cuore gli batteva a mille e sentiva un grosso peso nelle viscere. Ma cosa poteva dire?
    Guardò il vecchietto allontanarsi a passo incerto; poi, la finestra buia.

    Era così morbida, e bagnata… Stefano strofinò il glande tra i genitali di lei, in cerca della vagina. Alice ansimava e muoveva le reni verso di lui, cosa che non lo facilitava certo nel compito.
    “Più in basso” gli sussurrò lei.
    Lui spostò il pene più in giù e la ragazza gemette più forte spingendo i genitali contro i suoi. L’orifizio della vagina di lei premeva ora contro il suo glande. Era stretto e, gli sembrava, ancora più bagnato delle mucose che lo circondavano.

    Lo sentiva fra le gambe. Duro e potente, quasi minaccioso, il membro di quel viso da cerbiatto premeva sulla sua verginità. Alice guardò Stefano negli occhi grandi e dolci e spinse i genitali contro i suoi, che potentemente la invasero.

    La percezione di una membrana che si infrangeva e di una guaina stretta che gli andava ad avvolgere il glande accompagnarono un gridolino di piacere della ragazza. Stefano gemette e spinse più a fondo il membro dentro di lei, che rispose alla sua spinta inarcando la schiena.

    La penetrava con decisione, ma senza frenesia. Dava una spinta e si ritirava di un poco, dando tempo alla sua vagina di lubrificarsi per bene e di abituarsi al suo membro. Alice desiderava con tutta se stessa sentirlo il più profondamente possibile dentro di sé, la faceva sentire bene, oltre a darle delle sensazioni fisiche intensissime. Emozioni voraci. Languori umidi e bassi.

    Lei era bagnatissima.
    I gemiti…gli odori… Stefano non avrebbe mai pensato che il sesso fosse così fantastico. Le sue cosce premevano contro le cosce di lei, l’inguine di entrambi era bagnato della stessa commistione di umori, le loro lingue si scambiavano promesse di furia. Ogni promessa è debito. Stefano decise di aumentare il ritmo. Alice gridò.

    Domenico lo sentì, lo sentì fisicamente quel grido. Le ginocchia gli cedettero. Perché restava lì? Perché non era capace di andarsene e di dimenticarsi tutto questo?

    Alice ebbe il riflesso incondizionato di chiudere le gambe, con il risultato di stringerle attorno alle gambe di Stefano. In realtà era stato un grido di piacere, ma poteva essere interpretato anche in altro modo. Tuttavia Stefano sembrava non curarsene e continuò a scuoterlo dentro di lei sempre più vigorosamente. Questo suo comportamento la eccitò. Alice si odiò per questo, ma non potè fare a meno di constatare che le piaceva. D’un tratto, il fradicio rumore del membro che la violava le ricordò il fine naturale di tutto questo scuotersi. Orgasmo. Sperma. Concepimento.
    Probabilmente se ne sarebbe pentita per tutta la vita, ma in quel momento si accorse di volerlo con tutta se stessa.

    La ragazza schiacciò i genitali contro i suoi e gli piantò le unghie nella schiena. Lui le morse il collo e spinse il membro dentro di lei il più profondamente possibile. Fu tutto molto veloce e molto intenso. Alice emise una sorta di lamento strozzato schiacchiandosi su di lui, e l’urgenza divenne insostenibile.
    “Attenta… vengo…” ansimò Stefano immobilizzandosi, diviso sul da farsi.
    “Vieni…” rispose la ragazza tirandolo a se per i glutei, “…dentro…” aggiunse.
    Libero di eseguire ciò che tutto il suo corpo anelava, Stefano si abbandonò dentro di lei. Alice gemette di aspettativa e scosse le reni delicatamente, ma con un certo ritmo. Domenico percepì lo sperma risalire nell’uretra e il piacere, umido, esplodere. Orgasmo. Sperma. Concepimento.

    Domenico voleva morire, ma non ci riusciva. Non era mancanza di buona volontà, semplicemente gli mancava una lama, un arnese bellico o una corda qualsiasi con cui rendere utili gli innevati alberi del parco. Prese la sua decisione, dolorosamente, e si incamminò verso casa.
     
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  6. Clod94
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    0.0 Perché non c'è il tuo "to be continued"? Non puoi far fare a Domenico quello che vuole fare :'(

    Edited by Clod94 - 14/11/2012, 16:32
     
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    Ah no no! Me lo ero dimenticato scusa! Ma prosegue, prosegue xDD
    e ci sono delle sorprese
     
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  8. Clod94
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    Trauma in corso... ti mando la parcella del medico!! XD
     
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    Opssss.. mi spiace! Io però sono disoccupato, quindi sappi che mi toccherà pagarti in natura xDDD

    Ecco qui la quarta parte del racconto:



    “A dire il vero… Non mi sento pronto… insomma non mi va una storia seria per il momento. Però possiamo rimanere amici, ti va?” Alice era in lacrime, ma cosa ci poteva fare lui? Non gli andava di stare con lei e, a dirla tutta, non gli andava neppure di scoparsela. Cioè, l’avrebbe portata in camera da letto così senza impegno, se lei poi ci fosse pure stata non avrebbe potuto tirarsi indietro, ma non è che per Stefano fosse proprio necessario. Era più una questione di onore. Ora, che le aveva detto di no, che non voleva essere il suo ragazzo, Stefano non correva più nessun rischio. Se lei avesse detto in giro che lui non se l’era voluta scopare, Stefano avrebbe fatto sapere a tutti che lei gli aveva posto la condizione di starci insieme. Nessun latin lover liceale si sarebbe sognato di starci insieme, alla rompicoglioni.
    In realtà a Stefano dispiaceva pure, perché Alice lo aveva fatto stare bene, lo aveva fatto sentire desiderato. Ma, del resto, non erano suoi problemi. La abbracciò e le disse che gli dispiaceva, che magari più in là nel tempo sarebbero cambiate le cose.
    Alice disse che doveva tornare a casa. Stefano l’accompagnò alla porta, ma lasciò che attraversasse da sola la tormenta del parco.

    Domenico non aveva visto la ragazza andarsene. Domenico camminava sulla rabbia e sulla disperazione, ripensando a quelle scene, al corpo di Stefano sopra a quello di lei. Casa sua era vicina ma decise che non ci sarebbe andato. Non ci voleva tornare a casa, adesso, voleva solo ubriacarsi e dimenticare. Il cellulare vibrò. Domenico non teneva mai la suoneria, gli dava fastidio. Lasciò che vibrasse a vuoto, solleticandogli la coscia. Non voleva parlare con nessuno.

    Stefano chiamò di nuovo. Domenico non aveva risposto. Eppure glielo aveva detto lui che se si fosse liberato avrebbe potuto chiamarlo. Che fosse successo qualcosa? Il telefono squillava. A vuoto.
    E se Domenico in realtà non ci stava provando con lui? Se lo stava solamente prendendo in giro? Voglio dire, non è che si poteva escludere questa eventualità, giusto? E intanto lui si era lasciato sfuggire una ragazza, disponibile per la prima scopata della sua vita. Intendiamoci, non se l’era lasciata sfuggire per Domenico, ci mancherebbe, però… Sì insomma forse poteva starci un po’ più di tempo insieme, vedere se magari ci si poteva pensare sopra.
    E’ che uno deve essere convinto per fare certe cose no? Che la persona sia quella giusta, che il momento sia quello giusto. E se si fosse messo con lei e poi si fosse reso conto che in realtà non gli piaceva così tanto? Sì insomma aveva fatto la scelta giusta. E indipendentemente da Domenico, e ci mancherebbe pure.
    Intanto Domenico non rispondeva, peggio per lui. Sarebbe uscito da solo per cercare i regali di natale.
    Stefano si infilò la giacca.

    Sempre la solita storia. Lucette dappertutto, gente dappertutto, bambini pestiferi che piangono perché la mamma non gli compra l’ovetto Kinder…dappertutto! Se almeno ci fosse stato Domenico sarebbe stato diverso, forse avrebbero comperato qualcosa. Stefano si diresse verso casa. Per giunta diventava sempre più freddo. Chissà Domenico che faceva adesso. Magari stava ridendo di lui che lo aveva chiamato. Magari pensava che siccome lo aveva chiamato, questo voleva dire che Stefano era disponibile e il giorno dopo…orrore! E se l’indomani a scuola si fosse trovato additato da tutti come quello che aveva chiamato il frocio? E se Domenico non era davvero gay? E se era tutta una messinscena per vedere se invece lui, Stefano, era finocchio? Ora che ci pensava era ovvio! Domenico era troppo maschio perché potesse essere gay…e Alice? Certo anche lei doveva fare parte del piano, com’era possibile che ci avesse provato davvero con lui? Idiota, Stefano, idiota!
    Perlomeno non si era ancora compromesso del tutto. E ci mancherebbe, mica era frocio davvero lui! Però ora doveva pensare a come comportarsi l’indomani. Aveva pur sempre rifiutato una donna e cercato di contattare un uomo. Poteva dire di aver sbagliato numero ma no, non ci avrebbe creduto nessuno.
    Stefano camminava, preoccupato, camminava. D’un tratto, l’insegna di un bar illuminò di rosa i cubetti di porfido del marciapiede. Stefano pensò che un caffè, per rosa che fosse, lo avrebbe aiutato a riflettere.

    “Un altro pflieger grazie” chiese una voce impastata che aveva un ché di famigliare. Stefano udì la cameriera chiedere se aveva davvero sedici anni, quello dalla voce impastata.
    “E comunque sei ubriaco – disse la cameriera – adesso basta. Dove sono i tuoi genitori? Vuoi che ti faccio riaccompagnare a casa?”
    Il ragazzo dalla voce impastata rispose negativamente e si diresse incerto verso Stefano, che era fermo all’entrata. Stefano lo guardò meglio e lo riconobbe. Che ci faceva lì, ubriaco? Non doveva essere a ridere assieme a tutti gli altri?


    Non era possibile, era un incubo. Pure lì se lo trovava! Con tutti i bar che c’erano in città! E quell’altra dov’era? Domenico si guardò intorno per vedere se c’era anche quella ma per fortuna, se c’era, non l’aveva vista. Cazzo, gli veniva da piangere.
    “Ti ho chiamato poco fa, ma non rispondevi. Che stai facendo di bello?”
    Le parole di Stefano giunsero ovattate, ipocrite, malvagie.
    Domenico trasse un respiro e non rispose.
    “Ma stai bene? Sembri ubriaco… E’ successo qualcosa?”
    Tutto il dolore che gli stringeva il petto esplose e Domenico percepì un singhiozzo risalire; verso gli occhi. Lo represse a stento. Vaffanculo! Si coprì gli occhi con la mano destra, fingendo un mal di testa da sbornia.
    “No, no… è tutto okay. Tu come è andata con la tua amica?”
    Stefano colse il tono alterato della domanda.
    Allora era vero.. era tutto premeditato. Sentì divampare rabbia nella pancia, e con la rabbia, paura. Lui si era fidato di Domenico e Domenico lo aveva tradito. Come aveva potuto essere così ingenuo? Stefano doveva perlomeno salvare il salvabile.
    “Mah… insomma. A un certo punto sembrava che ci stesse ma mi ha chiesto di metterci insieme. Insomma o mi mettevo insieme oppure non me la dava. Sai come sono fatte. No?”

    “Scusa, devo scappare”
    Udì la propria voce come quella di un altro, distante, irreale, mentre tutto il suo essere era concentrato nel fuggire dall’incubo che si stava materializzando davanti a lui. Era una voce disperata, ma non gliene fregava nulla di quello che avrebbe pensato Stefano. Tanto lo aveva già perso. Meglio non sapere. Fuggi, Domenico, fuggi!
    Aprì la porta del bar davanti allo sguardo attonito di Stefano e si mise a correre verso il parco. I piedi di Domenico calpestavano cadaveri rossi di foglie che mai più avrebbero rivisto il sole. Terra sei e terra ritornerai! Tutto attorno il mondo girava, instabile, inquietante. Non c’era rifugio per lui? Un posto dove stare bene? Dove non si aveva più freddo? Ma l’alcool, poi, non doveva scaldare? E i finlandesi come facevano allora? Casa… Non voleva andare a casa. Non voleva nemmeno starsene fuori però…
    Una mano gli afferrò il braccio.
    “No! Lasciami!”
    Domenico cercò di divincolarsi. Ma quello era troppo forte. O lui era troppo debole. Maledetto pflieger! Quella mano…
    “No fermo, stai tranquillo è tutto a posto!”
    Quella voce… era la sua!
    “Lasciami stare, non voglio saperlo!”
    Stefano lo tirò a sé. Lo prese tra le braccia.
    Rifugio.

    Le membra del ragazzo si rilassarono tra le braccia di Stefano e si diede a quello che sembrava un pianto liberatorio. Stefano non lo sapeva perché lo aveva fatto. Se quel gesto fosse giunto agli occhi di qualcuno gli sarebbe costato la tranquillità dei restanti anni liceali. Però era successo. Adesso lui era lì in mezzo al parco che abbracciava il finocchio. Il forse-finocchio. Il speriamo-che-davvero-sia-finocchio-o-sono-rogne-serie.
    E’ che gli faceva tenerezza; era il suo punto debole. Non riusciva a veder piangere qualcuno senza sentirsi in dovere di conosolarlo.
    “Adesso calmati e spiegami cosa c’è che non va” gli disse.
    Fece per staccarsi ma Domenico continuava ad appoggiarsi a lui, il volto nascosto nell’incavo del suo collo. Se era davvero tutto uno scherzo meritava l’oscar per la recitazione del secolo, pensò Stefano.

    Alla fine gli aveva detto tutto. Non c’era più nulla da dire. E adesso? Stefano gli aveva detto che sarebbero restati amici, se non lo avesse fatto soffrire troppo questa cosa. Ma lo avrebbe fatto soffrire troppo? Sicuramente. Ma non vederlo sarebbe stato ancora peggio e su questo non c’era proprio da discutere.
    Perlomeno adesso sapeva che non era successo nulla con quella lì. A parte quel maledetto bacio.
    Davanti a lui… Che sonno… Il piumino è avvolgente, ti abbraccia. Stefano…

    ...to be continued...
     
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  10. Clod94
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    È veroooo, Stefano non aveva ancora risposto ad Alice XD M'hai fregato :P Quindi la parcella costerà un pò più di prima eheheh ^^
     
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    Ah, ok, allora mandami pure la parcella, pagherò volentieri!!! :laughx.png:

    Qui prosegue u.u



    Stefano non riusciva a dormire. “Cosa c’è che non va? – gli aveva risposto Domenico – C’è che io sono innamorato di te e tu mi parli di quelle che ti porti a letto e come se non bastasse te le fai pure davanti a me!”
    “Io sono innamorato di te”.
    Cosa voleva dire? Allora non era uno scherzo? E adesso cosa doveva fare? Come doveva comportarsi?
    Stefano sapeva che non poteva essere finocchio, non si sentiva diverso agli altri della sua età, però non poteva nemmeno dire che non ci aveva pensato a come sarebbe stato stare con Domenico. Certe cose erano improponibili, ma altre invece lo facevano riflettere. Stefano pensava a come era stato sentirlo fra le sue braccia, abbandonato su di lui, e gli si scioglieva il cuore. Pensava ai pomeriggi che gli sarebbe piaciuto passare accoccolato sul divano con Domenico, a guardare un film o anche a non fare nulla.
    Poi però pensava ai problemi che inevitabilmente si sarebbero presentati. Prima di tutto se la cosa si fosse saputa in giro la sua vita era finita. Non osava neppure pensare a come avrebbero reagito i suoi famigliari, i compagni di scuola… insomma tutto il suo mondo sarebbe stato stravolto. E questo gli faceva una gran paura. E poi l’altro problema era il sesso. Perché se stai con una persona vuol dire che ci fai sesso giusto? E se Stefano riusciva perfettamente a figurarsi a letto con una ragazza, non riusciva affatto a immaginarsi con un maschio. Non è che Domenico non gli piacesse proprio, semplicemente non avrebbe saputo che farci. Lui aveva letto delle cose a riguardo. Sapeva che i gay possono essere sia attivi che passivi, ma non riusciva a concepirsi in nessuno dei due ruoli. Non lo attirava proprio quel tipo di sesso. Semplicemente non riusciva a concepire il culo come un organo genitale. Non lo eccitava minimamente l’idea. Per questo alla fine pensava che aveva fatto bene a mettere in chiaro con Domenico che lui era eterosessuale e che non gli piacevano i maschi. Ma davvero era così? Poteva escludere di essere innamorato di Domenico? E se fosse stato solo un amore platonico? In ogni caso non valeva il prezzo del biglietto. Vero?

    “Buongiorno Ste. Stamattina nn vado a scuola, ho mal d testa. Troppo alcool e pensieri :) Se t va oggi pome ci pox trovare sotto casa. Magari andiam al cine??? Mittente: Domenix 33356###67 Inviato: 3/12/2009 06.37.05”
    Stefano sorrise e sbadigliò. Fuori era ancora buio, la sveglia sarebbe suonata di lì a mezzora, ma era contento di essere stato svegliato da quel messaggio.
    “Buongiorno a te Domenico! Mi spiace che hai mal di testa :( Se posso fare qualcosa per te volentieri. Basta che chiedi. Per pomeriggio invece certo, mi farebbe piacere uscire con te! A dopo allora!”
    Rilesse il messaggio prima di inviare. Gli parve troppo sincero. Lo corresse.
    “Buongiorno a te Domenico! Per me va bene. Ci vediamo pomeriggio allora! A che ora?”
    Inviò senza rileggere.

    Alice non era a scuola quella mattina. Stefano non riusciva a concentrarsi. Continuava a ripensare a Domenico. Non riusciva a vederlo come un diverso. Guardava gli altri attorno a sé e gli sembravano così distanti. Nemmeno loro erano diversi. Erano semplicemente attori. Così come era stato attore lui quella mattina nell’inviare quel messaggio. Il problema di Stefano era che per la prima volta qualcuno lo aveva costretto a fare i conti con se stesso. Poteva continuare a fingere, certo. Ma adesso, guardando quel mondo convenzionale dove tutti recitavano la propria parte al meglio nella speranza di un ruolo da protagonista, o perlomeno da comparsa senza troppe responsabilità, Stefano si sentiva distante. Tutta quella finzione di cui si era alimentato fino a quel giorno gli dava la nausea e non voleva più averci nulla a che fare.
    Suonò la campanella e Stefano fece per dirigersi verso le macchinette, ma Marina lo fermò con lo sguardo. Lo guardava torvo.
    “Chi cazzo ti credi di essere?”
    Stefano accusò il colpo. “Perché scusa?”
    “Io so tutto quello che è successo con Alice! – sibilò lei - Ti devi solo vergognare. Credi di essere troppo figo per lei? Allora te lo dico io, fai cagare i sassi, sei alto un metro e un cazzo, e nemmeno un cazzo decente a dirla tutta. Ti auguro di restare scapolo a vita. Scendi dal piedistallo, Stefano e abbi un po’ di umiltà per una volta!”
    “Marina…”
    “Lo dico per il tuo bene Ste. Adesso prendi e la chiami. Sei ancora in tempo.”
    Stefano comprese in quel momento, solamente in quel momento, che non sarebbe servito a nulla lottare, perché ormai lui non aveva più scelta.
    “Marina…”
    “Sì?”
    “Vai a cagare.”

    Incredibile! Si era messo il gel sui capelli. Male, però se lo era messo. E pure la maglietta degli Iron Maiden, quella incriminata. Anche se lui a dire il vero non lo sapeva. Domenico gli andò incontro e gli sorrise. Stefano era visibilmente imbarazzato, così decise di rompere il ghiaccio.
    “Cambio di programma! Niente cinema!”
    “Ah, okay. E che facciamo?” chiese Stefano.
    “Beh, ho pensato… a che serve avere un amico gay se non a renderti più bello e attraente perché tu possa dar pe’gli occhi una dolcezza al core che intender non la può chi non…”
    Stefano scoppiò in una risata fragorosa, forse un po’ isterica.
    “Quindi mi porti a fare shopping?”
    Domenico salì su una panchina e declamò: “E par che dalle sue labbia si mova uno spirito… soave! Pien d’amore… che va dicendo all’anima…”
    “Senti Dante, guarda che alla tua epoca non c’erano i jeans e nemmeno le t-shirt”
    “… e nemmeno gli Iron Maiden se è per questo, quindi che cazzo ci fai qui con quella maglietta?”
    “No no guarda che sei tu fuori posto qui, sei di qualche secolo in ritardo!”
    “Ah, scusami. No è che sai, su in paradiso a furia di farmi Beatrice ho perso la cognizione del tempo”
    “Okay sei perdonato però ora devi farmi bello!”
    Domenico scese dalla panchina con un salto e disse: “Andiamo!”

    Avevano comprato un paio di jeans e due t-shirt, delle quali una l’aveva pagata Domenico nonostante le proteste di Stefano. Era viola scuro con delle scritte bianche.Alle quattro di pomeriggio erano già sotto casa.
    “Che facciamo?” chiese Stefano.
    “Vieni su da me?”
    Stefano si sentì un po’ a disagio e Domenico colse il suo stato d’animo.
    “Non ho mai stuprato nessuno, stai tranquillo – gli disse con un tono vagamente risentito – tantomeno intendo farlo a qualcuno a cui voglio bene come ne voglio a te. Comunque se non vuoi non c’è problema. Volevo solo farti le sopracciglia e metterti a posto i capelli perché tu e il gel non siete proprio in buoni rapporti.”
    “No, scusami Domenico, non è che ho paura di te. Ho quasi più paura di me che di te in realtà… credo. Ma non ti preoccupare è una cosa stupida e irrazionale.”
    Domenico lo guardo allucinato.
    “Che cosa intendi?” gli chiese.
    Stefano comprese il passo falso. Si era aperto un po’ troppo. Ma non aveva senso tornare indietro.
    “Intendo che tu ti sei aperto a me e forse è il tempo che io mi apra a te. D’altronde è a questo che servono gli amici no? Mi posso fidare di te, Domenico? Sempre e comunque?”
    Domenico lo guardo negli occhi dolci e sorrise. Non c’era falsità in quello sguardo, non c’erano filtri: erano gli occhi di qualcuno che sapeva vedere.

    “Ma non è che tornano i tuoi?” chiese Stefano.
    “Mia mamma torna fra tre ore, abbiamo tutto il tempo di parlare di quello che vuoi, stai tranquillo Ste!”
    Il fumo che saliva dalla tazza di tè che gli aveva offerto Domenico formava una specie di schermo invisibile tra i due ragazzi. Stefano si alzò e prese la mano di Domenico che rimase un’altra volta di stucco.
    “Vieni per piacere” gli disse tirandolo dietro di sé e conducendolo verso il divano.
    Lo fece sedere e senza dire una parola si sedette accanto a lui, abbracciandolo e lasciandosi andare ad un pianto liberatorio. Domenico ricambiò l’abbraccio stringendolo forte a sè, in parte comprendendo e in parte lasciando aperti interrogativi che sapeva, prima o poi, si sarebbero risolti.
    Domenico si tolse le scarpe, le tolse anche a Stefano e si stese in una posizione più comoda, portandosì dietro l’amico che continuava a piangere lacrime di gioia e di paura sulla sua spalla. Stettero così per un quarto d’ora, semplicemente abbracciati, ascoltando il tepore del corpo dell’altro, respirandone l’odore, abbracciandone il respiro. Domenico accarezzava la nuca di Stefano, i capelli impiastricciati di gel e pregava che quel momento potesse durare in eterno, perché sentiva che nulla altro al mondo avrebbe potuto significare così tanto, come l’epifania che stava vivendo in quel momento di amore.
    Quando infine Stefano alzò lo sguardo su quello dell’amico, gli occhi arrossati dissero quello che le parole, come accordi volgari accompagnarono d’un eco. E tutto il mondo scomparve dinanzi ad una forza indomabile, che accostò labbra a labbra, e come un mare in tempesta sospinse lacrime diverse negli occhi di chi non conosceva più preoccupazione, timore, né gioia, ma solamente quiete d’amore nell’occhio del turbolento ciclone di Eros.

    Un incubo, un sogno. La vita di Domenico era tutta lì, fra le sue braccia. Stefano lo guardava incredulo di se stesso. Anche Domenico ancora non riusciva a credere a quello che era successo. Stefano gli aveva detto quelle parole… e lo aveva baciato.
    “Ste… anche io.”
    Stefano annuì portandosì la mano sulla fronte. Il suo corpo si scosse all’improvviso.
    “Tutto bene Ste?”
    Stefano si lasciò andare a una risata fragorosa.
    “Domè! Sono libero! Siamo liberi! Domè io…”
    Domenico sorrise di un sorriso enorme.
    “Lo so!” gli disse “lo so!”
    Stefano si strinse nuovamente a lui, avvinghiandolo con le braccia e con le gambe e riempendolo di baci sul viso. Tra una risatina e l’altra i corpi presero a fremere di desiderio e Domenico non potè più avere dubbi quando sentì l’erezione di Stefano premere sulla sua coscia.
    “Stefano… - gli chiese – vuoi essere il mio ragazzo?”
    Il viso di Stefano si scurì per un secondo.
    “Io ci ho pensato a lungo l’altra sera. Tu lo sai che io sono innamorato di te, lo vedi insomma e ormai non posso né voglio più nasconderlo a te e nemmeno a me stesso. Però ci sono delle cose che mi dicono che il nostro rapporto non sarà per nulla semplice.”
    “Capisco… - disse Domenico – ma… posso sapere in cosa consistono questi dubbi? Magari sono risolvibili no?”
    “Sì, non lo so… Cioè, la prima cosa che ho pensato è che se lo sa qualcuno dei miei succede un finimondo. E non so se sarei capace di sopportare una cosa del genere. I miei, i compagni di classe, tutto… cambierebbe no?”
    “Beh, teoricamente basta che non lo sappiano no? Io mica vado in giro a dire i cazzi tuoi eh. Che poi sono cazzi nostri, ma anche tuoi insomma … eh nel senso che se ti vedo con qualcun altro castro il qualcun altro in questione e ti metto la cintura di castità, quindi sono cazzi tuoi fino a un certo punto…”
    “Beh ma scusa, e a me non mi castresresti se mi vedessi con qualcun altro?”
    “No, io a te ti amo.”
    “Si ma se ti tradisco!”
    “Ma scusa non siamo nemmeno insieme e già pensi a tradirmi?”
    “Ma no era un paradosso!”
    “E comunque non ti castrerei perché poi come faccio io a divertirmi?”
    Stefano rise nervosamente.
    “Ah è qui il problema” disse Domenico facendo l’occhiolino.
    “Cioè?” si mise sulla difensiva Stefano.
    “No dai, vai avanti scusa”
    “Comunque sì, hai ragione, è lì il problema. Cioè, se noi stiamo insieme poi lo facciamo no?”
    “Ma io ti piaccio Ste?”
    “Ma se ti ho baciato!”
    “Intendo… sessualmente ti piaccio?”
    “Non lo so ecco. E’ qui il problema.”
    “Ah, okay – sogghignò Domenico - perché da quello che ho sentito che strofinavi su di me prima avrei detto di sì”
    Stefano rise di gusto. Lo guardò. Era davvero bello. Provò ad immaginare a come sarebbe stato nudo, a come sarebbe stato essere nudi insieme e gli sembrò meraviglioso. Glielo disse.
    Domenico gli diede un bacio sulle labbra.
    “E allora perché dici che non sai se ti piaccio?”
    “Perché se penso di fare proprio sesso non mi eccità più l’idea.”
    “Ma tu cosa intendi per sesso, Ste?”
    “Ma sì, dai, come fanno i gay. Non mi attira. Né da attivo, né da passivo.”
    “Mh, vuoi che ti dica una confidenza?”
    “Mh…”
    “Si può benissimo non farlo”
    “Ah”
    Stefano lo guardò in faccia allibito, come per cercare l’ombra di un’eventuale menzogna. Gli sembrava assurdo.
    “Ma scusa, ma tu allora non vorresti fare sesso con me?” disse a Domenico.
    “Sì ma non c’è mica solo il sesso anale. Quello non mi attira più di tanto.”
    “E allora cosa mi faresti?”
    “Sei curioso!”
    “Ma sì scusa, voglio sapere cosa mi succederà”
    “Mi pare giusto. Preparati al peggio buuuuu!”
    Domenico si avventò sul collo di Stefano e lo mordicchiò dolcemente.
    “Scemo! Comunque sì”
    “Sì cosa?”
    “Voglio essere il tuo ragazzo, ma a una condizione.”
    “Spara.”
    Un sorrisetto furbo illuminò il viso imberbe di Stefano.
    “Che quello che mi farai mi faccia svenire di piacere.”
    “Ah, okay, no problem – rispose Domenico - al limite ho la mazza da baseball come rimedio finale, quindi vedi perlomeno di fingere. Sai come le donne no? Loro fingono l’orgasmo, tu fingi di svenire, mi pare equo!”
    “Mi piaci da matti Domenico”
    Domenico sorrise e lo baciò di nuovo.
    “Anche tu, davvero”
    Stefano si irrigidì e si raddrizzò seduto.
    “Che c’è Ste?”
    “Senti, non sarebbe più comodo un letto?”
    “Sì beh… Ma scusa ma vuoi farlo subito?”
    “Dici che è presto? Io sto morendo dalla voglia..”
    Domenico sorrise tra l’incredulo e il divertito.
     
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  12. Clod94
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    DOLCE GAY

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    E così termina il racconto di Domenico e Stefano! Grazie a tutti quelli che hanno avuto la voglia e/o pazienza di leggere queste righe!


    Il letto di Domenico era ad una piazza e mezzo. Grande. Comodo. Stefano era molto agitato. I genitori di Domenico non sarebbero tornati che tra più di due ore e nel frattempo sarebbe stato in totale balia di lui. Non sapeva cosa gli avrebbe fatto, né se gli sarebbe piaciuto. Era tutto così misterioso, c’era quasi una sensazione di pericolo. Doveva ammettere che la cosa lo eccitava.
    “Mi devi insegnare tutto eh…” gli disse.
    “Decisamente! Soprattutto a metterti il gel!”
    Stefano ridacchiò nervosamente.
    “Senti Domè io ho paura”
    “Stai tranquillo Ste, non ti farei mai del male. Comunque se vuoi possiamo anche non fare niente eh.”
    “Sì ma io ho voglia e non sapere cosa mi aspetta è eccitante.”
    “Allora devi farti coraggio.”
    “Sarà una cosa violenta?”
    Domenico ci pensò un attimo, non sapendo cosa rispondere.
    Alla fine disse: “E’ come tutte le altre cose, dipende da come si fa. Può essere dolcissima o anche più … energica. Ma non ti preoccupare, sarò buono con te!”
    “Ma io voglio che fai tutto come deve essere fatto. Insomma se c’è da essere violenti fallo, non sono mica una signorina.”
    “Okay, allora farò a modo mio, ma cioè, basta che parli, se a un certo punto non ti piace, basta che lo dici eh. Che pare ti fai?”
    “No è che ho paura che poi mi faccio prendere dall’agitazione e mi fermo a metà. Ma non perché non mi piace. E se invece sapessi che comunque tu non ti fermi mi godrei molto di più la cosa.”
    “E quindi cosa vuoi che faccia scusa? Vuoi che ti costringo?”
    “Se per te non è un problema…”
    “Ma Ste… sei sicuro?”
    Ste lo guardò negli occhi seriosamente e disse: “Basta che non mi fai male. Mi fido di te.”
    “Mi vorrai bene anche se ti costringerò a fare cose che non vuoi?”
    “Sì”
    “Ma questa è una licenza di uccidere!” ridacchiò Domenico.
    “Ok è deciso? Me lo fai fare allora?”
    “Sì”
    “Non posso più tornare indietro?”
    “No!”
    Stefano si sentì sollevato davvero.
    “Adesso sono davvero tuo!”
    “Dai vieni adesso!”
    Domenico lo fece sedere sul letto e gli tolse i calzini e la t-shirt prima di sedersi sulle sue gambe e baciarlo appassionatamente. Stefano poteva sentire scorrere le mani sulla sua schiena nuda, mentre la lingua di lui gli esplorava impudentemente la bocca. Non poteva fare nulla si disse, solo godersi la cosa. Se anche ci avesse ripensato non avrebbe avuto senso ribellarsi. Domenico era di gran lunga più forte. Il ragazzo si appoggiò su di lui facendolo stendere sul letto e gli diede un bacio fugace sulle labbra prima di scendere, riempiendo di baci il collo e mordicchiando il lobo dell’orecchio sinistro.
    “Senti Domè. Posso vederti sotto la maglietta?”
    “Certo.”
    Domenico si tolse la t-shirt mostrando un petto glabro e un fisico asciutto. L’ombelico sembrava un bottoncino goloso e Stefano non potè trattenersi da dargli un bacio.
    “Ti piace il mio ombelico?” chiese lui sorridendo.
    “Da matti! Ma comunque non è più tuo. E’ mio!”
    “A sì? Allora deduco che qui sotto c’è qualcosa di mio invece” disse Domenico imponendo una mano sul rigonfiamento dei pantaloni di Stefano.
    “Mah. Forse… Chissà!”
    “Mmm… vediamo… dovrò fare un’accurata indagine. Si stenda!”
    Stefano si stese ridendo e aspettò che Domenico gli togliesse i pantaloni. Invece lui gli diede sulle labbra il bacio più dolce che avesse mai ricevuto e poi si abbassò sempre più, fino ad arrivare a succhiargli un capezzolo che si indurì istantaneamente. Era una sensazione strana, faceva quasi solletico. Poi Domenico scese ancora, baciandogli l’addome e insinuando la lingua nel suo ombelico. Stefano gemette di tensione erotica. Domenico gli fece aprire le gambe, senza sfilare i jeans.
    Stefano osservò mentre la sua testa si avvicinava al rigonfiamento dei suoi pantaloni in corrispondenza dei testicoli. Lo vide accostare la bocca e lo sentì soffiare con forza. Il cambio di temperatura e la pressione sul peritoneo e sui testicoli gli causarono un’erezione improvvisa, quasi dolorosa.
    “Adesso ti tolgo i pantaloni!” lo avvisò Domenico.
    “Anche tu però.”
    “Ok…”
    Domenico si tolse i pantaloni rivelando due gambe piuttosto muscolose e ben fatte e gli slacciò il bottone dei jeans. Sentirlo armeggiare lì sotto, per liberare la sua intimità dal tessuto che la nascondeva, infuocò il basso ventre di Stefano.
    Domenico gli sfilò i jeans.
    “Vedo che sei già…bagnato” lo prese in giro Domenico indicando una macchia sulle mutande in corrispondenza della punta del pene.
    Stefano si finse imbarazzato e chiese “tu no?”.
    Domenico si allungò sopra di lui, appoggiandosì su un gomito, gli prese una mano e la condusse verso i propri genitali sussurrandogli nell’orecchio: “Secondo te? Prova a sentire…”
    Stefano toccò il rigonfiamento sulle sue mutande, leggermente umidiccio, prima di intrufolare una mano sotto di esse e trovare un membro rigonfio, gommosamente teso e liscio, intento a stillare umori maschili. Osando ulteriormente spinse la mano più in basso fino a tastare i testicoli, pieni e pronti. Stefano diede una fugace occhiata e scorse, oltre all’elastico delle mutande, il glande scintillante di Domenico sporgere appena dal prepuzio che lo avvogleva
    Domenico appoggiò l’altro gomito sul materasso e lasciò Stefano armeggiare i suoi genitali affascinato. Accostò intanto la fronte alla sua, strofinando affettuosamente il naso contro il suo.
    “Domè, mi piace da impazzire il tuo coso” gli sussurrò Stefano.
    Domenico rise sottovoce e gli schioccò un bacio sulle labbra. Si rivolse nuovamente più in basso, verso lo stomaco di Stefano, che baciò avidamente e poi ancora più giù, annusando l’odore acre e pungente delle mutande di lui. Baciò la macchia degli umori di Stefano sulle mutande del ragazzo e gli mordicchiò il pene da sopra di esse. Stefano bruciava di desiderio. Odiava con tutto se stesso quel tessuto che lo divideva dalle morbide mucose della bocca di lui. Che però proseguì nella discesa e prese a baciare l’interno coscia del ragazzo. La lingua di Domenico risalì tutto l’interno coscia, fino a giungere all’inguine, che leccò scostando leggermente gli slip del ragazzo.
    “Allora dici che è roba mia questa?” chiese Domenico facendo per abbassargli le mutande. “Posso vedere?”
    Stefano annuì pieno di desiderio. Domenico sollevò leggermente l’elastico e sbirciò dentro. Il membro di Stefano era già mezzo scappellato dalla forte erezione. Gli sfilo delicatamente le mutande e gli divaricò le gambe mettendosì in mezzo ad esse.
    “Cosa mi fai?” chiese Stefano.
    “Ti mangio!” rispose seriamente Domenico.
    Stefano ridacchiò di nuovo ma si bloccò quasi impaurito quando vide che l’espressione di Domenico era rimasta seria. Il ragazzo si avvicinò cautamente ai suoi genitali e ne annusò i testicoli prima di dargli una frettolosa leccatina. Il contatto con la sua lingua fece fremere Stefano di desiderio. Un’altra leccatina sull’altro testicolo. Breve. Troppo poco per soddisfare; abbastanza da fare impazzire di desiderio. E poi leccatine ovunque, rapide, umide, elettriche. Prima sull’inguine e sui testicoli, poi sul peritoneo, quindi su tutto il corpo del membro pulsante di Stefano, fino a concentrarsi in deliziose scosse di piacere all’altezza del frenulo.
    Stefano stava per mettersi a gridare quando finalmente Domenico risucchiò l’intero glande del ragazzo nella propria bocca. Non avrebbe mai immaginato che una bocca potesse essere così vellutata, così incredibilmente fradicia di squisiti umori, così morbida ed accogliente. Domenico prese a rigirare leggermente la bocca attorno al suo glande e a premere verso il basso, accogliendo altri centimetri del membro di Stefano dentro di se. Stefano si sentiva dischiudere, nudo all’interno della sua bocca, avvolto in una carezza di velluto.
    Quando Domenico risalì il distacco fu quasi una tortura. Glielo prese in mano e gli toccò lievemente il frenulo facendolo sobbalzare.
    “Sì direi che sei pronto!” gli disse il ragazzo.
    “Per cosa?”
    “Aspetta e vedrai!”
    Domenico si tolse le mutande e si mise in ginocchio davanti a Stefano. Stefano ne contemplò il membro eretto e si chiese come sarebbe stato averlo in bocca.
    “Dai, prepara anche me” gli disse Domenico.
    Un po’ gli faceva impressione l’idea di metterselo in bocca. Però Domenico lo aveva fatto a lui, mica poteva dire di no.
    Intuendo il disagio di Stefano, Domenico poco carinamente gli ricordò: “Guarda che non puoi tirarti indietro eh!”.
    Il ragazzo si avvicinò a Domenico, deciso a stuzzicarlo perlomeno quanto aveva fatto lui prima. Gli baciò l’ombelico e discese, piano, fino alla base del pene, che leccò per discendere attraverso l’inguine, verso il peritoneo, che risucchiò delicatamente. Domenico gemette di piacere. I suoi testicoli emanavano un odore agrodolce, delizioso e la punta del pene riluceva di liquido pre-spermatico. L’idea di succhiare gli umori di lui lo eccitava da morire. Fu così che si scordò i propositi di vendetta e risalì con una leccata profonda fino alla punta del membro di Domenico. Stefano allargò la bocca e lo assaggiò. Comprese all’istante di aver aspettato per tutta la vita quel momento; nulla lo aveva mai fatto sentire così appagato come quel sapore, quella consistenza. Spinse con il collo e si sentì penetrare la bocca dal membro di Domenico che gemette rumorosamente e iniziò a muoverlo dolcemente dentro di lui. Stefano non doveva fare niente, solo stare fermo e assaporare il liquido che stillava, goccia a goccia direttamente nella sua bocca, solo guardare affascinato i movimenti virili di lui, delle sue reni, del suo corpo intero alla spasmodica ricerca di piacere. Lo sentiva ansimare, sapeva che era “merito” suo e ciò lo riempiva di orgoglio. D’un tratto Domenico lo prese per i capelli per farlo star fermo e prese a gemere. Scosse il membro dentro la sua bocca ritmicamente per qualche secondo, emise un gridolino, e un caldo schizzo di umori maschili colpì la gola di Stefano, che immediatamente ne percepì l’aroma. Solo uno schizzo, accompagnato da un breve gemito di soddisfazione di Domenico, il quale estrasse il membro dalla sua bocca, ancora più eretto di prima.
    Stefano poteva ancora percepire l’aroma di lui in bocca. Lo eccitava da matti.
    “Ma sei venuto?” gli chiese.
    “No, io a volte vengo solo poco e poi continuo come prima. E’ un po’ strano ma è così.”
    “Che figata!” commentò Stefano, stupito.
    Domenico lo guardò fisso negli occhi.
    “Sei pronto?”
    “Per cosa?”
    “Per quello che ti aspetta!”
    Stefano gli sorrise. “E se dicessi di no, cambierebbe qualcosa?”
    Domenico lo prese con la forza e lo stese sul materasso fra le risate di entrambi.
    “No” disse, e gli diede un bacio sulle labbra.
    “Prima di diventare violento, perfido e cattivo – proseguì – voglio dirti una cosa.”
    “Dimmi Domè”
    “Ti amo”
    Senza dare il tempo di replicare controllò che Stefano avesse il pene in erezione e gli fece aprire le gambe.
    Domenico si mise sopra di lui, con le gambe in mezzo alle sue, ed accostò il membro contro il suo.
    Subito una goccia di liquido colò sul glande di Stefano.
    “Ste… – disse Domenico – io penso che quando gli umori di due persone si uniscono è un po’ come se si unissero le loro anime. Quindi, se ti va… a me piacerebbe che venissimo così… l’uno sull’altro.”
    “Si Domè, ti prego, fallo.”
    Domenico si appoggiò sul corpo di Stefano che lo cinse con le braccia e sollevando leggermente le reni aggiustò il membro contro il suo. Glande contro glande, frenulo contro frenulo, testicoli su testicoli. Stefano percepiva il contatto tra le due intimità come l’unione magnetica più forte che avesse mai provato. Domenico gli diede un altro bacio e iniziò a muoverlo dolcemente contro il suo. Stefano si rese conto in quel momento che mai in vita sua era stato in intimità con qualcuno fino ad allora. La sensazione di nudità e di essere indifeso nelle mani dell’altro era assoluta. Sentire quel membro virile strofinarsi sui punti più segreti e sensibili dei suoi genitali era un qualcosa di meraviglioso ed indescrivibile.

    I gemiti di Stefano erano musica per le orecchie di Domenico, che strofinava dolcemente il frenulo ed il resto del membro contro il suo, dapprima con movimenti rotatori e poi, quando la lubrificazione naturale degli umori che stillavano si fece più consistente, lo spinse avanti e indietro.

    Quando Domenico prese a scivolare in quel modo, Stefano avvertì che gli umori di entrambi andavano a spalmarsi su tutta la lunghezza dei membri, facendoli scivolare in uno scorrere liscio e leggermente appiccicoso. L’eccitazione di essere nudi e indifesi, lo stropiccio umido dei genitali che scorrevano e si davano piacere, l’odore di sesso che si librava nell’aria, il corpo dell’altro che cercava di unirsi al proprio, con urgenza, con bisogno, tutto questo era estasi allo stato puro. Ma soprattutto l’idea che tutto questo avrebbe portato alla rivelazione finale, in cui i rispettivi liquidi seminali avrebbero trovato commistione, in un’unione fisica e spirituale, questo rendeva quel momento, quel primo amplesso, il momento più alto della vita di Stefano.

    Domenico percepiva il proprio orgasmo salire. Poteva sentire lo sperma nell’uretra, pronto a schizzare nonappena l’eccitazione avesse raggiunto un certo livello. Mancava poco. Sollevò la pancia per osservare la situazione. I due membri erano appiccicati teneramente l’uno all’altro e grondavano letteralmente di umori. Stefano non riusciva a star fermo e oscillava ritmicamente le reni. Dall’uretra di lui colava una sottile bava di liquido che si collegava a una grossa goccia sulla sua pancia.
    “Ste… guardali”
    “Domè, ti prego non ce la faccio più”
    “Manca poco anche a te allora?”
    “Direi…”
    “Ok adesso preparati eh”
    “Vai…”
    “Faccio un po’ più veloce va bene?”
    “Cambia qualcosa se dico no?”
    “No”
    “Allora muoviti e fammi godere”
    Domenico prese a scuoterlo ancora, aumentando però gradualmente il ritmo.

    Stefano stava godendo ad un livello inverosimile. Guardò Domenico negli occhi e vide chiaramente il suo sguardo di amore perdersi gradualmente e lasciare il posto ad uno sguardo vuoto, disinteressato, mentre il ritmo con cui lo scopava saliva. I frenuli si incontravano più frequentemente, mandando scosse di piacere dolce, mentre lo scuotersi degli inguini gli uni contro gli altri creava una certa vibrazione che aumentava l’eccitazione dei rispettivi genitali. Domenico prese ad emettere un gridolino leggero e soffiato mentre i suoi occhi si perdevano sempre di più. Stefano riusciva a percepire il suo membro e quello di Domenico gocciolare letteralmente sul suo stomaco. Si rese conto che non aspettava altro che accadesse. Era incredibile, era da oltre un minuto che erano entrambi sulla soglia dell’orgasmo ma per quanto Domenico aumentasse il ritmo non riuscivano a venire. E non era affatto una sensazione spiacevole.
    D’un tratto Domenico rovesciò gli occhi e pose la testa sull’incavo del collo di Stefano, che un po’ si spaventò. Il membro di lui sembrò impazzire e iniziò a scuotersi con potenza tale, che Stefano si ritrovò a gridare di piacere accompagnato da Domenico. D’istinto Stefano chiuse le gambe ma il corpo di lui gli impedì quest’estrema difesa. Stava per succedere, sarebbero venuti l’uno sull’altro, e fu questa consapevolezza più che la terribile serie di scossoni a portare Stefano all’orgasmo. Fu infatti quando senti un grido inorridito di Domenico accompagnato da un getto abbondantissimo di sperma ad impregnargli il glande e lo stomaco che Stefano percepì il primo schizzo del proprio seme proiettarsi all’esterno ed unirsi a quello del suo amato. Quello che accadde dopo durò solo pochi secondi, ma furono secondi che valsero millenni, perché quell’unione dolcissima, a tratti brutale, fu sugellata dall’orgasmo più intenso che entrambi avessero mai provato. Lacrime giunsero agli occhi dei ragazzi, occhi senza sguardo, perché tutto l’essere che componeva quelle due creature aveva trovato pace in quell’eiaculazione reciproca, nella fecondazione spirituale di due anime che si erano fuse assieme.
    Domenico si accasciò infine sul corpo di Stefano, ansimante come il suo compagno e svuotato da ogni preoccupazione. Era incredibile la sensazione di completezza che ora stavano provando. Stesi l’uno sull’altro, con il reciproco sperma che impregnava i loro membri e corpi, tutto aveva trovato la giusta dimensione, il giusto modo di essere.
    “Io con te non ho bisogno di altro” disse Domenico.
    Stefano lo abbracciò con forza.
    “Non lasciarmi” lo implorò “non lasciarmi mai Domenico”.
    Fuori si era già fatto buio, ma l’orologio segnava appena le cinque e mezza. Gli occhi dei due ragazzi si rivolsero alla sveglia ticchettante sul comodino di Domenico, per poi tornare ad incontrarsi. Avevano ancora un’ora e mezza. Le loro labbra tornarono ad essere una cosa sola.


    ..the end.
     
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    Crescere significa anche assumerci la responsabilità delle nostre scelte e dei nostri errori. Ma crescere significa anche puntare a migliorare ogni giorno, fosse anche di poco...

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    DOLCE GAY

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    Grazie Piccino! Vedrò se mi verrà qualche ispirazione posterò qui qualcosa. Per quanto riguarda il tuo amico, mi raccomando, non demordere! Non lasciarlo andare per la sua strada senza aver fatto un tentativo. Non si sa mai che ti riesca di porre in essere le mie, anzi le nostre fantasie!
    Fammi sapere! =)
     
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